Giorno dopo giorno irrompe nel nostro percorso di vita il mondo che ci circonda in tutti i suoi aspetti. Quante cose da imparare! Stare ATTENTI a cogliere la verità che si nasconde in tutto significa non isolarsi, ESSERE-CON. E perché non anche CON te che leggi? Ausilia
martedì 30 agosto 2016
Vi invito a leggere almeno la parte con lo sfondo verde: il richiamo a vivere la comunione fraterna è stato sempre l’asse portante della vita del credente… (le evidenziazioni sono mie). Ausilia
martedì 30 agosto 2016
Lisa Cremaschi Padri Chiesa: Basilio
“Scaccia
dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun
altro”
La vita cristiana secondo Basilio di Cesarea
La vita cristiana secondo Basilio di Cesarea
“Come la Parola vuole che
siano i cristiani Quali discepoli di Cristo, modellati soltanto su ciò che
vedono in lui o che da lui odono” (Regole morali 80,1).
Così scrive Basilio nella sezione conclusiva delle Regole morali, un’ampia raccolta di testi biblici sapientemente accostati e congiunti da brevi e densissime parole di commento. Queste parole mi sembrano sintetizzare e sigillare il cammino di Basilio, discepolo del Signore, che nella sua instancabile e fecondissima attività di fondatore della vita monastica in Cappadocia e di pastore colmo di sollecitudine per tutte le chiese, non cercò altro che l’obbedienza alla parola del Signore “lottando secondo le regole” (2Tm 2,5).
Nel 355 Basilio, che all’epoca aveva circa venticinque anni, si reca ad Atene a perfezionare i suoi studi, ma qui una crisi esistenziale e spirituale lo induce a tornare in patria dove riceve il battesimo; poco dopo parte per un pellegrinaggio nei luoghi monastici dell’Egitto, della Palestina, della Siria e della Cappadocia. Rientrato, si stabilisce ad Annisoi, nel Ponto, dove dà vita a una comunità di lavoro, preghiera, studio biblico ispirata agli insegnamenti di Eustazio, vescovo di Sebaste. Costui rimproverava alla chiesa del suo tempo d’aver ceduto allo spirito di mondanizzazione e predicava il ritorno a un’obbedienza fedele all’evangelo. La sua sete di radicalità evangelica e il suo amore appassionato per il Signore gli avevano guadagnato molti discepoli, ma l’adesione di Basilio al movimento eustaziano non fu acritica. Uomo di raro equilibrio e dotato di profondo senso ecclesiale, se da un lato fece proprio il radicalismo di Eustazio e il suo profondo desiderio di una chiesa più fedele alle istanze evangeliche, si tenne lontano d’altra parte dal suo rigorismo ascetico e dal suo spirito settario.
Nel 360, Basilio, che nel frattempo è stato ordinato lettore, partecipa al concilio di Costantinopoli, un concilio nel quale i vescovi, e tra gli altri il vescovo di Cesarea e l’amato Eustazio di Sebaste, per timore del potere imperiale, sottoscrivono una formula di fede semiariana. Basilio, scandalizzato e profondamente deluso, cerca forza, luce, coraggio nella parola di Dio. Si ritira ad Annisoi e qui compone La lettera sulla concordia, un testo severo, in cui rimprovera con estremo vigore la chiesa del suo tempo. E il primo grave rimprovero che Basilio rivolge alla sua chiesa è quello di ignorare la Scrittura. Una chiesa che non conosce la parola di Dio, che non vive di essa, né ad essa vuole sottomettersi seguirà inevitabilmente quelle che egli chiama le “tradizioni umane” o le convenienze umane. Basilio insorge contro le norme accomodanti della chiesa costantiniana che ha rinnegato la purezza evangelica, si erge contro “la perversa tradizione degli uomini” (Lettera sulla concordia 7), che insegna a distinguere tra peccati gravi e peccati lievi, distinzione che porta in realtà a una terribile autogiustificazione. “Ci ha ingannati la pessima consuetudine, dunque la causa dei grandi mali che ci sono accaduti è la perversa tradizione degli uomini che ci insegna a evitare certi peccati e ad ammetterne altri con indifferenza! Contro alcuni ha l’aria di sdegnarsi violentemente, per esempio contro l’omicidio, l’adulterio e simili; ma è certo che altri non li considera degni neppure di un lieve rimprovero” (Ibid.). Basilio denuncia una falsa conoscenza di Dio, un travisamento della misericordia. “Dio è buono, ma è anche giusto. É del giusto retribuire secondo il merito ... É misericordioso, ma è anche giudice ... Non dobbiamo dunque conoscere Dio solo a metà, né prendere come pretesto per l’indolenza il suo amore per gli uomini” (Proemio alle Regole diffuse).
