Vi invito a leggere almeno la parte con lo sfondo verde: il richiamo a vivere la comunione fraterna è stato sempre l’asse portante della vita del credente… (le evidenziazioni sono mie). Ausilia
martedì 30 agosto 2016
Lisa Cremaschi Padri Chiesa: Basilio
“Scaccia
dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun
altro”
La vita cristiana secondo Basilio di Cesarea
La vita cristiana secondo Basilio di Cesarea
“Come la Parola vuole che
siano i cristiani Quali discepoli di Cristo, modellati soltanto su ciò che
vedono in lui o che da lui odono” (Regole morali 80,1).
Così scrive Basilio nella sezione conclusiva delle Regole morali, un’ampia raccolta di testi biblici sapientemente accostati e congiunti da brevi e densissime parole di commento. Queste parole mi sembrano sintetizzare e sigillare il cammino di Basilio, discepolo del Signore, che nella sua instancabile e fecondissima attività di fondatore della vita monastica in Cappadocia e di pastore colmo di sollecitudine per tutte le chiese, non cercò altro che l’obbedienza alla parola del Signore “lottando secondo le regole” (2Tm 2,5).
Nel 355 Basilio, che all’epoca aveva circa venticinque anni, si reca ad Atene a perfezionare i suoi studi, ma qui una crisi esistenziale e spirituale lo induce a tornare in patria dove riceve il battesimo; poco dopo parte per un pellegrinaggio nei luoghi monastici dell’Egitto, della Palestina, della Siria e della Cappadocia. Rientrato, si stabilisce ad Annisoi, nel Ponto, dove dà vita a una comunità di lavoro, preghiera, studio biblico ispirata agli insegnamenti di Eustazio, vescovo di Sebaste. Costui rimproverava alla chiesa del suo tempo d’aver ceduto allo spirito di mondanizzazione e predicava il ritorno a un’obbedienza fedele all’evangelo. La sua sete di radicalità evangelica e il suo amore appassionato per il Signore gli avevano guadagnato molti discepoli, ma l’adesione di Basilio al movimento eustaziano non fu acritica. Uomo di raro equilibrio e dotato di profondo senso ecclesiale, se da un lato fece proprio il radicalismo di Eustazio e il suo profondo desiderio di una chiesa più fedele alle istanze evangeliche, si tenne lontano d’altra parte dal suo rigorismo ascetico e dal suo spirito settario.
Nel 360, Basilio, che nel frattempo è stato ordinato lettore, partecipa al concilio di Costantinopoli, un concilio nel quale i vescovi, e tra gli altri il vescovo di Cesarea e l’amato Eustazio di Sebaste, per timore del potere imperiale, sottoscrivono una formula di fede semiariana. Basilio, scandalizzato e profondamente deluso, cerca forza, luce, coraggio nella parola di Dio. Si ritira ad Annisoi e qui compone La lettera sulla concordia, un testo severo, in cui rimprovera con estremo vigore la chiesa del suo tempo. E il primo grave rimprovero che Basilio rivolge alla sua chiesa è quello di ignorare la Scrittura. Una chiesa che non conosce la parola di Dio, che non vive di essa, né ad essa vuole sottomettersi seguirà inevitabilmente quelle che egli chiama le “tradizioni umane” o le convenienze umane. Basilio insorge contro le norme accomodanti della chiesa costantiniana che ha rinnegato la purezza evangelica, si erge contro “la perversa tradizione degli uomini” (Lettera sulla concordia 7), che insegna a distinguere tra peccati gravi e peccati lievi, distinzione che porta in realtà a una terribile autogiustificazione. “Ci ha ingannati la pessima consuetudine, dunque la causa dei grandi mali che ci sono accaduti è la perversa tradizione degli uomini che ci insegna a evitare certi peccati e ad ammetterne altri con indifferenza! Contro alcuni ha l’aria di sdegnarsi violentemente, per esempio contro l’omicidio, l’adulterio e simili; ma è certo che altri non li considera degni neppure di un lieve rimprovero” (Ibid.). Basilio denuncia una falsa conoscenza di Dio, un travisamento della misericordia. “Dio è buono, ma è anche giusto. É del giusto retribuire secondo il merito ... É misericordioso, ma è anche giudice ... Non dobbiamo dunque conoscere Dio solo a metà, né prendere come pretesto per l’indolenza il suo amore per gli uomini” (Proemio alle Regole diffuse).
