PERCHÉ SONO CONTRO L’ERGASTOLO
di Agnese Moro
«È facile dire a chi ha perso qualcuno perché un
altro essere umano gli ha tolto la vita: “Ti faremo giustizia; manderemo il
responsabile in prigione per molti anni o per sempre, e tu sarai ripagato”. È
una menzogna». La figlia dello statista, in questo suo testo scritto per
Famiglia Cristiana, spiega che cosa può davvero “ripagare” chi ha subito la più
tremenda delle violenze.
La democrazia repubblicana,
così come la disegna la nostra bella Costituzione, non è solo un sistema
politico. È anche – e forse soprattutto – un progetto di vita individuale e
sociale. Esprime una speranza di giustizia e di pace, che viene
dalle generazioni che ci hanno preceduto, che ci accompagna dando sapore alle
nostre esistenze, che vorremmo poter trasmettere ai nostri figli e nipoti.
Alla base del progetto della nostra democrazia repubblicana c’è la
persona; ci sono le persone reali, la loro dignità, le loro difficoltà, la loro
unicità e la loro grandezza. Per l’ideologia fascista che ha preceduto la
Repubblica lo Stato era tutto, le persone niente. Per la Repubblica (ovvero per
tutti noi), invece, ogni persona è preziosa, e siamo impegnati, tutti insieme, a
difenderne i diritti e la dignità. Ed è per questo
che quando uno di noi sbaglia, anche gravemente, noi lavoriamo per impedirgli
di seguitare a sbagliare e
gli infliggiamo una pena che non è una vendetta, ma che gli deve servire a
cambiare e a ritornare tra noi. Dall’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato”.
Noi non buttiamo via nessuno, e rivogliamo tutti indietro. In questo nostro progetto di vita l’ergastolo è decisamente un corpo estraneo; una contraddizione insanabile con la nostra Costituzione. Perché fa della pena una punizione e basta; perché sancisce un allontanamento definitivo e senza appello dal resto della società; perché – come diceva mio padre Aldo Moro nei suoi scritti giuridici – è decisamente contraria al senso di umanità perché nega anche la speranza di poter tornare a vivere la dimensione della libertà che caratterizza così profondamente il nostro essere uomini.
Noi non buttiamo via nessuno, e rivogliamo tutti indietro. In questo nostro progetto di vita l’ergastolo è decisamente un corpo estraneo; una contraddizione insanabile con la nostra Costituzione. Perché fa della pena una punizione e basta; perché sancisce un allontanamento definitivo e senza appello dal resto della società; perché – come diceva mio padre Aldo Moro nei suoi scritti giuridici – è decisamente contraria al senso di umanità perché nega anche la speranza di poter tornare a vivere la dimensione della libertà che caratterizza così profondamente il nostro essere uomini.
Bisognerebbe avere anche
l’onestà e il coraggio di affrontare il tema della giustizia. È facile dire a
chi ha perso qualcuno perché un altro essere umano gli ha tolto la vita: “Ti faremo giustizia; manderemo
il responsabile in prigione per molti anni o per sempre, e tu sarai ripagato”.
È una menzogna. Le
perdite subite non si risanano, e nessuna punizione può ripagare di un affetto
che non c’è più.
Può invece aiutare –tanto– vedere che chi ha fatto del male ha capito
quello che ha combinato, ne è realmente dispiaciuto, vorrebbe con tutte le sue forze
non averlo fatto; che riprende a vivere in maniera diversa,
cerca di essere utile alla società, porta il rimorso suo e anche il dolore
delle proprie vittime.
È quanto di più vicino alla giustizia si possa chiedere. Ed è la saggia
via proposta dalla nostra Costituzione.
LA VOCE DEI CATTOLICI CONTRO IL "FINE PENA
MAI"
di Alberto Laggia
Papa Francesco ha di recente abolito l'ergastolo nel
sistema penale vaticano. Ma già da tempo i cattolici dicono 'no' alla pena
perpetua.