Basilio, ordinato presbitero, dopo breve tempo di fronte a malintesi sorti con il vescovo, ritorna ad Annisoi e da qui, sostituendo Eustazio condannato all’esilio, guida le comunità cristiane che a lui si ispiravano. Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in un luogo isolato, forse in una ritraduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le successive comunità sono disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla periferia della città come quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità, spesso doppie - maschile e femminile - crebbero rapidamente. Modello concreto della comunità basiliana è la chiesa primitiva di Gerusalemme. Il ricordo e la nostalgia della comunità cristiana primitiva, da cui Basilio è in certo modo “ossessionato”, diventa progetto concreto e proposta di riforma per la chiesa tutta. Lavoro, preghiera comune, servizio dei poveri nella sottomissione fraterna e nella carità scandivano la giornata del fratello e della sorella basiliani. La vicinanza ai luoghi abitati favoriva l’esercizio dell’ospitalità che in taluni casi, ad esempio a Cesarea di Cappadocia, si strutturava con caratteri peculiari e si apriva all’accoglienza di orfani e malati.
Basilio riconosce l’esistenza di diverse vocazioni, ma ribadisce che le singole vocazioni non sono che modi particolari per realizzare lo scopo della vita cristiana che è unico per tutti: il piacere a Dio. Tutti, senza distinzione, dobbiamo vivere radicalmente il battesimo. Non troviamo mai negli scritti di Basilio alcun termine tecnico per caratterizzare la vita della comunità, non si parla mai di “monaco”, bensì semplicemente di “fratello”; non si ricorre mai al termine “monastero”, ma a quello evangelico di adelphótes, “fraternità, comunità”. Basilio non ha mai avuto intenzione di comporre una regola; hóros, regola, è per lui soltanto la Scrittura e, per estensione, le Regole morali, cui già si è accennato. Le altre regole, chiamate così da alcuni copisti del VI secolo, sono in realtà una raccolta di Domande e Risposte, conformi a un genere assai diffuso nell’antichità.
Alcuni anni più tardi la Cappadocia è colpita da una violenta carestia. Basilio accogliue i poveri nelle sue comunità, ma predica anche contro l’ingiusta ricchezza. Gregorio di Nazianzo scrive che “con la sua parola e le sue esortazioni fa aprire ai ricchi i loro granai” (Discorso 43,35). La condizione sociale del povero e del ricco, ricordava, non è voluta da Dio; è frutto del peccato dell’uomo, dell’avaro che muta il superfluo in necessario, che è ladro perché muta in possesso ciò di cui ha soltanto l’amministrazione. “‘A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?’, dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a lui solo suo quello che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso. ... Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito. Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare” (Omelia 6,7).
Nel 370 Basilio è eletto vescovo di Cesarea. In Cappadocia infuria la persecuzione dell’imperatore ariano Valente. Basilio resiste con fermezza e coraggio alle sue minacce, riorganizza la chiesa di Cappadocia istituendo una serie di nuove diocesi e affidandole alla guida dei suoi amici fedeli alla fede di Nicea, stringe legami di comunione con le chiese d’oriente e di occidente, supplica il vescovo di Roma di inviare una delegazione occidentale a visitare le chiese d’oriente. Basilio è un uomo di comunione, nonostante le asprezze di un carattere non facile, nonostante una forte propensione all’autoritarismo; l’amico Gregorio ebbe modo di conoscere e sperimentare da vicino questi limiti e le pesanti conseguenze che ebbero sulla sua vita. Ma in Basilio la volontà di comunione è più forte dei suoi limiti umani; anche laddove rasenta la rottura con gli amici più cari, egli sa andare oltre i malintesi, le frizioni, le opposizioni di temperamenti profondamente diversi per cercare sempre ciò che unisce, perché l’amore, l’amicizia, la fraternità, la comunione trionfino sempre su ogni tentazione di lacerazione, di divisione, di opposizione. “Ti prego, scaccia dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun altro. Non è infatti degno di chi cammina secondo carità né di chi compie il comando del Signore separarsi dalla comunione con i fratelli” (Lettera 65). Queste parole indirizzate ad Atarbio, vescovo di Neo-Cesarea nel Ponto, esprimono la convinzione profonda che ha caratterizzato l’intera vita di Basilio. Consapevole che la sympnóia, il respiro all’unisono è richiesto dall’evangelo, cerca con ogni mezzo di lavorare per la pace: cerca la pace con il vescovo di Cesarea, Dianio, che per motivi di gelosia l’aveva costretto a lasciare la città; con Eustazio, l’antico maestro sedotto dall’eresia; con i vescovi suffraganei della Cappadocia; con le chiese dell’Asia minore; con le chiese di occidente ... Al più piccolo segno di comunione esprime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al bisogno. A giustificazione dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere un profitto personale.
