“La coscienza femminile confusa” e la solitudine
delle donne al potere
di Rosaria Guacci
Luisa Muraro ha
chiamato apparente “coscienza femminile confusa” l’aver votato sì al recente
referendum costituzionale e avere nello stesso tempo tirato un respiro di
sollievo per la vittoria del no: avrebbe quindi votato due volte e i due voti
sarebbero ugualmente validi. «In questo caso», lei dice, «è piuttosto evidente
che l’obbligo di scegliere non è veramente democratico e non lo è neanche
costringersi all’astensione, come qualcuno ha suggerito di fare. Perciò mi sono
autorizzata a votare due volte, sì e no, ed entrambi i voti sono validi…». Il
suo ragionamento mi sembra un sollecitante paradosso filosofico che ha ricadute
politiche importanti – per politica intendendo la politica delle donne, che
assumo come l’unica valida. Le buone argomentazioni di Muraro si possono
leggere nel sito della Libreria alla voce Contributi; a me interessa in
particolare la questione della cosiddetta coscienza femminile confusa rispetto
a un non voler scegliere tra due quesiti mal posti – il sì o il no al
referendum costituzionale appena trascorso – di fatto scegliendoli entrambe,
quindi raddoppiando. Ben venga una coscienza siffatta, scrive Luisa e io
concordo. La doppia assunzione/esclusione di entrambi i pronunciamenti è buona
per me perché non voglio dover rispondere a due quesiti antitetici in un
processo esclusivamente binario: avrei voluto una terza o magari molte altre
soluzioni/situazioni in cui pronunciarmi. Inoltre – e qui sta per me il punto –
«l’obbligo di scegliere non era democratico». Molto vero soprattutto per le
donne. Credo che noi apparteniamo ancora alla “società delle estranee” di cui
scriveva Virginia Woolf nelle Tre ghinee. Certo, il problema non sta più
nel non poter entrare nelle biblioteche o nel dover subire destini imposti.
Come hanno scritto in tante a partire da Lia Cigarini in apertura della recente
redazione allargata di Via Dogana on line, le donne sono dappertutto, in ogni
comparto sociale, e ci stanno in posizione molto visibile ed esposta.
Soprattutto esposta, mi sembra. Spesso il potere che le donne esposte
rivestono, diverso dall’autorità femminile che intendo capace di circolare con
ricchezza e libertà, è una sorta di camicia di Nesso che le avvelena
costringendole, sempre seguendo il mito, a gettarsi in roghi che rischiano di
incenerirle: le polemiche circa la sindaca romana Virginia Raggi o la nuova
ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli sono sotto gli occhi e alla portata di
orecchio di tutte/tutti.
Raggi appare stretta in regole non sue, che contrastano con le sue decisioni, e Fedeli, in un mondo come l’attuale, meritocratico e alieno dalla promozione delle competenze squisitamente politiche che si ricercavano negli anni ’70, appare una ministra “non laureata”, alla lettera. Entrambe mandate allo sbaraglio dai loro movimenti e partiti; entrambe, come mi sembra, non sorrette da relazioni con le loro simili – che non cercano o che non trovano bell’e pronte e che comunque non dichiarano – che potrebbero servir loro a fare meglio. È vero, dà una bella energia vedere donne vincenti. Ma quella di alcune di loro, di noi, forse anche, è una vittoria effettiva o un impegno assunto in base a vincoli esterni ed estranei a sé che possono trasformarsi in catene? Di esempi ne ho fatti due ma si potrebbe farne altri ancora. Mi chiedo: di fronte a un mondo ancora cogente per regole precostituite all’affermazione delle donne – quando esse siano in posizione di forza dettate dall’esterno e forse non ancora in grado di dettare regole proprie – non sarebbe più proficuo lavorare ad accrescere credibilità, competenza, autorità seguendo i propri intuito ed esperienza e negandosi alla cooptazione? Dire in questo caso un “no” ben chiaro? Mi piacerebbe discutere di questo fuori da ideologia e idealizzazioni.
Raggi appare stretta in regole non sue, che contrastano con le sue decisioni, e Fedeli, in un mondo come l’attuale, meritocratico e alieno dalla promozione delle competenze squisitamente politiche che si ricercavano negli anni ’70, appare una ministra “non laureata”, alla lettera. Entrambe mandate allo sbaraglio dai loro movimenti e partiti; entrambe, come mi sembra, non sorrette da relazioni con le loro simili – che non cercano o che non trovano bell’e pronte e che comunque non dichiarano – che potrebbero servir loro a fare meglio. È vero, dà una bella energia vedere donne vincenti. Ma quella di alcune di loro, di noi, forse anche, è una vittoria effettiva o un impegno assunto in base a vincoli esterni ed estranei a sé che possono trasformarsi in catene? Di esempi ne ho fatti due ma si potrebbe farne altri ancora. Mi chiedo: di fronte a un mondo ancora cogente per regole precostituite all’affermazione delle donne – quando esse siano in posizione di forza dettate dall’esterno e forse non ancora in grado di dettare regole proprie – non sarebbe più proficuo lavorare ad accrescere credibilità, competenza, autorità seguendo i propri intuito ed esperienza e negandosi alla cooptazione? Dire in questo caso un “no” ben chiaro? Mi piacerebbe discutere di questo fuori da ideologia e idealizzazioni.
(www.libreriadelledonne.it,
22 dicembre 2016)
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