Sabina Rossa e Agnese Moro contro la “Pena di Morte Viva”
L’ex Presidente della Repubblica Sandro
Pertini che in galera passò lunghi anni diceva spesso: «Ricordatevi quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte
avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi».
Da anni – insieme ad Agnese Moro e
Sabina Rossa che hanno avuto i loro padri uccisi durante la lotta armata degli
anni ’70 – combatto contro la “Pena di Morte
Viva” o, come la chiama Papa Francesco, la “Pena di morte nascosta”. Durante la
giornata del 20 gennaio 2017, nella Casa di
Reclusione di Padova, Agnese e Sabina sono
intervenute (Agnese a distanza e Sabina di presenza) al convegno dal titolo: “Contro
la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita”.
Ecco quanto ci ha
consegnato Agnese:
(…) Questa volta non
riesco ad essere con voi in questa giornata di riflessione sull’ergastolo e
sulla necessità di abolire una pena che, essendo senza fine, uccide la speranza
di tornare ad essere liberi; ferisce l'impegno costituzionale ad aiutare i
colpevoli a rivedere criticamente la propria vita e a tornare tra noi a dare il
proprio contributo alla vita sociale; punisce nella maniera più crudele e
ingiusta coloro - grandi e piccini - che nutrono affetti profondi per chi è
condannato a una pena tanto severa. Credo che la questione dell’abolizione
dell'ergastolo, prima di riguardare la politica, riguardi tutti noi cittadini.
Prima ed oltre una discussione in Parlamento è essenziale che ci sia una
discussione larga, capillare, serena nelle nostre città e nei nostri paesi. (…)
Bisogna sapere che le persone possono cambiare, che sono sempre molto di più
del loro reato, e che, come dice la mia amica Grazia Grena, c'è dentro ognuno,
qualunque cosa abbia fatto, qualche cosa di buono che può e deve essere
illuminato. Anche se non ce ne accorgiamo la nostra società è desiderosa di
intraprendere una simile discussione. Si tratta solo di farlo. Un abbraccio (Agnese).
Ed ecco parzialmente l’intervento di Sabina:
Vorrei
iniziare il mio intervento prendendo in prestito alcune frasi di Carmelo
Musumeci non solo perché le condivido ma anche perché ho potuto toccare con
mano la veridicità delle sue parole: “Il carcere non mi ha fatto bene, non solo
mi ha peggiorato ma mi ha fatto anche del male”. “Ciò che mi ha migliorato e
cambiato non è stato il carcere ma un programma di rieducazione fatto dalla
presenza delle persone care, dalle relazioni umane e sociali”. “In carcere si
soffre per nulla, il nostro dolore non fa bene a nessuno, neppure alle vittime
dei nostri reati, è difficile pensare al male che hai fatto fuori se ricevi
male tutti i giorni”. (…).
Musumeci
ci dice che dal carcere si dovrebbe uscire perché lo si merita, perché è stato
fatto un certo percorso, perché c'è stata una crescita. Sono d'accordo con lui e credo
che giustizia sia anche quella di prendere atto che, a tanti anni di distanza,
quella persona non sia più quella di un tempo e che si sia realizzato un
cambiamento nel profondo.
Quando è
stata concessa la liberazione condizionale alla persona che ha sparato a mio
padre l’ho considerato un atto giusto, mi sono sentita come se si fosse chiuso
un cerchio e ho potuto posare a terra quello zaino che mi sono portata sulle
spalle per tanto tempo. (Sabina)
Dostoevskij diceva: “Fatemi
capire perché e come ho sbagliato e poi mi giudicherò e condannerò da solo, e
sarò più severo di qualsiasi altro giudice”.
Agnese e Sabina hanno compreso questo e “puniscono” gli
ergastolani con l’amore sociale. Forse anche perché hanno capito che dal male
può nascere il bene. Basta andare a cercarlo dentro il cuore dei criminali. Per
non fare il male bisogna conoscere anche il bene, ma purtroppo molti criminali
non conoscono il bene perché hanno vissuto sempre nel male. Il libero arbitrio
esiste solo quando tu conosci il bene e il male. E spesso i reati che abbiamo
fatto rispecchiano il male del mondo dove vivevamo e, adesso, del carcere.
Molti di noi, e non lo dico per cercare attenuanti, penso che siano stati
quelli che hanno potuto essere, non certo quelli che sognavano di essere. Se
continuano però a dirci che siamo irrecuperabili, che siamo dei mostri, che
siamo cattivi, va a finire che ci crediamo e cerchiamo di esserlo anche dopo
tanti anni di carcere. D’altronde come si può migliorare una persona con una
pena che non ha mai fine?
Per questo, purtroppo, molti ergastolani si sentono ancora
“colpevoli di essere innocenti”, anche se hanno commesso gravissimi reati. Non si nasce delinquenti, ma purtroppo ci si
diventa.
Un tempo c’erano in carcere giovani interpreti delle lotte
sociali e politiche. Oggi vi sono in maggioranza giovani tossicodipendenti,
immigrati e poi tante persone del sud detenute per reati di criminalità
organizzata. Al sud, infatti, lo Stato è sempre stato assente e in alcuni casi
è stato più mafioso dei mafiosi che ha usato e sfruttato per raggiungere
consensi elettorali.
Grazie Sabina e Agnese di continuare a lottare per recuperare
e migliorare le persone che vi hanno fatto del male.
Con il vostro impegno contribuite a sensibilizzare l’opinione
pubblica che la pena dell’ergastolo è una morte interminabile che ti fa sperare
in una morte istantanea come un regalo della pietà. La vostra testimonianza di
vittime dà un senso ancora più profondo alle vostre parole.
Carmelo
Musumeci
Gennaio
2017
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