É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica, il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa, primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
Così scrive Basilio nella sezione conclusiva delle Regole morali, un’ampia raccolta di testi biblici sapientemente accostati e congiunti da brevi e densissime parole di commento. Queste parole mi sembrano sintetizzare e sigillare il cammino di Basilio, discepolo del Signore, che nella sua instancabile e fecondissima attività di fondatore della vita monastica in Cappadocia e di pastore colmo di sollecitudine per tutte le chiese, non cercò altro che l’obbedienza alla parola del Signore “lottando secondo le regole” (2Tm 2,5).
Nel 355 Basilio, che all’epoca aveva circa venticinque anni, si reca ad Atene a perfezionare i suoi studi, ma qui una crisi esistenziale e spirituale lo induce a tornare in patria dove riceve il battesimo; poco dopo parte per un pellegrinaggio nei luoghi monastici dell’Egitto, della Palestina, della Siria e della Cappadocia. Rientrato, si stabilisce ad Annisoi, nel Ponto, dove dà vita a una comunità di lavoro, preghiera, studio biblico ispirata agli insegnamenti di Eustazio, vescovo di Sebaste. Costui rimproverava alla chiesa del suo tempo d’aver ceduto allo spirito di mondanizzazione e predicava il ritorno a un’obbedienza fedele all’evangelo. La sua sete di radicalità evangelica e il suo amore appassionato per il Signore gli avevano guadagnato molti discepoli, ma l’adesione di Basilio al movimento eustaziano non fu acritica. Uomo di raro equilibrio e dotato di profondo senso ecclesiale, se da un lato fece proprio il radicalismo di Eustazio e il suo profondo desiderio di una chiesa più fedele alle istanze evangeliche, si tenne lontano d’altra parte dal suo rigorismo ascetico e dal suo spirito settario.
Nel 360, Basilio, che nel frattempo è stato ordinato lettore, partecipa al concilio di Costantinopoli, un concilio nel quale i vescovi, e tra gli altri il vescovo di Cesarea e l’amato Eustazio di Sebaste, per timore del potere imperiale, sottoscrivono una formula di fede semiariana. Basilio, scandalizzato e profondamente deluso, cerca forza, luce, coraggio nella parola di Dio. Si ritira ad Annisoi e qui compone La lettera sulla concordia, un testo severo, in cui rimprovera con estremo vigore la chiesa del suo tempo. E il primo grave rimprovero che Basilio rivolge alla sua chiesa è quello di ignorare la Scrittura. Una chiesa che non conosce la parola di Dio, che non vive di essa, né ad essa vuole sottomettersi seguirà inevitabilmente quelle che egli chiama le “tradizioni umane” o le convenienze umane. Basilio insorge contro le norme accomodanti della chiesa costantiniana che ha rinnegato la purezza evangelica, si erge contro “la perversa tradizione degli uomini” (Lettera sulla concordia 7), che insegna a distinguere tra peccati gravi e peccati lievi, distinzione che porta in realtà a una terribile autogiustificazione. “Ci ha ingannati la pessima consuetudine, dunque la causa dei grandi mali che ci sono accaduti è la perversa tradizione degli uomini che ci insegna a evitare certi peccati e ad ammetterne altri con indifferenza! Contro alcuni ha l’aria di sdegnarsi violentemente, per esempio contro l’omicidio, l’adulterio e simili; ma è certo che altri non li considera degni neppure di un lieve rimprovero” (Ibid.). Basilio denuncia una falsa conoscenza di Dio, un travisamento della misericordia. “Dio è buono, ma è anche giusto. É del giusto retribuire secondo il merito ... É misericordioso, ma è anche giudice ... Non dobbiamo dunque conoscere Dio solo a metà, né prendere come pretesto per l’indolenza il suo amore per gli uomini” (Proemio alle Regole diffuse).
Basilio, ordinato presbitero, dopo breve tempo di fronte a malintesi sorti con il vescovo, ritorna ad Annisoi e da qui, sostituendo Eustazio condannato all’esilio, guida le comunità cristiane che a lui si ispiravano. Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in un luogo isolato, forse in una ritraduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le successive comunità sono disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla periferia della città come quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità, spesso doppie - maschile e femminile - crebbero rapidamente. Modello concreto della comunità basiliana è la chiesa primitiva di Gerusalemme. Il ricordo e la nostalgia della comunità cristiana primitiva, da cui Basilio è in certo modo “ossessionato”, diventa progetto concreto e proposta di riforma per la chiesa tutta. Lavoro, preghiera comune, servizio dei poveri nella sottomissione fraterna e nella carità scandivano la giornata del fratello e della sorella basiliani. La vicinanza ai luoghi abitati favoriva l’esercizio dell’ospitalità che in taluni casi, ad esempio a Cesarea di Cappadocia, si strutturava con caratteri peculiari e si apriva all’accoglienza di orfani e malati.
