ORDINAZIONE DELLE
DONNE. PER QUALE CHIESA E CON QUALE TEOLOGIA?
di Ivone Gebara*
(in Missione
Oggi n. 3 del maggio-giugno 2017)
La mia riflessione, seppure sensibile al
contesto internazionale della Chiesa cattolica, si colloca in quello
latinoamericano, per certi versi meno implicato nella discussione
sull'ordinazione delle donne.
Come teologhe latinoamericane, non ci siamo
mai molto battute per questo. Tuttavia, negli ultimi mesi, grazie anche alla
creazione in Vaticano di una commissione di studio sul diaconato femminile,
La riflessione ha guadagnato spazio. C'è stata perfino una parrocchia di Sào
Paulo (Brasile) che ha organizzato un dibattito. Sono stati pubblicati testi
che raccontano storie di donne,che sono state ordinate illecitamente,
secondo la Chiesa cattolica, e quindi scomunicate. Si stima che siano più di
duecento, tra cui anche alcune vescove. Insomma, la discussione
sull'ordinazione delle donne è uscita allo scoperto.
UN DILEMMA CRITICO
Sono d'accordo con chi sostiene che,
l'ordinazione delle donne potrebbe segnare un progresso verso il superamento
della disuguaglianza anche nella società. Tuttavia, è chiaro che per molti
fautori e fautrici della causa si tratta di affermare soprattutto il
"diritto" di ambo i sessi a rappresentare Gesù Cristo di fronte alla
comunità. Insomma, in questione c'è più l'integrazione delle donne nel ministero
ordinato che il modello di Chiesa. Un dilemma di non facile soluzione.
A mio avviso, però, il problema fondamentale
riguarda il concetto di diritto. Che cosa significa avere diritto all'ordinazione
in un'istituzione la cui teologia (ideologia) continua a valorizzare il potere
maschile a scapito di una visione più partecipativa e diversificata dei
servizi, dei carismi e dei poteri? Che cosa significa il diritto
all'ordinazione, quando domina una visione eminentemente maschile del sacerdozio,
anacronistica, segnata da un plurisecolare simbolismo teologico maschile? L'ammissione
delle donne all'ordinazione risolverebbe da sola queste spinose questioni?
RIFORMA POLITICA DELLA CHIESA
In questa prospettiva le donne non devono
rafforzare un modello di sacerdozio gerarchico maschile né accettare
l'ordinazione sulla base di una teologia gerarchica, con un simbolismo fondamentalmente
maschile. Prima sarebbe necessaria una riforma "politica" nella
Chiesa cattolica, per non contrabbandare la sua attuale organizzazione come
proveniente direttamente da Dio, secondo la volontà di Gesù, immutabile lungo i
secoli nelle diverse culture.
Parlare di riforma "politica"
implica una riforma della teologia che finanzia tale politica di carattere
maschile,patriarcale e centralizzatore. La presunta uniformità dei dogmi e la
legalità delle disposizioni canoniche, nonostante la loro utilità,
contraddicono il pluralismo di situazioni e tradizioni presenti nelle diverse
culture e fasi della storia. La Chiesa gerarchica non le ha sempre rispettate,
anzi spesso le ha combattute come negazioni della vera dottrina rivelata.
E’ in questo contesto che si può parlare
anche di teologie femministe e della loro critica al centralismo religioso e al
taglio eminentemente maschile del simbolismo religioso. Esse hanno denunciato
gli abusi del potere religioso, soprattutto in relazione all'indebita
appropriazione della decisione sui nostri corpi. Hanno reinterpretato in forma
ricca e contestualizzata la Bibbia e la teologia al fine di rispondere alle
sfide attuali del mondo. Ma le teologie femministe sono quasi universalmente
respinte o ignorate dai manutentori della tradizione maschile, poiché sfuggono
al copione stabilito.