Basilio, ordinato presbitero, dopo breve tempo di fronte a malintesi sorti con il vescovo, ritorna ad Annisoi e da qui, sostituendo Eustazio condannato all’esilio, guida le comunità cristiane che a lui si ispiravano. Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in un luogo isolato, forse in una ritraduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le successive comunità sono disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla periferia della città come quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità, spesso doppie - maschile e femminile - crebbero rapidamente. Modello concreto della comunità basiliana è la chiesa primitiva di Gerusalemme. Il ricordo e la nostalgia della comunità cristiana primitiva, da cui Basilio è in certo modo “ossessionato”, diventa progetto concreto e proposta di riforma per la chiesa tutta. Lavoro, preghiera comune, servizio dei poveri nella sottomissione fraterna e nella carità scandivano la giornata del fratello e della sorella basiliani. La vicinanza ai luoghi abitati favoriva l’esercizio dell’ospitalità che in taluni casi, ad esempio a Cesarea di Cappadocia, si strutturava con caratteri peculiari e si apriva all’accoglienza di orfani e malati.
Basilio riconosce l’esistenza di diverse vocazioni, ma ribadisce che le singole vocazioni non sono che modi particolari per realizzare lo scopo della vita cristiana che è unico per tutti: il piacere a Dio. Tutti, senza distinzione, dobbiamo vivere radicalmente il battesimo. Non troviamo mai negli scritti di Basilio alcun termine tecnico per caratterizzare la vita della comunità, non si parla mai di “monaco”, bensì semplicemente di “fratello”; non si ricorre mai al termine “monastero”, ma a quello evangelico di adelphótes, “fraternità, comunità”. Basilio non ha mai avuto intenzione di comporre una regola; hóros, regola, è per lui soltanto la Scrittura e, per estensione, le Regole morali, cui già si è accennato. Le altre regole, chiamate così da alcuni copisti del VI secolo, sono in realtà una raccolta di Domande e Risposte, conformi a un genere assai diffuso nell’antichità.
Alcuni anni più tardi la Cappadocia è colpita da una violenta carestia. Basilio accogliue i poveri nelle sue comunità, ma predica anche contro l’ingiusta ricchezza. Gregorio di Nazianzo scrive che “con la sua parola e le sue esortazioni fa aprire ai ricchi i loro granai” (Discorso 43,35). La condizione sociale del povero e del ricco, ricordava, non è voluta da Dio; è frutto del peccato dell’uomo, dell’avaro che muta il superfluo in necessario, che è ladro perché muta in possesso ciò di cui ha soltanto l’amministrazione. “‘A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?’, dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a lui solo suo quello che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso. ... Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito. Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare” (Omelia 6,7).
Nel 370 Basilio è eletto vescovo di Cesarea. In Cappadocia infuria la persecuzione dell’imperatore ariano Valente. Basilio resiste con fermezza e coraggio alle sue minacce, riorganizza la chiesa di Cappadocia istituendo una serie di nuove diocesi e affidandole alla guida dei suoi amici fedeli alla fede di Nicea, stringe legami di comunione con le chiese d’oriente e di occidente, supplica il vescovo di Roma di inviare una delegazione occidentale a visitare le chiese d’oriente. Basilio è un uomo di comunione, nonostante le asprezze di un carattere non facile, nonostante una forte propensione all’autoritarismo; l’amico Gregorio ebbe modo di conoscere e sperimentare da vicino questi limiti e le pesanti conseguenze che ebbero sulla sua vita. Ma in Basilio la volontà di comunione è più forte dei suoi limiti umani; anche laddove rasenta la rottura con gli amici più cari, egli sa andare oltre i malintesi, le frizioni, le opposizioni di temperamenti profondamente diversi per cercare sempre ciò che unisce, perché l’amore, l’amicizia, la fraternità, la comunione trionfino sempre su ogni tentazione di lacerazione, di divisione, di opposizione. “Ti prego, scaccia dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun altro. Non è infatti degno di chi cammina secondo carità né di chi compie il comando del Signore separarsi dalla comunione con i fratelli” (Lettera 65). Queste parole indirizzate ad Atarbio, vescovo di Neo-Cesarea nel Ponto, esprimono la convinzione profonda che ha caratterizzato l’intera vita di Basilio. Consapevole che la sympnóia, il respiro all’unisono è richiesto dall’evangelo, cerca con ogni mezzo di lavorare per la pace: cerca la pace con il vescovo di Cesarea, Dianio, che per motivi di gelosia l’aveva costretto a lasciare la città; con Eustazio, l’antico maestro sedotto dall’eresia; con i vescovi suffraganei della Cappadocia; con le chiese dell’Asia minore; con le chiese di occidente ... Al più piccolo segno di comunione esprime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al bisogno. A giustificazione dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere un profitto personale.