Basilio riconosce l’esistenza di diverse vocazioni, ma ribadisce che le singole vocazioni non sono che modi particolari per realizzare lo scopo della vita cristiana che è unico per tutti: il piacere a Dio. Tutti, senza distinzione, dobbiamo vivere radicalmente il battesimo. Non troviamo mai negli scritti di Basilio alcun termine tecnico per caratterizzare la vita della comunità, non si parla mai di “monaco”, bensì semplicemente di “fratello”; non si ricorre mai al termine “monastero”, ma a quello evangelico di adelphótes, “fraternità, comunità”. Basilio non ha mai avuto intenzione di comporre una regola; hóros, regola, è per lui soltanto la Scrittura e, per estensione, le Regole morali, cui già si è accennato. Le altre regole, chiamate così da alcuni copisti del VI secolo, sono in realtà una raccolta di Domande e Risposte, conformi a un genere assai diffuso nell’antichità.
Alcuni anni più tardi la Cappadocia è colpita da una violenta carestia. Basilio accogliue i poveri nelle sue comunità, ma predica anche contro l’ingiusta ricchezza. Gregorio di Nazianzo scrive che “con la sua parola e le sue esortazioni fa aprire ai ricchi i loro granai” (Discorso 43,35). La condizione sociale del povero e del ricco, ricordava, non è voluta da Dio; è frutto del peccato dell’uomo, dell’avaro che muta il superfluo in necessario, che è ladro perché muta in possesso ciò di cui ha soltanto l’amministrazione. “‘A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?’, dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a lui solo suo quello che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso. ... Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito. Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare” (Omelia 6,7).
Nel 370 Basilio è eletto vescovo di Cesarea. In Cappadocia infuria la persecuzione dell’imperatore ariano Valente. Basilio resiste con fermezza e coraggio alle sue minacce, riorganizza la chiesa di Cappadocia istituendo una serie di nuove diocesi e affidandole alla guida dei suoi amici fedeli alla fede di Nicea, stringe legami di comunione con le chiese d’oriente e di occidente, supplica il vescovo di Roma di inviare una delegazione occidentale a visitare le chiese d’oriente. Basilio è un uomo di comunione, nonostante le asprezze di un carattere non facile, nonostante una forte propensione all’autoritarismo; l’amico Gregorio ebbe modo di conoscere e sperimentare da vicino questi limiti e le pesanti conseguenze che ebbero sulla sua vita. Ma in Basilio la volontà di comunione è più forte dei suoi limiti umani; anche laddove rasenta la rottura con gli amici più cari, egli sa andare oltre i malintesi, le frizioni, le opposizioni di temperamenti profondamente diversi per cercare sempre ciò che unisce, perché l’amore, l’amicizia, la fraternità, la comunione trionfino sempre su ogni tentazione di lacerazione, di divisione, di opposizione. “Ti prego, scaccia dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun altro. Non è infatti degno di chi cammina secondo carità né di chi compie il comando del Signore separarsi dalla comunione con i fratelli” (Lettera 65). Queste parole indirizzate ad Atarbio, vescovo di Neo-Cesarea nel Ponto, esprimono la convinzione profonda che ha caratterizzato l’intera vita di Basilio. Consapevole che la sympnóia, il respiro all’unisono è richiesto dall’evangelo, cerca con ogni mezzo di lavorare per la pace: cerca la pace con il vescovo di Cesarea, Dianio, che per motivi di gelosia l’aveva costretto a lasciare la città; con Eustazio, l’antico maestro sedotto dall’eresia; con i vescovi suffraganei della Cappadocia; con le chiese dell’Asia minore; con le chiese di occidente ... Al più piccolo segno di comunione esprime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al bisogno. A giustificazione dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere un profitto personale.
