La febbre per
l’Expo di Milano è salita, e grande è l’attesa per la kermesse, intensa la sua
preparazione: ormai è presentata ogni giorno di più come il grande evento,
capace di mutare la sorte del nostro paese e del nostro futuro. Dai diversi
annunci quotidiani di iniziative e incontri culturali tutto sembra nuovissimo e
inedito: si è portati a credere che si stia andando verso un evento
escatologico.
Anche l’area cattolica si è mobilitata e, come quasi sempre succede, lo
sta facendo per lo più appiattendosi sui percorsi più facili e imitandone lo
stile, nella speranza di ottenere la stessa performance che eccita tutti.
Ormai, lo dico con tristezza, anche la pastorale si è piegata ai temi dell’Expo
e perfino nelle omelie domenicali si affrontano quegli argomenti anziché
annunciare il vangelo. Ci sono addirittura iniziative editoriali che propongono
stravaganti riflessioni di teologi: “Gesù era un gran cuoco”, “sua madre
confezionava per lui piatti speciali”... Insomma, ancora una volta, la bibbia è
come il vaso di Pandora da cui si estrae quello che si desidera poter dire con
un’autorevolezza che non si possiede, invece di quello che la bibbia
dice.
Che
tristezza! Un’iniziativa risalente già alla fine dell’Ottocento, dotata di una
logica propria, un evento di grande significato tecnico, economico e sociale è
oggi rivestito di una capacità “spirituale”, è indicato, attraverso menzogne e
ipocrisie, come portatore di valori per il fatto stesso di prodursi. Come se
tutti avessero dimenticato la corruzione che ha ammorbato la preparazione
dell’evento e che non dà garanzie di non contaminarne anche gli sviluppi
successivi, come se si ignorasse che la logica dominante è quella
dell’agrobusiness in mano alle grandi multinazionali, come se non si volesse
vedere che lo scopo primario è disporre di una grande vetrina, di un immenso
spettacolo, magari anche molto redditizio, naturalmente per pochi. “Nutrire il
pianeta” diventa uno slogan, ripetuto a basso prezzo anche da chi non si sogna
nemmeno di muovere un dito per nutrire gli affamati in carne ed ossa. Si finge
di ignorare che questo ideale straordinario di previdenza indispensabile
richiede da parte nostra un cambiamento di stili di vita, una consapevolezza
del fatto che la dignità umana è rispettata solo attraverso l’uguaglianza e la
giustizia: se regna l’iniquità – letteralmente la non-equità – e si persevera
nel consentire un’economia di esclusione, non si nutre il pianeta ma si
continuano a creare reietti dalla tavola del mondo. Alcuni, come Carlo Petrini
ed Ermanno Olmi, sono già intervenuti per ammonire che l’Expo non si riduca a
una fiera occasionale e pacchiana del cibo; il ministro delle politiche
agricole ha lanciato la proposta che l’Italia riconosca esplicitamente nella
propria carta costituzionale il diritto al cibo. Sono segnali positivi che
vorrebbero dare un’anima a un’iniziativa che rischia di essere solo una
kermesse affaristica.
Ma ci sono
state parole ancora più forti e dirimenti da parte di papa Francesco in un
messaggio inviato a quanti, nell’hangar della Bicocca, erano impegnati nelle
prove generali per l’Expo. Papa Francesco, come già aveva fatto alla
FAO, ha pronunciato una frase che dovrebbe essere il vero monito perché l’Expo
si orienti davvero a nutrire il pianeta. Ha ricordato una sentenza ascoltata da
un vecchio contadino: Dio perdona sempre, le offese, gli abusi;
Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai!
Parole dure come pietre, ma che sentiamo vere perché ogni giorno ormai ne
facciamo esperienza attraverso alluvioni, esondazioni, frane di una terra che
abbiamo devastato negandole la possibilità di obbedire alle leggi della natura.
Una terra che sfruttiamo e spremiamo per una produzione che sia vincente sul
mercato, una terra che non consideriamo più né madre né sorella ma solo matrice
da sfruttare senza limiti e con tutti i mezzi, anche a costo di depauperarla e
desertificarla nel domani: basta che oggi sia in grado di dare a noi non solo
il necessario ma soprattutto il superfluo. Una terra che non è più un bene
comune, quella tavola imbandita per tutta l’umanità, alla quale tutti hanno il
diritto di sedersi per mangiare, quel tesoro ricevuto in eredità dalle
generazioni che ci hanno preceduto e in prestito dalle generazioni a venire...
No, viviamo la terra come fornitrice a pochi di risorse e cibo perché si
rimpinzino fino all’obesità e neghi ad altri il necessario vitale che il
mercato non riconosce perché per lui non redditizio.
Papa
Francesco avverte che gli esclusi sono non solo esclusi o
sfruttati, ma rifiuti, avanzi, scarti dell’umanità, cui non vanno
nemmeno le tonnellate di scarti alimentari che intasano le nostre discariche di
rifiuti. Siamo succubi di un’economia che vive di adorazione del Dio denaro,
alienata al denaro, prostrata davanti alle esigenze del mercato e segnata da
una competitività
per cui il più forte ha la meglio sul più debole. Ci siamo talmente
imbarbariti da chiamare legge del mercato la legge della giungla, il primitivo
prevaricare del più forte sul più debole. E dimentichiamo che da sempre sono i
poveri che vanno dove c’è il pane e non è il pane che rincorre i poveri.
Occorre
dunque che ci poniamo alcune domande: può essere straordinario il compito di
“nutrire il pianeta”, ma a chi lo affidiamo? È lasciato alla programmazione
di multinazionali che obbediscono sempre e solo alle leggi del proprio tornaconto?
Se invece nutrire il pianeta è compito comune e appartiene alla responsabilità
di perseguire il “bene comune”, chi sono i soggetti che se ne incaricano, con
quali mezzi a disposizione, con quali criteri di giustizia ed equità, con quale
compatibilità con la pace, la solidarietà, la dignità umana, la fratellanza
universale?
E la
chiesa cattolica che farà dell’Expo? Si accontenterà di avere una vetrina tra i
grandi o saprà partecipare a questa iniziativa in modo eloquente e profetico,
con la parresia e la forza di critica e di denuncia in nome del vangelo, unica
istanza che giustifica la presenza della chiesa e la può ispirare? Una presenza non finalizzata a
propagandare la propria dottrina ma a ribadire che il cammino di umanizzazione
è il “suo” cammino, un cammino che nasce dalla fede in un uomo che “ha voluto
insegnarci come vivere in questo mondo”, dice l’apostolo Paolo, un uomo che
veniva da Dio ed era suo Figlio ma che si è liberamente collocato dalla parte
dell’uomo, pienamente solidale con noi, e che ha mostrato sollecitudine e cura
soprattutto per chi era nel bisogno, nella fame, nella povertà, in condizione
di straniero.
Non facciamo
dell’evento dell’Expo la fiera degli auguri, il campionario dei proclami di
intenti caritatevoli: sia invece occasione per affrontare seriamente,
responsabilmente e concretamente i temi urgenti della fame e della povertà,
ormai presenti anche in mezzo al mondo industrializzato, gli appelli
improcrastinabili che la terra ci rivolge per la sua custodia e salvaguardia,
il rispetto dei diritti delle generazioni future. Per tutti occorrerebbe che
l’Expo diventasse l’occasione per far risuonare il comandamento: “Ama la terra
come te stesso!”.
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