Titolo con un punto interrogativo per tanti motivi, non ultimo quello che mi fa intravedere un pregiudizio, spiegabile, se vogliamo, ma sempre un pregiudizio.
Perché tanta fretta nel vaticinare il peggio?
E' proprio vero che lo stato sociale dell'opposizione di tempi trascorsi sia risultato migliore del nostro?
A mio parere le ingiustizie degli SPRECHI dello stato sociale di allora sono stati abominevoli. Un esempio sintomatico: ho più di un'amica che è andata in pensione dopo 10 anni circa di insegnamento. Dato che da sposate erano state condonate di cinque, e con il riscatto degli anni universitari di altri quattro, raggiungendo l'età minima per avere la pensione, si sono servite di questo spreco pubblico, di cui per primo si è servita la moglie di Bertinotti. Ebbene, le mie amiche, vecchie e benestanti per altre entrate, continuano a percepirla!
Mi vien da dire: "san Matteo, divertiti pure tu, meno che quarantenne, per un poco. Forse la stessa ambizione ti potrà aiutare a FARE qualcosa di diverso da quello che hanno fatto e fanno i furbi, che hanno per capofila il volpone D'Alema... Ausilia
MI FIDO DEGLI UMILI
di Enrico Peyretti, 9 dicembre 2013
Io sono strabiliato dal vedere sempre i vincitori nelle elezioni, regolarmente e dappertutto, scoppiare di felicità, urlare di gioia, elevare peana a cui non basta il vasto cielo, portati in trionfo dall'esercito dei loro sostenitori. Ma vi rendete conto della responsabilità che vi è caduta addosso? Non avete vinto nessun male e nessun problema: solamente vi hanno caricato del compito di vincere i mali della vostra società. Non sentite il grave peso, mentre ballate? I mali, le difficoltà, i problemi, gli errori che farete li avete tutti davanti, non alle spalle. Quasi sempre i vincitori eletti esibiscono per prima cosa la loro incoscienza, il narcisismo che li spinge – ce lo fanno temere loro – più della volontà di servire al bene comune. Solo qualche papa eletto in conclave si è presentato al popolo con umiltà. E se si eleggessero quelli che sono degni e capaci ma non desiderano essere eletti?Matteo Renzi ha stravinto nel Pd per vincere in tutta Italia.
Prendiamo atto della sua esultanza. Il programma quasi unico che ha presentato è: vincere.
Ma vincere non serve, se non si hanno
idee e programmi più giusti della realtà esistente. Vedremo. Vincere coi numeri
non è indispensabile, perché le idee giuste valgono e possono vincere più dei
numeri. Si può migliorare la realtà anche stando all'opposizione. Più che
maggioranza o minoranza conta la qualità dei progetti e dell'azione politica.
Durante l'era democristiana, la sinistra all'opposizione ha contribuito alla
costruzione dello stato sociale, più giusto dello stato oggi presente, senza
avere il governo.
Cos'è
il potere?
In
realtà, il potere non è un sostantivo, un oggetto – se ce l'ho io non ce l'hai tu;
se lo prendo io tu resti senza – ma è un verbo: io posso, tu puoi, egli può.
Naturalmente possiamo in misure assai diverse. Ma poiché la pretesa del più
forte di essere obbedito dipende tutta dalla coscienza di chi dovrebbe obbedire
– purché costui usi e sviluppi la
propria coscienza - il risultato non è determinato solo da chi comanda, ma da
chi ha coscienza dei valori e decide in base ad essi, e non alla volontà del
potente, se dare o no la propria obbedienza. Il potere ingiusto disobbedito è
svuotato dalla forza della coscienza che sa pagare il necessario prezzo, senza
bisogno di fare violenza, e non esiste più. Ciò non è utopia, ma è avvenuto in
numerosi casi storici, in tutto il mondo, che ovviamente la storiografia più
vicina ai potenti non ha occhi per vedere, o
tende ad occultare, scrivendo quasi solo la storia dei vincitori. Indico
in Google la bibliografia storica Difesa
senza guerra (ultima edizione maggio 2013).
L'ideologia
del vincere non è una idea politica. La democrazia conta i numeri, ma non è un
pallottoliere: è la fiducia che la razionalità umana media sappia scegliere il
meglio possibile, e che gli stolti siano meno numerosi dei mediamente saggi. A
volte avviene, a volte no. Il popolo non è infallibile. La vittoria numerica
non indica sempre la buona politica.
Pare
che senza una buona dose di ambizione non si possa fare politica. Pare. Sembra
così sul palcoscenico usuale animato dagli ambiziosi. Ma molti lavorano e
faticano senza voler apparire. È certamente un bene ambire a qualcosa. A cosa?
Tutto dipende da questa risposta.
Diffido
di chi non trema
Diffido
molto di chi è felice di essere stato scelto per un compito difficile e
pesante, come se avesse raggiunto un risultato. Non sa di essere soltanto ai
blocchi di partenza. Diversi anni fa, volli scrivere una Fantastica
intervista (pubblicata su Rocca 15 giugno 1995, poi riprodotta nel
libro La politica è pace, Cittadella editrice 1998, pp. 66-70), in cui
immaginavo un presidente neo-eletto a grandissima maggioranza, che non esulta
ma trema, che rifiuta l'idea di vittoria, che teme di deludere la fiducia, che
promette di impegnarsi, ma prevede anche di fare sbagli, più di uno, che darà
la precedenza su tutto a scuola e lavoro, che tasserà il lusso, che, ispirato
da Pertini, svuoterà gli arsenali per riempire i granai, che non vuole essere
seguito dal popolo, ma preceduto, che vede come ostacolo maggiore i piccoli
orizzonti, l'assenza di utopie, che prega il giornalista intervistatore di
portargli le obiezioni di chi non ha mezzi per esprimerle. Qual presidente
inventato non esiste. Non esiste ancora.
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