Da Il Fatto Quotidiano – blog di Monica Lanfranco
30 settembre 20013
GENITORE E GENITRICE: NOMINARE IL FEMMINILE È
FONDAMENTALE
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C’è stato un tempo nel quale si diceva, (e
si pensava in ottima buona fede), che fosse sufficiente fare la rivoluzione,
perché questo evento da solo ci avrebbe reso libere e liberi.
Era un sogno, un’aspirazione utopica,
frutto anche della fretta desiderante che l’essere giovani porta con sé: poca
fatica, massimo risultato, niente indugi, niente deviazioni, bando ai dubbi,
una bella riga dritta verso il sole dell’avvenire. In questa (legittima)
aspirazione frettolosa si lasciavano indietro molti dettagli, che dettagli non
sono, abbiamo capito poi: visto che al di là dell’angolo era ad attenderci la
perfezione che bisogno si aveva di fare attenzione al linguaggio, o alla
maggior parte degli stereotipi di genere, visto che poi come neve
al sole tutte le ingiustizie e storture indotte dal patriarcato, dal sessismo,
dal razzismo, dall’omofobia e dall’uso politico e repressivo delle religioni si
sarebbero sciolte e avremmo vissuto felici, in pace e in uguaglianza?
E’ accaduto non soltanto che la
rivoluzione non è stata realizzata, se non in parte e dimostrando di essere una
creatura fragile e da consolidare, laddove molte delle sue promesse si sono per
fortuna rese reali, ma anche che i ‘dettagli’ tanto tralasciati e considerati
di secondo piano contano, eccome.
La lingua batte dove il dente duole, per
citare un adagio di buon senso, più aulicamente tradotto con le parole sono
i chiodi dove si attaccano le idee identificano frasi che ci aiutano a
ragionare sull’importanza della scelta che ogni giorno facciamo quando, per
comunicare e descrivere il mondo, decidiamo di usare (o non usare) alcune
parole.
Non c’è riunione, seminario, formazione,
dibattito, giornale, tv radio e social network, ma anche aperitivo e cena in
cui non si presenti l’occasione di verificare che la sessuazione del
linguaggio è non solo praticata pochissimo, ma viene ritenuta un
dettaglio, un vezzo snob di poche femministe puriste, un falso problema, una
perdita di tempo, per di più irritante e fuorviante.
Con tutte le cose più urgenti figuriamoci
cosa importa fare discussioni o lotte per ottenere che una donna che fa il
segretario di una organizzazione si chiami segretaria (parola
che tra l’altro evoca un immaginario non certo autorevole). Con tutte le disparità
ancora da sanare in campo economico e sociale figuriamoci cosa importa
fare discussioni o lotte per ottenere che una donna sindaco sia chiamata
sindaca, e così via per architetta, magistrata, avvocata, scrittrice,
professora, fornaia, informatica, tecnica, perita, notaia.
Perché rompere l’anima sottolineando che
nella frase ‘i diritti dell’uomo’ il femminile è inglobato nel
(presunto) neutro maschile, (quindi scompare), mentre la frase ‘i diritti
delle donne’ identifica solo la parte simbolica e concreta dei diritti della
metà femminile del genere umano, che quindi risultano chiari come non
universali? L’importante è o non è che una donna possa fare quello che fa un
uomo? Quanto poco, in fondo, conta il genere nella lingua? Possiamo finalmente
occuparci di cose serie?
Ho fatto questa premessa perché vorrei
tornare su un episodio del quale altre hanno già parlato e scritto: la proposta, da parte di alcune attiviste e attivisti gay, di modificare
nella modulistica la dicitura ‘madre’ e padre’ con ‘genitore’. Richiesta giusta, nel caso maschile, ma quando una famiglia è composta
da due donne, perché non anche prevedere genitrice?
Il dibattito, iniziato in rete su Facebook
da Iole Natoli (attivissima da molti anni sulla questione del
cognome materno, altra faccenda rubricata come inutile e quasi dannosa da più
parti, donne comprese) ha visto punte inquietanti nell’argomentare: in uno
scambio, per motivare la superiorità del termine ‘genitore’ rispetto al
femminile genitrice c’è chi ha così brillantemente argomentato: ”Quando sento
la parola genitrice penso a un budello cacafigli. Credo sia
tra le più depersonalizzanti e genitali delle parole, nel senso che
riduce la donna al suo apparato riproduttivo e basta. Genitore invece,
nell’uso comune, non ha assunto una valenza di opposizione tra maschile e
femminile ma ha preso il significato generico di ‘persona che si prende cura
della prole’, a prescindere dal legame biologico e dal genere”.
Ho trovato questa motivazione estremamente
interessante, (dopo un sussulto rispetto alla, per me, tremenda immagine del
budello). Mi domando quanto l’argomentazione che invita all’uso di un
neutro che cancella appositamente il femminile (e il materno, in questo caso)
si discosti dalla regola grammaticale, invalsa ancora fino agli anni ‘70 in
Italia, secondo la quale il maschile era il genere universale da adottare nel
discorso perché ‘più nobile’ rispetto al femminile.
Mi domando se le famiglie composte da lesbiche si
sentano rappresentate e soddisfatte di essere definire genitore (magari
genitore uno e genitore due, come in una proposta analoga d’oltralpe).
Mi domando se non sia utile porsi degli
interrogativi circa la questione del potere, e della disparità,
anche dentro alla comunità omosessuale, tra donne e uomini: è
sufficiente cambiare orientamento sessuale per dismettere le logiche e le
dinamiche del dominio, chiarissime nella cultura eterodiretta?
E’ verissimo che in Italia la lotta
per cambiare il vissuto culturale profondo sulla famiglia è impari, come
testimonia l’ultima vicenda Barilla: ma davvero possiamo
considerare marginale la proposta di cancellare il femminile nella descrizione
della relazione materna nel caso di una famiglia omogenitoriale?
L'articolo pone più domande che risposte, e ciò è di mio gusto.
Abituata come sono a riflettere molto prima di esprimere un giudizio, dico -per ora- che i cambiamenti culturali, come lascia intravedere Monica L., sono da ponderare: cioè bisogna escludere improvvisazioni, frutto della fretta di far valere i propri bisogni (di carattere morale, prima ancora che materiale).
Certamente vedo che il problema insito nella questione delle coppie omosessuali non è facilmente digeribile in un mondo dove nuovi diritti avanzano, forse dimenticando alquanto che la distinzione ed il rapporto tra genere maschile e genere femminile sono essenziali PRINCIPALMENTE IN ORDINE AI FIGLI GENERATI.
Ausilia
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