UDI / Il contributo
delle donne nella lotta contro la Mafia
Nel venticinquesimo anniversario delle stragi
di Capaci e via D'Amelio l'Udi ricorda il contributo delle donne
inserito da Redazione
23 MAGGIO 2017 - IL CONTRIBUTO DELLE DONNE
NEL VENTICINQUESIMO DELLE STRAGI DI MAFIA
L’Unione Donne in Italia vuole ricordare il contributo delle donne nella ricerca della verità e della giustizia soprattutto in occasione del Venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
NEL VENTICINQUESIMO DELLE STRAGI DI MAFIA
L’Unione Donne in Italia vuole ricordare il contributo delle donne nella ricerca della verità e della giustizia soprattutto in occasione del Venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
La magistrata Francesca Morvillo, la poliziotta Emanuela Loi, la
compagna di una vita di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto.
Le donne vengono spesso liquidate semplicemente come ‘la moglie
di’ oppure la ‘poliziotta’, noi vogliamo ricordarle nel loro impegno concreto.
Pensiamo a Francesca Morvillo che sposò Giovanni Falcone e pochi
ricordano che fu essa stessa una integerrima magistrata, riservata, schiva da
ogni clamore, ma testimone di una genuina ricerca della giustizia. Figlia di un
magistrato -Guido Morvillo e sorella di Alfredo Morvillo attuale procuratore-,
la sua famiglia affonda le radici nel lontano Risorgimento. La descrive così la
prima magistrata di Palermo, Maria Teresa Ambrosini, amica e collega di
Francesca: “La incontrai nuovamente nel febbraio del 1972 allorchè, dopo un
anno circa di permanenza presso la sezione penale del Tribunale di Agrigento,
venne trasferita alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i
Minorenni di Palermo, in quello stesso Tribunale ove anch’io negli stessi
giorni mi ero immessa quale giudice, a seguito della istituzione di autonoma
pianta organica di quegli uffici giudiziari. Abbiamo affrontato insieme, per
lunghi anni, l’esperienza minorile che ci gravava di ansia, di inquietudine e
di un impegno vigile e sollecito per la delicatezza delle situazioni
coinvolgenti soggetti fragili, dalla personalità ancora in formazione.
Francesca amava il contatto con i giovani: l’aveva già sperimentato nella Sua
esperienza d’insegnamento, attività che Le era estremamente congeniale e che
aveva svolto prima, durante l’Università nelle scuole elementari di un istituto
per figli di detenuti e poi, per un anno, dopo la laurea, quale docente di
diritto in un istituto tecnico statale. Tale esperienza, e in particolare
quella vissuta con i piccoli svantaggiati dalla detenzione del padre, La portò
a scegliere le funzioni di giudice minorile, aiutandola nell’approccio con i
ragazzi e nella comprensione della loro personalità. L’estrema dignità ed
umanità e il grandissimo equilibrio con il quale svolgeva il Suo ruolo hanno
fatto sì che Essa non sia stata e non sarà mai dimenticata da tutti coloro che
con Lei hanno avuto modo di lavorare”.
Francesca Morvillo ogniqualvolta doveva chiedere una condanna per un minore sentiva su di sé il peso di un’ingiustizia nei confronti di un minore: ”La vita lo ha penalizzato due volte”, diceva. Con Giovanni Falcone non sposa solo l’uomo ma la sua stessa idea di giustizia, super partes di fronte alla ricerca del vero.
Francesca Morvillo ogniqualvolta doveva chiedere una condanna per un minore sentiva su di sé il peso di un’ingiustizia nei confronti di un minore: ”La vita lo ha penalizzato due volte”, diceva. Con Giovanni Falcone non sposa solo l’uomo ma la sua stessa idea di giustizia, super partes di fronte alla ricerca del vero.
L’amore per Giovanni è inscindibile dal suo amore per la giustizia.
