In morte di Don
Chiavacci, uomo, prete, pastore e teologo: fedele e libero insieme
Don
Enrico Chiavacci, prete, parroco, teologo, in tutto e sempre “pastore” del
popolo: il suo immediato di San Silvestro a Ruffignano, presso Firenze, dove è
stato parroco per più di 50 anni e poi, come teologo ed esperto di scienze
umane, quello detto giustamente “Popolo di Dio”, cioè la comunità dei credenti
cattolici, e certamente non solo. E’ infatti nota la stima e il seguito che Lui
e i suoi lavori teologici hanno sempre avuto anche oltre i confini ufficiali
della Chiesa cattolica…
Ne
ha scritto qui, già, il collega Giacomo Galeazzi, e riprendo l’argomento per
aggiungere qualcosa di personale, biografico e non noto, e anche un accenno
all’importanza del lavoro di ricerca e sintesi dottrinale e insieme appunto
pastorale, che ha segnato tutta la sua vita intellettuale e cristiana.
Il
suo Corso fondamentale di Morale, una decina di volumi densissimi, pubblicato
nel corso degli anni dalla Cittadella di Assisi, è stato un capolavoro di
sintesi sapiente e prudente tra la tradizione e i segni dei tempi, a partire
dalla morale sociale – fondamentali alcune sue ricerche sulla cosiddetta
“dottrina sociale” della Chiesa nei secoli – e dall’etica famigliare e sessuale
applicata nel vivo del mutare dei tempi e della stessa realtà della Chiesa.
Fedele
alla dottrina, ma capace di distinguere sempre ciò che è di fondo, e risale
alle fonti della fede cristiana e anche cattolica, e ciò che è frutto della
semplice evoluzione storica degli scritti di teologi, ma anche di vescovi e di
Papi, da rispettare sempre, mai tuttavia da considerare, a sproposito e senza
distinzioni, verità di fede e quindi immutabili…
Ora,
e in particolare nel campo della morale della famiglia e della sessualità
l’evoluzione della dottrina cattolica e al suo servizio della teologia, anche
per la spinta delle mutazioni della società e del costume, è stata di
grandissima portata, e lo è ancora.
Galeazzi
ha ricordato il passaggio del suo pensiero dalla considerazione della
sessualità solo come “necessario strumento per la procreazione”, ma caricata di
significati soprattutto negativi e da controllare alla visione del corpo umano,
della donna come tale, dell’amore coniugale e della complessità di ciò che esso
implica nella natura e nella persona umana. Da una visione negativa, codificata
p. es. da certi testi di S. Agostino che hanno seminato diffidenza e anche
disprezzo per secoli, a quella della teologia del corpo nelle catechesi di
Giovanni Paolo II negli anni ‘80 c’è un cammino in avanti gigantesco, di cui
forse l’etica ufficiale cattolica ancora oggi non ha percepito pienamente la
portata: la cosa ha un peso molto forte anche nella credibilità della stessa
Chiesa. Alla base di tutto la “rivoluzione” del Concilio, con il rifiuto di
codificare ancora una volta come assoluta la gerarchia dei cosiddetti “fini del
Matrimonio”, che metteva al vertice la procreazione e subordinava tutto ad
essa…
Dal
Concilio in poi, passando per il travaglio delle Commissioni teologiche volute
da Giovanni XXIII e Paolo VI, che portarono a due visioni diverse, e in alcuni
aspetti anche opposte, alla luce nuova dell’ammissione dei cosiddetti “metodi
naturali” per la regolazione delle nascite (Pio XII, ottobre 1951), e poi per
la vicenda tumultuosa dell’Humanae Vitae” che oltre le dispute teologiche e le
resistenze pastorali incendiò per anni le discussioni interne agli stessi
episcopati, il cammino è stato lungo e complesso. La prudenza di Paolo VI, pur
in quella che apparve una chiusura al “nuovo”, spesso equivocato e confuso con
l’approvazione dell’egoismo e della libertà senza criteri chiari, non presentò
il dettato dell’Enciclica come “definitivo” e assolutamente veritativo, ma
lasciò volutamente aperto lo spazio alla ricerca ulteriore. E in questo ambito
anche gli studi di Don Enrico, con altri come il grande Padre Bernard Haering,
fino ad un certo limite Ambrogio Valsecchi, ed anche colleghi come Dalmazio
Mongillo e Giannino Piana, in Italia soprattutto tra le scuole dei
Redentoristi, furono preziosi e autorevolmente visti dai colleghi e da molti
Pastori che hanno preso sul serio il Concilio e il richiamo ai segni dei tempi.