É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica, il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa, primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
Così scrive Basilio nella sezione conclusiva delle Regole morali, un’ampia raccolta di testi biblici sapientemente accostati e congiunti da brevi e densissime parole di commento. Queste parole mi sembrano sintetizzare e sigillare il cammino di Basilio, discepolo del Signore, che nella sua instancabile e fecondissima attività di fondatore della vita monastica in Cappadocia e di pastore colmo di sollecitudine per tutte le chiese, non cercò altro che l’obbedienza alla parola del Signore “lottando secondo le regole” (2Tm 2,5).
Nel 355 Basilio, che all’epoca aveva circa venticinque anni, si reca ad Atene a perfezionare i suoi studi, ma qui una crisi esistenziale e spirituale lo induce a tornare in patria dove riceve il battesimo; poco dopo parte per un pellegrinaggio nei luoghi monastici dell’Egitto, della Palestina, della Siria e della Cappadocia. Rientrato, si stabilisce ad Annisoi, nel Ponto, dove dà vita a una comunità di lavoro, preghiera, studio biblico ispirata agli insegnamenti di Eustazio, vescovo di Sebaste. Costui rimproverava alla chiesa del suo tempo d’aver ceduto allo spirito di mondanizzazione e predicava il ritorno a un’obbedienza fedele all’evangelo. La sua sete di radicalità evangelica e il suo amore appassionato per il Signore gli avevano guadagnato molti discepoli, ma l’adesione di Basilio al movimento eustaziano non fu acritica. Uomo di raro equilibrio e dotato di profondo senso ecclesiale, se da un lato fece proprio il radicalismo di Eustazio e il suo profondo desiderio di una chiesa più fedele alle istanze evangeliche, si tenne lontano d’altra parte dal suo rigorismo ascetico e dal suo spirito settario.
Nel 360, Basilio, che nel frattempo è stato ordinato lettore, partecipa al concilio di Costantinopoli, un concilio nel quale i vescovi, e tra gli altri il vescovo di Cesarea e l’amato Eustazio di Sebaste, per timore del potere imperiale, sottoscrivono una formula di fede semiariana. Basilio, scandalizzato e profondamente deluso, cerca forza, luce, coraggio nella parola di Dio. Si ritira ad Annisoi e qui compone La lettera sulla concordia, un testo severo, in cui rimprovera con estremo vigore la chiesa del suo tempo. E il primo grave rimprovero che Basilio rivolge alla sua chiesa è quello di ignorare la Scrittura. Una chiesa che non conosce la parola di Dio, che non vive di essa, né ad essa vuole sottomettersi seguirà inevitabilmente quelle che egli chiama le “tradizioni umane” o le convenienze umane. Basilio insorge contro le norme accomodanti della chiesa costantiniana che ha rinnegato la purezza evangelica, si erge contro “la perversa tradizione degli uomini” (Lettera sulla concordia 7), che insegna a distinguere tra peccati gravi e peccati lievi, distinzione che porta in realtà a una terribile autogiustificazione. “Ci ha ingannati la pessima consuetudine, dunque la causa dei grandi mali che ci sono accaduti è la perversa tradizione degli uomini che ci insegna a evitare certi peccati e ad ammetterne altri con indifferenza! Contro alcuni ha l’aria di sdegnarsi violentemente, per esempio contro l’omicidio, l’adulterio e simili; ma è certo che altri non li considera degni neppure di un lieve rimprovero” (Ibid.). Basilio denuncia una falsa conoscenza di Dio, un travisamento della misericordia. “Dio è buono, ma è anche giusto. É del giusto retribuire secondo il merito ... É misericordioso, ma è anche giudice ... Non dobbiamo dunque conoscere Dio solo a metà, né prendere come pretesto per l’indolenza il suo amore per gli uomini” (Proemio alle Regole diffuse).
Basilio, ordinato presbitero, dopo breve tempo di fronte a malintesi sorti con il vescovo, ritorna ad Annisoi e da qui, sostituendo Eustazio condannato all’esilio, guida le comunità cristiane che a lui si ispiravano. Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in un luogo isolato, forse in una ritraduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le successive comunità sono disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla periferia della città come quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità, spesso doppie - maschile e femminile - crebbero rapidamente. Modello concreto della comunità basiliana è la chiesa primitiva di Gerusalemme. Il ricordo e la nostalgia della comunità cristiana primitiva, da cui Basilio è in certo modo “ossessionato”, diventa progetto concreto e proposta di riforma per la chiesa tutta. Lavoro, preghiera comune, servizio dei poveri nella sottomissione fraterna e nella carità scandivano la giornata del fratello e della sorella basiliani. La vicinanza ai luoghi abitati favoriva l’esercizio dell’ospitalità che in taluni casi, ad esempio a Cesarea di Cappadocia, si strutturava con caratteri peculiari e si apriva all’accoglienza di orfani e malati.