TEOLOGIA FEMMINISTA
Ho il sospetto che gran parte del movimento
in favore dell'ordinazione delle donne non si muova nella linea critica di molte teologie
femministe. Persegue la parità di genere nei ministeri senza interpellare i
fondamenti teologici e politici della Chiesa. Vede solo il diritto delle donne
di esercitare ministeri in una Chiesa cattolica predefinita nella sua
organizzazione gerarchica. E come se col solo rendersi presenti nei ranghi
sacerdotali, le donne potessero cambiare qualcosa della sua rappresentazione
finora unicamente maschile. Questo non basta a modificare le nostre convinzioni
in merito alla struttura della Chiesa. Bisogna chiarire i comportamenti
sociali, politici ed ecclesiali che devono accompagnare l'ordinazione delle
donne.
Quali nuove politiche la Chiesa deve assumere,
quali orientamenti deve proporre perché i nuovi "soggetti" femminili
entrino davvero a far parte dei suoi quadri di direzione e leadership a tutti i
livelli?
Sono esigenze che noi donne dovremmo porre
per non accettare qualcosa come se fosse un favore degli uomini di Chiesa a noi
povere donne.
Dico questo perché conosco alcune pastore e
candidate al sacerdozio femminile e la mia impressione, per quanto limitata e
discutibile, è che non abbiamo ottenuto un mutamento qualitativo significativo
nella struttura attuale della Chiesa cattolica. Molte chiedono il sacerdozio,
ma non propongono né rivendicano le condizioni per il suo esercizio. Alcune
donne-prete svolgono attività di primo piano con popolazioni emarginate. Altre
sono provviste di dottorati in teologia presso Università di fama
internazionale, tuttavia questa formazione non è riconosciuta dai prelati.
Posso capire l'eccitazione e il desiderio di
vedersi sull'altare, di presiedere una messa e avere un certo potere nella
comunità. Comprendo anche l'emozione narrata da alcune di poter elevare l'ostia
e dire "questo è il mio corpo (di Cristo)", come un sogno d'infanzia
realizzato.
Non le condanno, ma penso che dovremmo
esigere molto di più, in un dialogo tra eguali, non tra superiori e inferiori.
AFFETTI E POTERI ASSOLUTI E DOMESTICI
In questa problematica c'è un altro dato
importante: il cristianesimo nella sua forma cattolica è una
religione organizzata a partire da forti
emozioni culturali, in cui il circuito di affetti rivela una sorta di divisione sociale dei poteri che riproduce
la società in cui viviamo. La figura maschile di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo, riveste un potere socio-emotivo assoluto, mentre le figure femminili come Maria e molte sante rivestono un potere
assoluto domestico, che assiste, accoglie, protegge e guarisce.
La rappresentazione sacerdotale maschile
appare emotivamente attaccata al potere politico assoluto maschile, anche se
spesso il potere effettivo è femminile.
Sappiamo che l'ordinazione maschile obbedisce
a una dogmatica gerarchica maschile, che inizia con l'immagine di Dio Padre che
dà potere al Figlio unico, il quale invia lo Spirito, perpetuato e
simboleggiato dai sacerdoti maschi.
Noi donne siamo disposte a mantenere questa
anacronistica gerarchia maschile? Siamo disposte a mantenere la differenza tra
sesso maschile e femminile come dislivello di capacità che si esprime anche nel
divario retributivo nel servizio alle comunità? Siamo disposte a mantenere la
divisione sociale degli affetti e dei poteri? Un piccolo esempio. Oggi, in
molte diocesi c'è un divario salariale tra preti, suore e laici per servizi
analoghi. Ciò riflette ancora la conservazione del privilegio di gerarchie
maschili all'interno della Chiesa. La rivoluzione di senso in atto oggi non
indica la necessità di ripensare il patrimonio cristiano per i nostri giorni,
nella diversità delle comunità ecclesiali, delle organizzazioni pastorali e dei
ministeri?
LA NATURALIZZAZIONE
Un altro aspetto importante è il rischio di
naturalizzare i comportamenti maschili e femminili, credendo che tutti gli
appartenenti all'uno o all'altro genere, persino i transgender, si comportino
allo stesso modo.
