di J.M. Castillo su LA CHIESA E LA FAMIGLIA
Che cosa vuole
risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la
famiglia in questo momento?
Come è logico, la
prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è che i problemi trattati al Sinodo non sono
quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza delle
famiglie nel mondo.
L'angoscioso problema
della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con cui
arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della
sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno, questi
argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto ci
risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle commissioni
o sessioni del Sinodo.
Questo dà motivo di
pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che quelli che
hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che possono dare
l'impressione di essere più preoccupati
per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per le sofferenze
e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche più di quante
immaginiamo.
Non è necessario
essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi logicamente la
domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli argomenti che ho
appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli economisti e dai
politici.
Anche nell'ipotesi
che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente l'economia e
la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i politici? Ed
allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della gente, i
diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo o
dobbiamo far nulla?
Questa è la prima
grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare soprattutto, e
prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi capi. Lo dico per tempo, quando ancora abbiamo un
anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando ai
problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla
gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa?
Gente che “si ama”? O gente che “si sottomette”?
Confesso che queste
domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io stesso sto
vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da quando sono
coinvolto in ambienti clericali.
Tanto in Spagna che
fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che i
problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo.
Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono
risolti.
Mentre i temi legati
all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza
della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza
risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza, che
di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è davanti
agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano ad
allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze, mentre
quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la questione
posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in generale,
problemi legati al sesso.
Ecco, per fare un
esempio, vediamo la differenza di
trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri
oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci porta
– a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni
affrontano in maniera tanto diversa i
problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle
“relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di vista
della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa materia,
Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto un’unità
economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo
familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della
proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il
matrimonio non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era
considerato il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad. it., Il mondo
che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la
proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore
determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua
origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la
famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non
si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi
membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era
rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si concentrava
tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea paterna
stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo potere.
Più ancora, un figlio
non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse
diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere
proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva
unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G.
Stein, El Derecho romano en la historia
de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il
diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente
suo questo diritto.
In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia, dell’anno 619,
definisce il diritto romano come lex
mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero
sottomettersi tutti i popoli (cf. E. Cortese, Le Grandi Linee della Storia Giuridica Medievale, Il Cigno GG
Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in questo
contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la Chiesa, man
mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato dall'Impero
romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo sistema organizzativo
quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a quello
che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in materia: “La religione è generalmente accettata come
un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a
superiori invisibili” (Walter Burkert, La
creación de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche
nell'esperienza religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le
teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa
sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la
“sottomissione”. E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa
sottomissione, i rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono
limitati da una religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si
può dimostrare che alcuni sono preumani” (op.
cit., p. 156).
La sottomissione, a
partire dalle società preumane, si esprime creando l'impressione che uno
produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra, strisciando,
insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato che i rituali
religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression,
Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad. it., L’aggressività,
Il Saggiatore, Milano 2008]; I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen,
Munich, 1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore
e odio. Per una storia naturale dei
comportamenti elementari, Adelphi,
Milano 1996]).
Ebbene, la cosa più sorprendente,
in tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi base della
famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte
fanno riferimento tanto alla famiglia quanto alla religione. Sappiamo, infatti,
che Gesù, sia per quanto si riferisce alla famiglia sia per quanto riguarda la
religione, ha assunto pubblicamente e
senza ambiguità un atteggiamento sommamente critico. Mi spiego.
Per quanto riguarda
la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti costanti e
crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali. A questo si
riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi sacerdoti e gli
anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere
all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e
all'esecuzione violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái (Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma
i ribelli politici, come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è
stato l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la
religione di Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione
(come il Dio che rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell'
“umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e
tuttavia non è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è
neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello
che si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua
famiglia furono tese e complicate: i
suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo
disprezzavano perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra
parte, la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di
abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno
gli dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù
fu di dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono
in pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per quanto
si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire che
non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in
particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53;
14, 26-27).
Anzi, Gesù arrivò a
toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate 'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una
proibizione così forte, in quella cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di
quel modello di relazioni familiari. I grandi, gli importanti, non sono i
“padri” ed i “gerarchi”, ma i “bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di
quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire tutto
questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di
parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano
che viene al mondo.
Al contrario, le
relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e da
sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si
basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più bella,
più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro e
in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto
determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione,
né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma
quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri,
con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si
basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale
le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale
comunicazione possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio
l'esperienza ci dice che dove c'è
affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul
sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto conto
di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna la
domanda iniziale: che cosa vuole la
Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente, papa Francesco, convocando e programmando il
sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere a problemi urgenti che riguardano
migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna supporre che papa Francesco, convocando
questo sinodo, esigendo libertà di parola sui problemi e trasparenza
nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni sinodali, quello che ha
fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di marcia indietro, un
processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti che, in questo
momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è accaduto è che, non solo si è messo in moto
questo processo, ma, oltre a questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa
persiste molto vivo un settore importante di clero (a tutti i livelli) e di
laici che identificano le credenze cristiane con posizioni immobiliste e
intolleranti che, per di più, dal punto
di vista della più documentata, sana e ortodossa teologia, sono posizioni
indimostrabili.
E, pertanto, posizioni che nascondono pretese
inconfessabili di potere e autorità che si orientano di più a mantenere intatta
la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare la “libertà” che nasce
dall'affetto tra gli esseri umani.
La
situazione è delicata. Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella
Chiesa.
Però non possiamo stare in modo incondizionato con coloro
che identificano il cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di
riti sacri, che produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un
passato e ad una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in
cui viviamo.
Un cristianesimo così, produce persone molto religiose e un
clero fedele a gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i
privilegi che offre loro il potere politico che con la libertà indispensabile
per ottenere una società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo
vivere in giustizia e uguaglianza di diritti.
Se il nostro progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e
al suo vangelo non abbiamo altro cammino da fare se non l'apertura al futuro
che insieme dobbiamo costruire.
Anzi, se amiamo veramente la Chiesa e vogliamo essere fedeli alla “memoria pericolosa” di
Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci sta aprendo e tracciando papa
Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci porta alla meta a cui aneliamo.
2 commenti:
Articolo molto interessante. Per fare tutto ciò dovrebbero smontare tutto il baraccone costruito da millenni. La vedo dura per papa Francesco, ma qualcuno doveva pur cominciare...
Elsa.
Hai ragione, Elsa, è quasi impossibile smontare il baraccone. io confido, più che nel papa, nel potenziamento dell'interiorità, che tocca a ciascuno di noi, promuovere. Ausilia
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