Basilio riconosce l’esistenza di diverse vocazioni, ma ribadisce che le singole vocazioni non sono che modi particolari per realizzare lo scopo della vita cristiana che è unico per tutti: il piacere a Dio. Tutti, senza distinzione, dobbiamo vivere radicalmente il battesimo. Non troviamo mai negli scritti di Basilio alcun termine tecnico per caratterizzare la vita della comunità, non si parla mai di “monaco”, bensì semplicemente di “fratello”; non si ricorre mai al termine “monastero”, ma a quello evangelico di adelphótes, “fraternità, comunità”. Basilio non ha mai avuto intenzione di comporre una regola; hóros, regola, è per lui soltanto la Scrittura e, per estensione, le Regole morali, cui già si è accennato. Le altre regole, chiamate così da alcuni copisti del VI secolo, sono in realtà una raccolta di Domande e Risposte, conformi a un genere assai diffuso nell’antichità.
Alcuni anni più tardi la Cappadocia è colpita da una violenta carestia. Basilio accogliue i poveri nelle sue comunità, ma predica anche contro l’ingiusta ricchezza. Gregorio di Nazianzo scrive che “con la sua parola e le sue esortazioni fa aprire ai ricchi i loro granai” (Discorso 43,35). La condizione sociale del povero e del ricco, ricordava, non è voluta da Dio; è frutto del peccato dell’uomo, dell’avaro che muta il superfluo in necessario, che è ladro perché muta in possesso ciò di cui ha soltanto l’amministrazione. “‘A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?’, dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a lui solo suo quello che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso. ... Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito. Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare” (Omelia 6,7).
Nel 370 Basilio è eletto vescovo di Cesarea. In Cappadocia infuria la persecuzione dell’imperatore ariano Valente. Basilio resiste con fermezza e coraggio alle sue minacce, riorganizza la chiesa di Cappadocia istituendo una serie di nuove diocesi e affidandole alla guida dei suoi amici fedeli alla fede di Nicea, stringe legami di comunione con le chiese d’oriente e di occidente, supplica il vescovo di Roma di inviare una delegazione occidentale a visitare le chiese d’oriente. Basilio è un uomo di comunione, nonostante le asprezze di un carattere non facile, nonostante una forte propensione all’autoritarismo; l’amico Gregorio ebbe modo di conoscere e sperimentare da vicino questi limiti e le pesanti conseguenze che ebbero sulla sua vita. Ma in Basilio la volontà di comunione è più forte dei suoi limiti umani; anche laddove rasenta la rottura con gli amici più cari, egli sa andare oltre i malintesi, le frizioni, le opposizioni di temperamenti profondamente diversi per cercare sempre ciò che unisce, perché l’amore, l’amicizia, la fraternità, la comunione trionfino sempre su ogni tentazione di lacerazione, di divisione, di opposizione. “Ti prego, scaccia dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun altro. Non è infatti degno di chi cammina secondo carità né di chi compie il comando del Signore separarsi dalla comunione con i fratelli” (Lettera 65). Queste parole indirizzate ad Atarbio, vescovo di Neo-Cesarea nel Ponto, esprimono la convinzione profonda che ha caratterizzato l’intera vita di Basilio. Consapevole che la sympnóia, il respiro all’unisono è richiesto dall’evangelo, cerca con ogni mezzo di lavorare per la pace: cerca la pace con il vescovo di Cesarea, Dianio, che per motivi di gelosia l’aveva costretto a lasciare la città; con Eustazio, l’antico maestro sedotto dall’eresia; con i vescovi suffraganei della Cappadocia; con le chiese dell’Asia minore; con le chiese di occidente ... Al più piccolo segno di comunione esprime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al bisogno. A giustificazione dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere un profitto personale.
É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica, il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa, primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
prime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli
alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che
talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e
al bisogno. A giustificazione
dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese
d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto
questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che
separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai
viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica
assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di
difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per
trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della
diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere
un profitto personale. É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la
pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di
risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in
terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di
grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica,
il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso
di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa,
primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno
soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu
hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io
in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
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