É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica, il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa, primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
prime una gioia e una riconoscenza senza misura. Ma ci sono anche appelli
alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere che
talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e
al bisogno. A giustificazione
dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che se la situazione delle chiese
d’oriente era tribolata non lo era di meno quella delle chiesa di Roma. A tutto
questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che
separavano le chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai
viaggi, la frequenza con cui missive importanti venivano perdute, la pratica
assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre, in un clima di
difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per
trarne un guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della
diffamazione, delle insinuazioni per rendersi gradito ai potenti e per ottenere
un profitto personale. É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la
pace, senza facili illusioni, aderendo alla realtà e alla verità. Di
risultati non ne vedrà nella vita terrena; “se il chicco di grano caduto in
terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio è un chicco di
grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica,
il suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso
di vedere momenti di comunione vera tra i cristiani, qua e là nella chiesa,
primizia, anticipazione di quella pace e quella comunione piena che ci saranno
soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La gloria che tu
hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io
in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
media e femminismo
Dalla rivista Noi DONNE
La
rappresentazione mediatica del femminismo, tra donne palestrate ed altre
gambizzate
Sempre più costante è ritrovare
sui media un'interpretazione errata del ruolo e degli obiettivi del femminismo
in Italia.
inserito da Maddalena Robustelli
Meraviglia
oltremodo che sui quotidiani nazionali si rincorrano tesi sui movimenti
femministi nostrani, con argomentazioni che poco rispecchiano le loro
discussioni teoriche e le conseguenti azioni messe in campo a favore delle
aspettative e dei bisogni delle donne italiane. Già nel mese di luglio si era
vista riproposta su L’Unità la consueta presa di posizione contro il femminismo
storico e le sue rappresentanti, ree di appartenere ad un movimento “asfittico,
schiacciato spesso in un vittimismo cupo, moraleggiante e, quel che è peggio,
che fa figlie e figliastre, alla faccia della sorellanza” (Alessandra Serra).
Strano un giudizio del genere, soprattutto alla luce della circostanza che
invece le femministe reclamano a viva voce interventi celeri e efficaci al
riguardo di un migliore contrasto alla violenza di genere, maggiori garanzie a
tutela dei diritti delle donne, un welfare capace di consentirle una più
congrua conciliazione tra la famiglia ed il lavoro, una più idonea applicazione
della 194 mortificata dall'obiezione di coscienza, solo per indicare alcune
tematiche su cui non sono per nulla asfittiche.
Anche pochi
giorni fa un articolo del Corriere della Sera è intervenuto sulla natura ed il ruolo del femminismo attuale, definendo
come sua conquista la nuova estetica
femminile della donna palestrata a riprova che mentre “le sessantottine
rivendicavano la parità sessuale, le nipotine se ne fregano abbastanza del
sesso, loro espugnano i simboli della virilità” (Maria Teresa Veneziani).
Sconcerta questa interpretazione, a dir poco forzata, dei risultati correlati
alle pratiche delle attiviste, che si spendono costantemente a tentare di
rendere il Paese più a misura di donna. Sembrerebbe che poco ci si informi al
riguardo, se non si è a conoscenza, ad esempio, della circostanza che
l’operazione del camper della Polizia di Stato “Questo non è amore” non è stata
criticata solo dalle femministe dell’Udi, ma anche dalle giovani militanti di
un gruppo nato recentemente sui social “Chi colpisce una donna, colpisce tutte
noi”.
Come anche
poco attenti ci si appalesa allorquando si sottovaluti l’impegno di un altro
gruppo di femministe che con il vigoroso dissenso di ObiettiamoLaSanzione, assurto agli onori della ribalta mediatica
nazionale, ha acceso i riflettori sull’ingiusto aumento delle sanzioni
pecuniarie per le donne che abortiscono clandestinamente. Per non parlare
dell’evento che il 2 giugno scorso ha portato in circa 40 città italiane alle
manifestazioni spontanee di protesta contro la violenza di genere, in occasione
del femminicidio di Sara Di Pietrantonio. Se solo si volessero mettere insieme
nell’analisi del variegato universo femminista e femminile italiano queste ed
altre forme di militanza, se ne desumerebbe ben altro rispetto a quello che
appare dalla lettura dei quotidiani nazionali. Certo potrebbe al contrario
argomentarsi che si tratti di un forte protagonismo virtuale, che poco si
concretizza in azioni pubbliche condivise collettivamente. Intanto, però, è un
fatto che tale protagonismo esista.
Se ne possono
mettere in discussione i risultati concreti, come anche la partecipazione
effettiva, ma che sia vivo l’impegno a tutela delle donne è incontrovertibile,
sia pure solo per veicolare consapevolezza sui temi che più sono presenti nel
dibattito generale. Come altrettanto è innegabile la voglia di scendere in
piazza per comunicare la propria opinione, per proporre nuove soluzioni a
vecchi problemi, per protestare contro i pochi passi fatti verso una cultura
vera delle pari opportunità. Le attiviste vincolate a tale obiettivo non certo
si fanno dettare le priorità della propria agenda politica né dalle
rappresentanze istituzionali né tanto meno dai media. A chi vorrebbe loro
imporre i temi di discussione, come ad esempio sta accadendo in questi giorni
per il dibattito sul divieto di indossare il burkini, rispondono che ben altre
sono le questioni da affrontare in Italia. E’ la nostra realtà che le impone,
come dimostra la recentissima vicenda della giovane donna gambizzata dal
fratello perché non era a lui gradito il suo stile di vita.