Fondamentale, tra l’altro, per l’esperienza di tanti uomini di Chiesa italiani,
un commento molto ampio della Gaudium et Spes, magistrale, che Don Enrico offrì
e pubblicò con la Studium: una vera miniera di sapienza e di cultura teologica
e storica…
La
sua capacità di mettere insieme opportunità pastorale, fedeltà alle verità di
fede, ricerca e percezione dei “segni dei tempi” è stata sempre grande e
apprezzata. Fedele, e libero insieme, obbediente e capace di novità magari
impensate e anche scomode, tranquillo anche quando qualcuno, magari anche
autorevolmente e ufficialmente, lo indicava come “dissenziente”…
Egli lo fu sempre in cose nelle quali il dissenso era non solo legittimo, ma
capace di far camminare in avanti la teologia e quindi anche la Chiesa nelle
sue dimensioni intellettuali… Grande esempio di pacifica capacità di accogliere
critiche e rimproveri, anche ufficiali, e insieme di resistenza senza resa
nella coscienza che l’oggetto delle critiche era aperto alla libera
discussione, rispettosa della fede, ma mai obbligata a dare corpo di dottrina
di fede a ciò che era soltanto un’affermazione di scuola teologica, magari
nostalgica di tempi passati, materialità di Concili antichi ed egemonie di
parti in causa solo personali e accidentali…
Figlio
e insieme padre della visione conciliare, don Enrico, stimatissimo dai
colleghi, almeno da quelli che non hanno mai visto il rinnovamento conciliare
come pericolosa deviazione dalla fede cattolica, nonostante la sua un po’
selvatica ostinazione a non cercare le luci della ribalta, fu per tanti una
guida anche intellettuale…Di grande significato, tra altro, i suoi studi sulla
morale applicata ai sistemi economici e alla realtà del cosiddetto Terzo Mondo
in via di sviluppo…
Non
solo fiori, ovviamente, sulla sua strada. Ricordo, per concludere questo
piccolo omaggio, un episodio vissuto direttamente. Verso
la fine degli anni ’70 in un Congresso dell’Associazione dei Teologi Moralisti
Italiani (Atism) egli era vicepresidente in scadenza di carica e al momento
delle nuove candidature, in prossimità del voto, nell’assemblea si alzò un
membro della Presidenza, nome illustre e origini campane, il quale con aria tra
contrito e convinto di un servizio necessario avanzò, a nome esplicitamente
della Presidenza della Cei la proposta di “non rinnovare” a Don Chiavacci “la
carica della Vicepresidenza”. Lui non tentò neppure di ribattere, e tacque.
Risultato: i membri dell’Atism furono insieme “obbedienti” e “liberi”: don
Enrico Chiavacci fu eletto “Presidente”! Tempi passati, e non rimpianti.
Ora Don Enrico è tornato alla Casa del Padre. Tanti, anche tra i colleghi un
po’ più giovani, o meno anziani di lui, lo ricordano con simpatia e ringraziano
lo Spirito Santo che gli ha consentito di essere esempio insieme di libertà
vera e fedeltà autentica, le due condizioni necessarie per l’annuncio della
fede e per la salute della Chiesa. Uomo, studioso, scienziato, teologo,
pastore, maestro, Don Enrico. Con ammirazione e gratitudine.
Gianni
Gennari
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