LETTERA
APERTA A CARMELO
un parere controcorrente
Caro amico, ti scrivo dopo aver letto il tuo interessante libro.
Potrei fare una recensione. Ne ho letto di belle ed
appropriate. Ma non so spiegarti il motivo di un certo mio inghippo, che mi fa
abbandonare l’idea di farne una anch’io. Cerco di capire da me stessa il perché
e ne parlo direttamente con te.
A te interessa far conoscere il tuo libro ad un
pubblico, il quale, leggendolo, si possa fare un’idea di come il carcere non
redima, ma anzi incattivisca; e sia, piuttosto, una vendetta di stato o un
bisogno di allontanare dalla società civile un essere pericoloso.
Tutto questo lo hai già scritto in diversi modi, e
mi auguro che la goccia delle tue accuse alla società civile e alle Autorità riesca
a scavare la roccia dell’insensibilità. Cosa potrei aggiungere io alle tue
denunce?
Ma ti faccio una domanda: questo tuo ultimo libro
cos’è? un romanzo o ancora una nuova segnalazione dell’ingiustizia, del diritto
negato? Ritengo che tu vorresti far capire il tuo pensiero con mille
argomentazioni, tra le quali la più valida mi pare sia quella di far maturare
nella coscienza collettiva la consapevolezza che infliggere al colpevole una
pena terribile e nello stesso tempo
infinita, ottiene un effetto devastante, perché non redime, anzi recide quel
che resta di umano nella stessa pena.
Il tuo libro, sia un romanzo, o sia un’originale
scrittura di denunzia, ruota sempre attorno al tuo caso, anche se,
lodevolmente, ti fai carico di parlare anche a nome degli altri che non hanno
le tue capacità espressive e si disperano fino a suicidarsi… Le colpe possono
essere di grave, gravissima entità, ma non c’è un briciolo di sano ragionamento
che possa giustificare la legge dell’ergastolo a vita.
Intanto io voglio trasportarti nel versante opposto: quello delle vittime
ferite dal lutto causato da un assassino. Del tutto contrarie al perdono, esse
trovano un certo conforto al proprio immenso dolore, nell’augurarsi che
l’assassino se ne stia recluso in un qualche angolo del carcere, dove una porta
resti chiusa per sempre da una chiave da
buttare. Pare loro impossibile perdonare chi ti uccide un figlio, il marito,
la persona che ami più di te stesso. Né sono aiutate dalla fede cristiana, la
quale propone sempre il perdono, ma senza imporlo.
Lo costatiamo tutti: chi perdona è l’eccezione, è un
eroe della bontà, non una persona che
adempie un dovere di fronte ad un diritto negato.
Io posso trovare giusto adoperarsi perché tale
mentalità non perduri in una società, non dico cristiana, ma nemmeno civile. E
in occasione della pubblicazione del tuo ultimo libro, vorrei far breccia
proprio su tale mentalità sognando, in particolare per te, un percorso diverso.
Mi chiederai dove voglio andare a parare. Cercherò
di proportelo.
Ti vedo di là dalla barricata, dove puoi ruminare notte e giorno per
trovare il modo di reclamare e sperare
contro ogni speranza. E sarà stata insistente la tua idea che il libro possa
aprire, se non la porta, almeno una fessura da cui, chi leggerà, possa dare
un’occhiata per vedere lo squallore di una tana dove viene buttato il reietto,
trattato come animale feroce da domare; meglio, da torturare senza pietà, senza
farlo morire, in modo che si roda di rabbia, in una condizione di non-ritorno.
Chi ha letto l’inferno di Dante quando ritrae le atrocità
della legge del contrappasso, potrebbe farsi un’idea meno vaga dell’infrangersi
di ogni speranza del condannato, tra lo sghignazzo dei demoni….
In questo tuo libro, steso con la bravura di chi sa usare penna, intelligenza e cuore, metti sulla scena due attori
principali. In un passo del libro, gli altri che costituiscono la massa figurano
da scimmie. Dei due protagonisti, uno sei tu in carne ed ossa (e non Lorenzo, nemmeno se gli dai
l’appellativo di SenzaDio); l’altro è
l’Angelo tutore, che è Nadia. E ci
sono anche, ma ritagliati su un cliché ben noto: lo zio Totò e il ragazzo, Claudio, introdotto nel momento terribile
della scena più avvolgente di tutto il ‘romanzo’.
Io intanto continuo a leggere il tuo libro per
vedere come va a finire.
Non mi dilungo per dirti che non risponde ai miei gusti il genere
letterario che hai scelto per fare denunce
e per ringraziare la tua fata; ma forse tu hai buone ragioni per usarlo:
siccome la tua narrazione è coinvolgente perché vera, forse hai fatto bene a
scegliere l’ambientazione e le situazioni sulle quali la ‘gente’ è poco
informata.
Però, se mi leggi un altro po’, io, da amica, mi
permetterò di proporti altro. E non a livello di scrittura dove tutto scorre bene
(però i capoversi sono troppi e sono d’intralcio all’espansione del pensiero di
chi legge).
Ti trascinerò ad una riflessione (a tua consolazione,
aggiungo che ogni buon libro fa riflettere).