Nonostante un referendum abrogativo che nel
1981 sancì la sconfitta di coloro che volevano cancellare la pena del carcere
perpetuo, contro l’ergastolo e sulla sua incostituzionalità, da tempo si sono espressi autorevolmente
associazioni, fior di giuristi e intellettuali, cattolici e non. Nell’area cattolica già Giuseppe Dossetti ebbe a dichiararsi a favore
dell’abolizione della pena perpetua. Aldo Moro, nel 1976 in una
lezione universitaria, due anni prima di essere sequestrato, processato e
ucciso dalle Br, diceva ai suoi studenti in aula: “Ricordatevi che la pena non
è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata
dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi
del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di
vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità,
rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in
una pena giusta”. E definiva l’ergastolo “agghiacciante, psicologicamente
crudele e disumano”.
Tra i leader carismatici
dell’associazionismo Don Oreste Benzi, fondatore della della Comunità
Papa Giovanni XXIII, da sempre impegnata nel volontariato dentro le carceri
italiane e nell’accoglienza di carcerati nelle comunità
dell’associazione, commentava così uno sciopero della fame contro
“l’ergastolo ostativo” dentro il carcere di Spoleto: “Hanno ragione i detenuti.
Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se
è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? E’ una
contraddizione in termini. Perché non devono avere il diritto di dar
prova che sono cambiati?”.
“A causa di queste norme ci sono
nelle nostre carceri ragazzi quarantenni che sono stati condannati
all’ergastolo a soli 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il
funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita tra le
mura di una prigione che fuori. Persone che non hanno la cella del carcere
come letto dove rientrare per dormire, ma ce l’hanno come tomba”, afferma Giovanni Ramonda, responsabile
della Comunità Papa Giovanni XXIII. Anche Stefano Anastasia, difensore
civico dell’associazione “Antigone”, che si batte per i diritti nelle carceri,
non ha dubbi: “L’ergastolo è una pena detentiva non paragonabile ad altre pene,
perché condanna a morire in carcere. E’ cioè una pena capitale a tutti gli
effetti o, come la chiamava Cesare Beccaria, ‘una pena di morte lenta’. Ma di
più: è una doppia pena di morte, perché prima di quella fisica c’è quella
civile”.
Eppure mai come oggi l’argomento
ergastolo sembra impopolare: “Di fronte alla crisi del sistema penitenziario
italiano e alle sue gravi emergenze, purtroppo, ragionare di ergastolo può
sembrare un assurdo. E poi, in tempi in cui si sente invocare la pena di morte,
figuriamoci quali reazioni potrebbe scatenare una campagna per l’abolizione
dell’ergastolo”, afferma sconsolato il magistrato Francesco Maisto, presidente del
Tribunale di Sorveglianza dell’Emilia Romagna. “Si tratta di operare senza far
clamori, ma incidendo sulla sostanza. Perché non offrire una possibilità di
cambiamento al detenuto, quando vengano meno i motivi di sicurezza che l’hanno
tenuto recluso?”. Così, invece, conclude un suo saggio sul tema (anticipato da
“Ristretti Orizzonti”, la rivista che si scrive dentro il carcere “Due palazzi”
di Padova) il professor Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto
costituzionale all’università di Ferrara: “In un sussulto di coerenza politica
e razionalità costituzionale, è tempo che l’Italia, da anni impegnata nella
leadership della campagna internazionale per la moratoria della pena di morte
(in vista della sua definitiva abolizione), torni a porsi il problema della
abrogazione dell’ergastolo. Che, della pena capitale, è l’ambiguo
luogotenente”. Il giurista, scartata l’idea di un referendum abrogativo,
propone, piuttosto, una “quaestio di legittimità davanti alla Corte
costituzionale”. Sull’ergastolo ostativo, “regime col quale lo Stato si comporta
da ricattatore vendicativo, poiché solo se collabori con la giustizia ti offre
la speranza di veder ridotta la pena, afferma: “E’ una variante aberrante tutta
italiana il cui regime ricalca, a mio avviso, la definizione di ‘tortura’
contenuta nelle carte internazionali dei diritti. E’, insomma, l’altra
faccia della pena di morte. Un carcere non a vita, ma a morte. Ciò è evidente
considerando che l’ergastolo si prende l’esistenza della persona, anche se non
gliela toglie, perché la priva di futuro; gli toglie ogni speranza. Direi che,
anzi, ne è una variante ancor più crudele. Si resta vivi, ma dichiarati morti”.
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