Dalla rivista Noi DONNE
La
rappresentazione mediatica del femminismo, tra donne palestrate ed altre
gambizzate
Sempre più costante è ritrovare
sui media un'interpretazione errata del ruolo e degli obiettivi del femminismo
in Italia.
inserito da Maddalena Robustelli
Meraviglia
oltremodo che sui quotidiani nazionali si rincorrano tesi sui movimenti
femministi nostrani, con argomentazioni che poco rispecchiano le loro
discussioni teoriche e le conseguenti azioni messe in campo a favore delle
aspettative e dei bisogni delle donne italiane. Già nel mese di luglio si era
vista riproposta su L’Unità la consueta presa di posizione contro il femminismo
storico e le sue rappresentanti, ree di appartenere ad un movimento “asfittico,
schiacciato spesso in un vittimismo cupo, moraleggiante e, quel che è peggio,
che fa figlie e figliastre, alla faccia della sorellanza” (Alessandra Serra).
Strano un giudizio del genere, soprattutto alla luce della circostanza che
invece le femministe reclamano a viva voce interventi celeri e efficaci al
riguardo di un migliore contrasto alla violenza di genere, maggiori garanzie a
tutela dei diritti delle donne, un welfare capace di consentirle una più
congrua conciliazione tra la famiglia ed il lavoro, una più idonea applicazione
della 194 mortificata dall'obiezione di coscienza, solo per indicare alcune
tematiche su cui non sono per nulla asfittiche.
Anche pochi
giorni fa un articolo del Corriere della Sera è intervenuto sulla natura ed il ruolo del femminismo attuale, definendo
come sua conquista la nuova estetica
femminile della donna palestrata a riprova che mentre “le sessantottine
rivendicavano la parità sessuale, le nipotine se ne fregano abbastanza del
sesso, loro espugnano i simboli della virilità” (Maria Teresa Veneziani).
Sconcerta questa interpretazione, a dir poco forzata, dei risultati correlati
alle pratiche delle attiviste, che si spendono costantemente a tentare di
rendere il Paese più a misura di donna. Sembrerebbe che poco ci si informi al
riguardo, se non si è a conoscenza, ad esempio, della circostanza che
l’operazione del camper della Polizia di Stato “Questo non è amore” non è stata
criticata solo dalle femministe dell’Udi, ma anche dalle giovani militanti di
un gruppo nato recentemente sui social “Chi colpisce una donna, colpisce tutte
noi”.
Come anche
poco attenti ci si appalesa allorquando si sottovaluti l’impegno di un altro
gruppo di femministe che con il vigoroso dissenso di ObiettiamoLaSanzione, assurto agli onori della ribalta mediatica
nazionale, ha acceso i riflettori sull’ingiusto aumento delle sanzioni
pecuniarie per le donne che abortiscono clandestinamente. Per non parlare
dell’evento che il 2 giugno scorso ha portato in circa 40 città italiane alle
manifestazioni spontanee di protesta contro la violenza di genere, in occasione
del femminicidio di Sara Di Pietrantonio. Se solo si volessero mettere insieme
nell’analisi del variegato universo femminista e femminile italiano queste ed
altre forme di militanza, se ne desumerebbe ben altro rispetto a quello che
appare dalla lettura dei quotidiani nazionali. Certo potrebbe al contrario
argomentarsi che si tratti di un forte protagonismo virtuale, che poco si
concretizza in azioni pubbliche condivise collettivamente. Intanto, però, è un
fatto che tale protagonismo esista.
Se ne possono
mettere in discussione i risultati concreti, come anche la partecipazione
effettiva, ma che sia vivo l’impegno a tutela delle donne è incontrovertibile,
sia pure solo per veicolare consapevolezza sui temi che più sono presenti nel
dibattito generale. Come altrettanto è innegabile la voglia di scendere in
piazza per comunicare la propria opinione, per proporre nuove soluzioni a
vecchi problemi, per protestare contro i pochi passi fatti verso una cultura
vera delle pari opportunità. Le attiviste vincolate a tale obiettivo non certo
si fanno dettare le priorità della propria agenda politica né dalle
rappresentanze istituzionali né tanto meno dai media. A chi vorrebbe loro
imporre i temi di discussione, come ad esempio sta accadendo in questi giorni
per il dibattito sul divieto di indossare il burkini, rispondono che ben altre
sono le questioni da affrontare in Italia. E’ la nostra realtà che le impone,
come dimostra la recentissima vicenda della giovane donna gambizzata dal
fratello perché non era a lui gradito il suo stile di vita.
La classe
politica nazionale, come anche i suoi megafoni mediatici, potranno pure
adoperarsi a tentare di dettare alle donne italiane i loro slogan nelle
rivendicazioni da portare avanti nel tempo più o meno breve. Non potranno però
fare a meno di considerare il fermento presente all’interno dei movimenti
femministi del Paese, soprattutto laddove essi cerchino di lavorare
sinergicamente. Un tentativo al proposito è stato messo in campo proprio il
mese scorso, con l’appello promosso dalla Rete IoDecido, D.i.Re (Donne
in Rete contro la violenza) ed UDI
(Unione Donne in Italia), finalizzato a tenere il prossimo 8 ottobre un’assemblea pubblica nazionale
a Roma. La libertà delle donne è
sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e
ostacolata. All'aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza
delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzare e
ridicolizzare le donne, così sottoscrivono le proponenti, chiamando
ogni donna, aggregata in associazioni o no, al confronto nazionale di ottobre
per “contribuire a dare i contenuti e le parole d’ordine per costruire una
grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo”.
C’è da auspicarsi che nel solco della riuscita di questa mobilitazione di piazza ognuna lavori, nel proprio gruppo d’appartenenza o singolarmente, ad elaborare suggerimenti e proporre rimedi più che necessari alle difficoltà che attanagliano l’universo femminile in Italia. Con la speranza che i media seguano e divulghino questo lavoro quanto più correttamente possibile, perché le donne tartarugate o palestrate non sono di certo l’emblema del neo femminismo nostrano. Semmai il suo obiettivo prioritario è che di donne gambizzate o vittime di femminicidio se ne contino sempre meno, soprattutto se la classe politica riuscirà a coniugare alle parole annunciate, ai drappi rossi esposti ed alle sale delle donne inaugurate soluzioni in grado di contrastare in tutta la società italiana il concetto che alcune vite contino di meno delle altre, agendo conseguentemente a questo impegno ideale.
C’è da auspicarsi che nel solco della riuscita di questa mobilitazione di piazza ognuna lavori, nel proprio gruppo d’appartenenza o singolarmente, ad elaborare suggerimenti e proporre rimedi più che necessari alle difficoltà che attanagliano l’universo femminile in Italia. Con la speranza che i media seguano e divulghino questo lavoro quanto più correttamente possibile, perché le donne tartarugate o palestrate non sono di certo l’emblema del neo femminismo nostrano. Semmai il suo obiettivo prioritario è che di donne gambizzate o vittime di femminicidio se ne contino sempre meno, soprattutto se la classe politica riuscirà a coniugare alle parole annunciate, ai drappi rossi esposti ed alle sale delle donne inaugurate soluzioni in grado di contrastare in tutta la società italiana il concetto che alcune vite contino di meno delle altre, agendo conseguentemente a questo impegno ideale.
| 26 Agosto 2016
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