Siccome una grossa parte dell’opinione pubblica, soprattutto di questi
tempi, è contro l’eccessiva benevolenza verso i carcerati, io, al tuo posto, avrei
narrato di un Lorenzo torturato dentro,
ancora più che dalla pena, dal suo rimorso, fino alla….. conversione.
Ricordi l’Innominato?
La pagina della sua conversione è di una bellezza ineffabile.
Ritrae il prodigio della macerazione interiore del più grande, implacabile
personaggio, di fronte al quale avrebbe avuto paura perfino lo zio Totò e anche il SenzaDio. Invece l’Innominato riesce a
commuoversi fino a piangere nell’ascoltare le lacrime di una ragazza del popolo
senza protezione, rannicchiata nell’angolo di uno stanzone dove, dietro suo
comando, era rinchiusa. Gli martella il cuore il sentirsi ripetere: Dio perdona tante cose per un’opera di
misericordia.
Per l’amor del cielo, non fraintendermi! Non sto optando per la tua
conversione. Ti sto dicendo semplicemente che saresti ben capace di stendere
una pagina davvero unica, suonando un’altra campana: non più quella che ritrae
la cattiveria del cuore degli altri, ma quella che ritrae il TUO cuore affranto
dal pentimento. E anziché parlare dei buoni che agiscono da cattivi e perciò
non ti perdonano, tu dovresti essere in grado di vincere la tua cattiveria e redimerti
scavando nella tua coscienza fino a trovare il coraggio di diventare buono
chiedendo perdono alle vittime dei tuoi errori.
Hai detto tutto di te.
Ora che puoi allontanarti un po’ da quella cella
chiusa, forse dovresti distanziarti da essa interiormente; LIBERARTI prima di
tutto di Carmelo, del SenzaDio.
A mio parere, chi è senza Dio non ha bisogno
di nominarlo, perché chi non esiste non ha un nome. Ma tu non poni freno alla
voglia di ripeterlo. E fai di questo Dio un protagonista, nascosto dietro
l’angelo, dietro la tua fata che ti ha curato, quando sei sopravvissuto all’uccisione
per mano del tuo più grande avversario.
Perché non fai emergere, a questo punto, la
tua invisibile profonda bontà di PENTITO-DENTRO,
che ora soffre, non per la pena, ma per il male che hai fatto?
Persisti, invece, a rivendicare qualcosa, mentre
continui a dichiararti cattivo per orgoglio.
Così facendo, la tua privazione di libertà
resta, anche se ora mitigata, implacabile meritato castigo.
Smettila, ti prego! Cambia direzione. E non per avere maggiore
presa sui lettori, ma per te stesso.
Crea un altro libro come (sottolineo il ‘come’) le Confessioni
di Agostino, o il più moderno I giorni
del pentimento di Harri Nikanem. Ti assicuro che andrebbe a ruba. A patto
che tu lo scriva, dopo lungo, molto lungo e sincero travaglio interiore per
ricavare il meglio dal tuo cuore.
Quel che ho scritto è frutto di amore e stima per te!
Ausilia
RISPOSTA
Cara Ausilia,
c’è del de vero in quello
che scrivi, anch’io ho letto i “Promessi sposi” e il protagonista che mi è
piaciuto più di tutti è proprio l’Innominato.
Ti assicuro
che a me piacciono più le critiche costruttive fatte con intelligenza che i complimenti
senza nessun ragionamento dietro, quindi ti ringrazio di quello che mi hai
scritto.
Ausilia, la
mia storia è molta complicata e controversa per potertela spiegare bene, ma
sappi che anche altri mi rimproverano che nei miei scritti non c’è nessun
pentimento interiore, religioso o no. Forse perché anche adesso mi sento
innocente di essere stato colpevole o anche perché forse quando facevo del male
pensavo di farlo con umanità.
Non so
spiegartelo bene, ma è così, forse anche perché credo che se adesso sono una
persona migliore è anche per merito del male che ho fatto.
E non ci
crederai ma penso che a Dio piacevo più prima che adesso perché l’altro giorno
per non infrangere la legge non ho potuto aiutare un compagno di sventura, (e
mi sono sentito veramente cattivo) una volta invece per farlo avrei infranto
qualsiasi legge degli uomini.
Lo so, è
difficile capirmi, ma sotto un certo punto di vista di umanità, solidarietà e
amore, mi sentivo migliore quando facevo il male che adesso, che per non
rischiare di andare nei guai o di non infrangere la legge, non ho aiuto un compagno di sventura.
Purtroppo
penso che se non sei cattivo è difficile essere buoni ,ed io penso che se in me
non c’è il pentimento interiore dell’innominato è perché sinceramente penso
che ero più buono prima che adesso.
E mi fermo
qui, perché penso che s’è difficile per me capirmi pensa per gli altri che mi
leggono, ma sappi che adesso che mi hai detto quello che pensi ti voglio ancora
più bene.
Un sorriso a
te e uno al tuo cuore.
Carmelo
N.B.
Le sottolineature sono mie, perché rimango dubbiosa circa quanto afferma Carmelo.
Saranno
graditi possibili interventi.
Ausilia
1 commento:
Lucia
grazie, Ausilia e spero ti ringrazi anche Carmelo
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