La classe
politica nazionale, come anche i suoi megafoni mediatici, potranno pure
adoperarsi a tentare di dettare alle donne italiane i loro slogan nelle
rivendicazioni da portare avanti nel tempo più o meno breve. Non potranno però
fare a meno di considerare il fermento presente all’interno dei movimenti
femministi del Paese, soprattutto laddove essi cerchino di lavorare
sinergicamente. Un tentativo al proposito è stato messo in campo proprio il
mese scorso, con l’appello promosso dalla Rete IoDecido, D.i.Re (Donne
in Rete contro la violenza) ed UDI
(Unione Donne in Italia), finalizzato a tenere il prossimo 8 ottobre un’assemblea pubblica nazionale
a Roma. La libertà delle donne è
sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e
ostacolata. All'aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza
delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzare e
ridicolizzare le donne, così sottoscrivono le proponenti, chiamando
ogni donna, aggregata in associazioni o no, al confronto nazionale di ottobre
per “contribuire a dare i contenuti e le parole d’ordine per costruire una
grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo”.
C’è da auspicarsi che nel solco della riuscita di questa mobilitazione di piazza ognuna lavori, nel proprio gruppo d’appartenenza o singolarmente, ad elaborare suggerimenti e proporre rimedi più che necessari alle difficoltà che attanagliano l’universo femminile in Italia. Con la speranza che i media seguano e divulghino questo lavoro quanto più correttamente possibile, perché le donne tartarugate o palestrate non sono di certo l’emblema del neo femminismo nostrano. Semmai il suo obiettivo prioritario è che di donne gambizzate o vittime di femminicidio se ne contino sempre meno, soprattutto se la classe politica riuscirà a coniugare alle parole annunciate, ai drappi rossi esposti ed alle sale delle donne inaugurate soluzioni in grado di contrastare in tutta la società italiana il concetto che alcune vite contino di meno delle altre, agendo conseguentemente a questo impegno ideale.
C’è da auspicarsi che nel solco della riuscita di questa mobilitazione di piazza ognuna lavori, nel proprio gruppo d’appartenenza o singolarmente, ad elaborare suggerimenti e proporre rimedi più che necessari alle difficoltà che attanagliano l’universo femminile in Italia. Con la speranza che i media seguano e divulghino questo lavoro quanto più correttamente possibile, perché le donne tartarugate o palestrate non sono di certo l’emblema del neo femminismo nostrano. Semmai il suo obiettivo prioritario è che di donne gambizzate o vittime di femminicidio se ne contino sempre meno, soprattutto se la classe politica riuscirà a coniugare alle parole annunciate, ai drappi rossi esposti ed alle sale delle donne inaugurate soluzioni in grado di contrastare in tutta la società italiana il concetto che alcune vite contino di meno delle altre, agendo conseguentemente a questo impegno ideale.
| 26 Agosto 2016
lunedì 22 agosto 2016
Giulia Paola Di Nicola – Attilio Danese
Il buio sconfitto
Cinque relazioni
speciali
tra eros e amicizia
spirituale
Se volessi dare una definizione in grado di sintetizzare
quanto cercherò di dire in questa recensione, titolerei così: L’amore di coppia cristiano.
I due autori ce ne offrono una visione di insieme
documentata. Sento il bisogno di ringraziarli per aver fatto un lavoro quanto
mai mirato a mettere a fuoco lo specifico argomento dell’amore di coppia. Hanno
saputo selezionare, tra informazioni che sono ormai di pubblico dominio, quelle
che forse altrove sono sottaciute. Hanno avvalorato la ricerca con varie
citazioni, le più interessanti delle quali, a mio parere, sono quelle
autobiografiche e relative all’amore dei personaggi di cui si parla.
Seguendo la pista degli autori, vorrei stimolare i lettori
di questo libro ad inseguire il modello interpretativo che ho cercato di
offrire traendolo dalla ricerca degli autori. Infatti mi è sembrato di poter cogliere
tra le cinque coppie una sorta di complementarità: nella loro singolarità le
storie sono dissimili; avvicinate e confrontate, si ricava una concezione
unitaria dell’amore, pur vissuto in modo diverso; tanto che potrei parlare di
amore dai cinque volti.