È Francesca –racconta Paolo Borsellino il 2 giugno 1992- che
consiglia a Giovanni le strategie più lucide, più razionali quando viene
attaccato dall’interno stessa della magistratura. È Francesca che gli corregge
alcuni provvedimenti giudiziari a matita con delle note delicate in basso, lo
racconta l’amico magistrato Giuseppe Ayala.
Emanuela Loi, di origini sarde, dopo aver preso un diploma
magistrale, entrò nella polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso
presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Trasferita a Palermo non si era mai
tirata indietro dinanzi ai compiti più difficili e pericolosi fino ad essere
assegnata alla scorta del magistrato Paolo Borsellino che negli ultimi mesi di
vita diceva di sentirsi già morto: sapeva che sarebbe toccato a lui. Emanuela
con gli altri colleghi avvertivano ad ogni spostamento che poteva toccare a
loro la prossima carica di esplosivo. Aveva appena 25 anni e aveva paura in
quell’estate siciliana.
È la prima donna assegnata alle scorte e la prima poliziotta ad
essere uccisa.
Agnese Piraino Leto, compagna di una vita di Paolo Borsellino,
ha testimoniato con forza nei vari processi depistati di via D’Amelio, tutto
ciò che Paolo le aveva confidato: “l’odore della morte”, fino a pochi giorni
prima di morire, taluni incontri istituzionali equivoci e inquietanti, le
minacce e la solitudine del padre dei suoi figli.
“Paolo era la giustizia”, ripeteva Agnese che con Lucia,
Fiammetta e Manfredi ancora ragazzini, nel 1985 aveva subito l’isolamento
dell’Asinara con Paolo - stessa sorte toccò a Falcone e alla sua famiglia - per
garantire il primo maxiprocesso. Una delle figlie di Agnese e Paolo si era
ammalata per essere stata strappata al contesto quotidiano spensierato della
sua adolescenza.
Fu Agnese a rifiutare il rito di stato preferendo per Paolo funerali privati, accusando il governo di non aver saputo proteggere il marito: "Non meritavano questi uomini", ebbe a dire, facendo riferimento ai politici che non avrebbero meritato di presenziare alla cerimonia funebre del marito.
Senza alcun dubbio possiamo affermare che né Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, né Francesca Morvillo, né gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro né Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina siano stati realmente tutelati dallo Stato in quegli anni. Non c’era un elicottero a Capaci preposto a seguire il corteo blindato, non era stata effettuata una bonifica sul tragitto.
Fu Agnese a rifiutare il rito di stato preferendo per Paolo funerali privati, accusando il governo di non aver saputo proteggere il marito: "Non meritavano questi uomini", ebbe a dire, facendo riferimento ai politici che non avrebbero meritato di presenziare alla cerimonia funebre del marito.
Senza alcun dubbio possiamo affermare che né Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, né Francesca Morvillo, né gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro né Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina siano stati realmente tutelati dallo Stato in quegli anni. Non c’era un elicottero a Capaci preposto a seguire il corteo blindato, non era stata effettuata una bonifica sul tragitto.
In via D’Amelio – nonostante la strage di Capaci - si è ripetuto
lo stesso copione. Siamo consapevoli che i nemici e le nemiche delle mafie
rimangano oggi solo chi realmente si oppone a vari livelli - dalla gestione dei
territori, all’economia, all’organizzazione del lavoro in determinati ambienti
lavorativi - a quegli interessi sempre più ampi e più vasti che stanno mettendo
a rischio la democrazia nel nostro Paese fondamentale per tutti e per le donne
in particolare.
Per questo, in questi giorni in cui si ripercorrono le vite di
Falcone e Borsellino, le due grandi figure che la mafia ci ha sottratto, l’UDI
vuole anche riportare al ricordo collettivo l’esempio di queste tre donne
vittime dirette e indirette della stessa stagione nera messa in atto da una
mafia violenta e assassina, e che pur consapevoli del rischio non si sono
sottratte a perseguire una scelta di vita giusta. E con loro, tante altre donne
di altre stagioni aspettano di essere nominate.
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