Da NOIDONNE
INTERNAZIONALE A FERRARA 2016
Si dice che l’Afghanistan sia una delle nazioni più
pericolose per le donne, ma a ben guardare sono i diritti fondamentali di ogni
essere umano a essere violati. Ne hanno parlato Horia Mosadiq, attivista per i
diritti umani e giornalista afgana, dal 2008 ricercatrice per Amnesty
international, e il giornalista Stefano Liberti, ospiti di Internazionale a
Ferrara venerdì pomeriggio.
Quando i talebani presero il potere nel Paese, negli anni
‘90, le cose cambiarono in fretta per uomini e donne: una sharia sempre più
rigida andava affermandosi, e se agli uomini era imposta la preghiera in
moschea 5 volte al giorno, alle donne fu proibito andare a scuola, laurearsi,
fino a rendere loro impossibile anche uscire di casa se non accompagnate. «Fu
allora che il mondo dimenticò l’Afghanistan – ha commentato l’attivista – e
probabilmente se ne scordò anche Dio. Rimanemmo in balìa dei talebani fino
all’11 settembre 2001, quando l’Occidente ricominciò a interessarsi a noi». E
oggi, a 15 anni dall’invasione occidentale, non si può dire che non sia
cambiato nulla: «Abbiamo 6 milioni di bambini che hanno ripreso ad andare a
scuola, le donne sono tornate al lavoro, e in diversi ruoli: abbiamo donne
medico, ingegnere, in polizia». Parlando della situazione femminile nella vita
quotidiana, Horia ha raccontato quanto difficile far rispettare i pochi diritti
che le donne hanno ottenuto lottando duramente: un esempio tra tutti è
l’ottenimento del divorzio, tanto possibile in teoria per entrambi i sessi,
quanto impraticabile in realtà per le donne. «Certo, possiamo chiedere il
divorzio – ha spiegato infatti Horia – ma è talmente difficile trovare le prove
necessarie, e talmente limitati i casi in cui ci è concesso richiederlo, che
diventa impossibile, di fatto. Inoltre, con la separazione, la donna perde
totalmente ogni diritto sui figli, e per molte è difficile anche solo
provvedere economicamente a se stesse, visto che la maggior parte delle donne è
analfabeta in Afghanistan». Non solo: anche in caso di violenza le donne
difficilmente vengono prese sul serio, sia dalla famiglia sia dalle forze
dell’ordine. Come ha evidenziato Horia Mosadiq, infatti, la donna è considerata
come un essere debole, non autonoma, addirittura incapace di prendere decisioni
da sola. «Se si incontra una donna forte e indipendente viene immediatamente
etichettata come immorale», ha continuato. Non solo accusate dai talebani, ma
pure allontanate dalle proprie comunità, le donne però oggi non si scoraggiano,
lavorano per il cambiamento sociale nonostante gli attacchi e gli insulti.
Sanno che è necessario un sacrificio, e sono contente di subire tutto il
necessario per consegnare un futuro migliore alle generazioni successive.
Mentre avveniva questo cambiamento nel versante femminile della popolazione,
però, gli uomini sono rimasti nelle loro convinzioni: le campagne di
sensibilizzazione erano rivolte soprattutto alle donne, ma è inutile conoscere
i propri diritti se non si può ottenere appoggio dagli uomini a cui si è
vicine.
Sulla questione del burqa e del burkini, la Mosadiq ha voluto
essere chiara: «Non dobbiamo confondere la scelta con l’imposizione – ha
affermato – qualunque cosa obbligatoria è una limitazione alla libertà, ma
molte donne afgane scelgono liberamente di indossarlo: il burqa può essere
un’ottima protezione, e proprio molte attiviste lo usano per nascondere la
propria identità».
Irene Lodi
Irene Lodi
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