La prima storia
- Charlotte Baudouin e Charles Péguy - fa vedere un Péguy
dibattuto tra due amori, dei quali quello vissuto in solitudine, soffocato dal
senso di fedeltà coniugale, è il più vivo e travolgente. Egli resiste. Scrive
lettere e poesie alla donna non sua. E
questa, dalla penombra che l’avvolge, influenza la vena artistica dell’amato e la
fa divenire capacità creativa. Sintomatico l’acrostico in una ballata dove si
può leggere il nome di lei: Blanche. La coppia irrealizzata ha un’affinità che
solo un uomo integerrimo come lui può contenere fino al punto di consigliare all’amata
il matrimonio con un altro; come di fatto avviene. La fedeltà alla moglie è per
lui ineludibile.
La vicenda umana di Péguy non è tutta tormento per l’amore
impossibile. Nella sua vita ferve la scelta di un socialismo agnostico che lo
allontana dalla chiesa cattolica, alla quale vorrebbe aderire pur con molte
perplessità. Anche qui un dualismo lacerante che nemmeno il rapporto molto
intenso con Maritain e Raïssa riesce a fargli superare; infatti i due amici non
riescono a convincerlo ad aderire decisamente alla fede cattolica: nel dualismo
tra fede e vita, lui opterà sempre per “un’antropologia dell’incarnazione,
della storia, dell’impegno sociale e politico alternativo allo spiritualismo…”.
Il dualismo emotivo e quello ideologico nulla toglie alla grandezza di un uomo
(la donna, madre dei suoi figli, in questa storia entra in secondo ordine) che seppe
essere fedele a se stesso.
La seconda storia – Raïssa Oumançoff e Jacques Maritain – riguarda personaggi celebri ben noti nel mondo
culturale e religioso. Gli autori tessono il racconto della loro storia d’amore
e lo arricchiscono con interessanti citazioni.
I due sono di diversa provenienza: lei, ebrea russa, quando
nelle università del suo paese entrò in vigore il numero chiuso a danno degli
ebrei e soprattutto delle donne, si trasferì con la famiglia a Parigi. Lui, di
origine protestante, divenne cattolico molto attivo e, come tutti sanno, fu
studioso e pensatore profondo tanto da fare scuola.
Il primo incontro è ritratto con freschezza descrittiva,
poetica.
L’osmosi affettiva ed intellettuale che ben presto si
realizza tra i due è un miracolo della Grazia e come tale essi la vivono. L’impegno
nel mettere a frutto i doni di Dio per mezzo della preghiera, nella quale confidano
molto, è teso a trasformare la vita intellettuale in vita spirituale; e di
fatto si mettono a servizio degli altri in circoli culturali di cui sono animatori.
L’amore tanto radicato nella fede evolve in Jacques verso una
‘compiutezza verginale’; da ciò la proposta a Raïssa di fare il voto di castità dopo appena sei anni di
matrimonio. Senza una sottovalutazione del sesso, ma attraverso una sua
sublimazione, la loro mira è alta: trascendere ogni forma limitativa fino allo
sprofondamento dell’amore umano nel divino.
* [Qui mi permetto una nota personale. Leggendo per mio conto
Raïssa, ho saputo
di un suo disappunto in merito; lo soffocò e ne tacque. A volte le donne
capiscono meglio e soffrono di più…].
Come definire un tanto grande luminoso amore? Con sussiego
suggerisco: amore proteso verso vette
inesplorate.
Circa la terza coppia – Francesca Romani e Alcide De Gasperi – mi astengo da aggiungere ogni aspetto narrativo
a quanto gli autori dicono. Il lettore ne sarà affascinato senza alcuna mia
indicazione, poiché le pagine scorrono da sé. In esse sono ritratti i vari
passaggi dall’inizio dell’innamoramento alla prima dichiarazione di amore, al
matrimonio, alla vita a due. Questa non
è rose e fiori, dapprima a causa della vita provata di Alcide che subisce anche
col carcere la persecuzione del regime fascista, in seguito a causa dei suoi
impegni politici dei quali ci informano (ben poco!) i libri di storia, nonché
della vita tra stenti che lo costringono,
per sopperire ai bisogni della famiglia con quattro figlie da crescere, al
lavoro di traduttore, di bibliotecario in Vaticano, ecc. Sono tutte pagine che
si leggono avidamente tanto le loro vicende sono singolari (soprattutto se
volessimo fare un confronto con la vita agiata dei politici di oggi).
Ma non posso privare chi legge di qualche citazione che
illumina di bellezza soprannaturale il cammino a due con Francesca, la moglie
che non lo lascia mai solo nemmeno nella lontananza fisica.
