10 alberi piantati in Israele dalle teologhe
Per capire il senso dell'omaggio potrebbe essere utile leggere questo equilibrato articolo de il giornale 01 settembre 2012:
È stato lui, anni fa, a
definirsi in Conversazioni notturne a Gerusalemme un Ante-Papa, e cioè «un precursore
e preparatore per il Santo Padre», uno insomma che prepara il terreno al Papa e
gli indica i problemi da affrontare.
Uno, in sostanza, che
detta la linea al capo della Chiesa, che gli dice come e in che modo muoversi e
agire.
E, in effetti, questo è
stato il cardinale Carlo Maria Martini, negli anni in cui ha svestito i panni
del gesuita biblista e dell’esegeta e ha indossato, dal 1980 al 2002, quelli di
arcivescovo della diocesi più ricca d’Italia e, forse, più prestigiosa del
mondo: Milano. Un vescovo di peso, un cardinale candidato per anni al papato, e
insieme, che piaccia o meno, una spina nel fianco per il suo principale alter
ego ecclesiale: Giovanni Paolo II. Il Papa polacco che alla propria profetica e
dottrinalmente cristallina predicazione (una predicazione supportata dal
contributo teologico di Joseph Ratzinger) vedeva contrapporsi metodicamente
pagine di interventi e interviste sui principali quotidiani italiani e
internazionali ricolme di dubbi e «zone grigie» da parte del porporato ambrosiano.
Pagine che Wojtyla non ha mai dichiarato di non digerire. Anzi: come nel 1978,
una volta salito al soglio di Pietro, egli scelse come suo principale
collaboratore in segreteria di Stato una personalità diversa da sé e cioè
Agostino Casaroli, così lasciò che Martini a tratti gli si contrapponesse
giudicando il contributo del suo «avversario» prezioso perché diverso, utile
perché non allineato.
Certo, non sempre furono
rose e fiori. A volte, le prese di posizione di Martini che facevano esultare
la classe politica di sinistra e il mondo progressista, una qualche irritazione
oltre il Tevere la provocavano. In special modo quando in ballo c’erano i temi
della vita, del nascere e del morire, Martini interveniva lanciando
idee-manifesto che dai più erano giudicate come una presa di posizione politica
volutamente forte.
Difficile però dire se era
lui che si schierava a sinistra o se era la sinistra politica che faceva
divenire le sue parole cosa sua. Di certo la sua Chiesa tutta del ritorno alla
«purezza e l’umiltà del Vangelo», la Chiesa che un giorno dovrà essere in grado
di portare avanti riforme «necessarie come è quella dell’abolizione del
celibato dei preti», una Chiesa «che sta morendo perché manca la passione e la
sofferenza», la Chiesa del ritiro nelle sagrestie, di retrovia, e che insieme
sa osare aperture importanti per i divorziati risposati e le coppie di fatto,
era a sinistra che lanciava messaggi, non certo al mondo politico più
conservatore.
Eppure, ultimamente,
Martini aveva preso posizioni più morbide, meno schierate. Il 30 agosto 2010,
ad esempio, stupisce quando sulla sua rubrica mensile sul Corriere della Sera
dedicata ai «divorziati e all’amore coniugale», non risponde a una precisa
domanda di un lettore in merito usando le medesime parole pronunciate anni
prima in una conversazione con Armando Torno e don Luigi Verzé a Milano: qui
chiese un Concilio per ridiscutere il «no» all’eucaristia per queste persone.
Sul Corriere scrive invece che «bisogna fare di tutto per salvare anche i naufraghi».
Come? «Tocca alla Chiesa deciderlo. Noi possiamo solo pregare, soffrire e
attendere». Ma, insieme, puntualizza che è «importante anzitutto non favorire
in nulla né la leggerezza né l’infedeltà, promuovere la perseveranza, difendere
l’amore coniugale dai pericoli che ne minacciano la perennità». Insomma, parole
diverse, queste ultime, meno di battaglia, meno interpretabili politicamente.
Se c’è un martiniano doc,
questi è don Giovanni Nicolini. Mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò
Giuseppe Dossetti. Quindi la lunga amicizia con Martini che l’ha sostenuto nel
progetto di fondazione della comunità le Famiglie della Visitazione. Ha detto
don Nicolini al Foglio qualche mese fa che Martini, prima di inaugurare la sua
rubrica di lettere al Corriere, «ha cercato di svolgere interventi di audacia
spirituale ma mai duri». E che ora, in questa sua terza età, «continua con
questa linea seppure sia maggiormente la sapienza dell’anziano a venire fuori.
Mi pare che riesce a vedere tutto come da una pace superiore. Riesce a offrire
un giudizio realistico sulla vita della Chiesa al di là delle polemiche».