"Naturalizzazione" significa
rendere certi comportamenti predeterminati dalla natura o da Dio e affermare,
per esempio, che la vocazione sacerdotale delle donne è la cura quotidiana e non
riguarda le politiche pubbliche in favore del bene comune. Non possiamo più
credere che ci siano compiti o lavori specificamente maschili e altri
femminili, come se avessimo identità lavorative predefinite. In un certo senso
questi atteggiamenti risalgono ancora a Jean Jacques Rousseau e Auguste Comte,
che volevano educare le donne in funzione degli uomini e della famiglia,
cercando di preservarle dalla politica e dai vizi della vita sociale a
beneficio della società, dei mariti e dell'educazione dei figli.
Oggi assistiamo a riflessioni e atteggiamenti
simili, seppur consfumature e giustificazioni diverse. Queste devono essere
decostruite.
LA STORIA
In questo contesto di "richiesta"
di ordinazione delle donne, non possiamo dimenticare le persecuzioni della
Chiesa cattolica nei confronti delle donne. Accusate in passato di essere
streghe o usurpatrici del potere di pensare, che avrebbe dovuto essere solo
maschile, molte donne sono state condannate a morte o perseguitate. Da
Ipazia di Alessandria (condannata alla lapidazione) a Giovanna d'Arco
(condannata al rogo) fino alle figure femminili massacrate per aver osato penetrare
negli atri del sapere teologico.
Non possiamo dimenticare queste storie.
Inoltre, nel XX e XXI secolo le teologie femministe hanno
ripensato gran parte della tradizione cristiana.
E’ deplorevole che oggi ci
siano ancora interrogatori, lettere di avvertimento, ammonizioni a congregazioni
religiose femminili, a teologhe e filosofe che accolgono il dono di pensare la
vita come parte del servizio al "movimento di Gesù". Una
rivendicazione, come quella dell'ordinazione delle donne, non è una richiesta isolata, ma
si iscrive in questo complesso contesto di idee e credenze clericali che
governano menti e cuori, conservando strutture organizzative anacronistiche.
L'ATTUALE TEOLOGIA SACERDOTALE
La teologia sacerdotale corrente riveste i
presbiteri di poteri non solo simbolici, ma anche politici e sociali, che permettono di orientare vite e
perfino di manipolarle. Spesso essi usano le Scritture a piacere e giustificano le proprie scelte come
se fossero emanazioni evangeliche. Non mancano eccezioni, ma è più comune che i
presbiteri concentrino l'autorità. Tale concentrazione impedisce la crescita di
molteplici ministeri o servizi nelle comunità cristiane. Inoltre, il modello di
presbitero in igore è quello del sacerdozio
"rigiudaizzato" di Gesù, distante dalle ispirazioni evangeliche.
Piuttosto di rinunciare al potere che li
esalta, alla stregua dei loro pari laici, i presbiteri lungo i secoli
hanno rafforzato l'alleanza con il potere
politico, economico e religioso, imponendo decisioni e agendo irrispettosamente
soprattutto in riferimento alla sessualità femminile. Riconosco il ruolo sociale
e culturale di sacerdoti, sciamani, màe e pai-do-santo, imam ecc. nelle diverse
religioni. Ma non si tratta di "guardiani"
esclusivi della tradizione religiosa cui appartengono, bensì di leader che si fanno
carico dei bisogni delle comunità. Di modo che la partecipazione dei membri di
una comunità ai servizi e alla costruzione di senso dovrebbe essere una
responsabilità condivisa. Cosa che richiede un dialogo costante e la
condivisione delle conoscenze e dei poteri. In questo senso non auspico
l'estinzione del ruolo di persone più preparate o di leader etici in relazione
alle tradizioni religiose, ma che essi siano legittimati nella loro autorità
nella misura in cui si fanno carico delle problematiche della comunit
(i.g.).
*agostiniana brasiliana di origini
siro-libanesi, dottore in filosofia e scienze religiose, è stata docente per 17
anni all'IT di Recife.
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