Alcide le scrive così:
…t’amo tanto, sono
così vicino a te, che una graduazione, anche una certa distanza, dell’intensità
delle nostre convinzioni e della misura di praticarle, non potrebbe scuotere
l’infinito affetto che deve basarsi anche sulla tolleranza e sul rispetto
reciproco. Ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza e
nulla mi ripugna di più che il farti da maestro e di frugare nella tua
coscienza..
…tu, sorella
dell’anima…
Mi farai sempre un
immenso piacere quando rinfrancherai il tuo spirito con un richiamo a questa
corrente di spiritualità che ti fa vibrare all’unisono con le mie speranze e
con la mia fede ideale… io a te e tu a me, è la formula per le nostre
relazioni…
Non sono io che ti
amo, ma siamo noi due che ci amiamo…
Sento che i nostri due
spiriti si fondono in un ideale sovrumano…
…le nostre lettere
come le nostre carezze sono tutte per noi soli.
Un uomo così granitico nel carattere e nelle scelte di vita,
sa esprimersi con dolcezza infinita parlando con la sua donna. Non c’è mai
spazio nelle sue parole per le futilità di un amore senza spina dorsale.
La quarta coppia
– Mya Salvati e Igino Giordani – ci mette di fronte ad una tipologia ben nota al
giorno d’oggi: il marito delega alla moglie ciò che riguarda la vita concreta,
e la moglie, anche se non priva di doti artistiche, accetta la situazione
pagando in termini di frustrazione.
Siamo di fronte ad una coppia di diversi per cultura, fede,
tendenze... Mya sta sempre all’ombra, mentre il marito si afferma, acquista una
grande notorietà. Egli ringrazia una moglie sempre in seconda linea rispetto ad
altre donne… “sante”, come dapprima una certa madre Oliva e poi Chiara Lubich, che gli offrono un’alternativa
di santità illuminata rispetto a ciò che Mya non sa dargli. L’estasi che Igino
trova tra i focolarini è l’inferno in casa di Mya.
Un amore travagliato che ripete in altro modo quello di
tante altre coppie, all’interno delle quali il pane quotidiano è la sofferenza
delle donne.
Adrienne
von Speyr e Hans Urs von Balthasar
costituiscono una coppia di grande prestigio. Lui un grande teologo che ha
fatto storia, lei una mistica molto dotata spiritualmente ed umanamente.
Alla pagina 299 del libro si legge: L’unità delle anime è sorprendente, sul piano culturale, affettivo,
spirituale e teologico. E più giù: Adrienne
sarà sempre convinta che la verginità fisiologica si giustifica sulla base di
una verginità ontologica. Quest’ultima frase mi ha dato l’idea di come la
coppia abbia intrapreso un itinerario di continuo rimodellamento della persona,
in vista del perfezionamento personale, quale terreno che sarebbe stato fertile
sia per la verginità consacrata o seriamente impegnata, sia per il matrimonio responsabile.
Di ontologico non riesco a vedere altro o di più. Comunque resta vero che nella
coppia in questione non c’è spazio per una sorta di DNA verginale o di qualcosa
che gli si avvicini; infatti Adrienne si è sposata due volte prima di stringere
un vincolo di alta amicizia con von Balthasar; e questi coltiva le sue notevoli
attitudini all’approfondimento teologico, sottoponendo le sue costruzioni
teologiche alle ‘correzioni’ della mistica Adrienne. I due punti di vista da
cui partono sono diversi, ma tendono ad integrarsi sul piano della ricerca e
della vita vissuta, fino al punto di fare coppia morale e spirituale nell’aspirazione
allo stesso ideale.
La finale del libro, che mi piace trascrivere, illumina
ancor meglio il senso di questo far coppia spirituale che, se nella quinta
coppia di amici è chiaro e lampante, aleggia anche nelle altre storie: Il frutto più significativo delle fecondità
di queste anime rimane nella capacità di vivere l’unità in Cristo e di lasciare
alla chiesa il formidabile segno di speranza inciso nel progetto originario: DIO
CREO’ L’UOMO A SUA IMMAGINE; A IMMAGINE DI Dio LO CREO’; MASCHIO E FEMMINA LI
CREO’ “.
L’insistenza nel ripetere i termini della dualità, maschio e
femmina, non lascia posto ad una verginità intesa in senso restrittivo come
limitazione all’espressione della sessualità. La dualità è voluta da Dio, è la
Sua stessa Identità dinamica [il Terzo è già sottinteso nella dualità].
Ciascuno dei due tende alla sua dilatazione nell’altro, senza sacrificare mai la
sua singolarità (il caso di Mya e Igino è un’eccezione nel libro, normale nella
realtà sociale dei più); come tale ciascuno può essere vergine e in relazione
di amore.
Ha redatto Ausilia Riggi
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