mercoledì 28 novembre 2012

Da Il Paese delle donne


Per abitare diversamente il mondo. Essere donne oggi

VENERDÌ 7 DICEMBRE 2012
UNIVERSITÀ ROMA TRE, AULA MAGNA DEL RETTORATO
VIA OSTIENSE 169, ROMA

Programma

Ore 15.00
Saluti di apertura
Guido Fabiani, Rettore Università di Roma Tre
Francesca Brezzi, Presidente Osservatorio interuniversitario di genere, parità e pari opportunità
Orlando Corsetti, Presidente Municipio Roma Centro Storico
Patrizia De Rose, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Pari opportunità

Ore 15.30
Lorella Zanardo,  “Senza chiedere  il permesso”
Dialogo con la realtà universitaria

Ore 16.30

Contro la violenza sulle donne: metodi, strumenti e buone pratiche
Idee e proposte
MAurizio Mosca, European Institute for Gender Equality
Elisabetta Strickland, Università degli Studi Roma Tor Vergata
Laura Moschini, Osservatorio interuniversitario di genere, parità e pari opportunità
Mariella Nocenzi, Osservatorio interuniversitario di genere, parità e pari opportunità


Ore 17.30
Riflessioni e Testimonianze
Antonella Polimeni, Sapienza Università di Roma
Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, Presidente Telefono Rosa
Benedetta Balducci, Maresciallo istruttore Arma dei Carabinieri
Donatella Caramia, Università di Roma Tor Vergata

modera
Lucia Goracci, Rai Tg3


Lancio di Campagna di sensibilizzazione IO NO

Consegna attestati del Corso “Donne Politica e Istituzioni”

giovedì 22 novembre 2012


TREGUE POSSIBILI, TREGUE IMPOSSIBILI
Tutti parlano di cessate il fuoco ma esso si può avere quando ambedue le parti vogliono realmente la pace. Diversamente esso è una tregua di cui una delle due parti vuole avvantaggiarsi (per esempio per ricevere nuovi rifornimenti, per produrre nuove armi, per acquistare nuovi alleati) perché al momento sul terreno le sorti del conflitto non volgono a suo favore. Questo punto va ribadito: l’interesse a cessare le ostilità deve essere assolutamente vero e concreto, in ambedue i contraenti: perché se una delle due parti non vuole la pace, con la tregua l’altra parte le concede soltanto il vantaggio di riprendere fiato.
Ecco perché in Palestina non si giunge ad un cessate il fuoco. Con l’operazione “Cast Lead” (dicembre 2008/gennaio 2009) Israele inflisse una severa punizione a Gaza e per mesi e mesi ottenne più o meno di essere lasciata in pace. Ora sarebbe lieta di sapere che Hamas e i palestinesi di Gaza non abbiano dimenticato quella lezione e non la costringano a ripetergliela. Purtroppo Hamas e la Jihad Islamica Palestinese in questo campo soffrono di due invalicabili handicap, se così vogliamo chiamarli.
Il primo è che nella loro logica i morti palestinesi, pur provocati dall’aver posto le rampe di lancio dove ci sono dei civili, pur provocati dall’avere costretto Israele a reagire e perfino ad invadere Gaza, non sono “costi”, sono “ricavi”. Ogni morto in più, ogni bambino ferito da esibire, sono altrettanti assegni esigibili su tutti i media del mondo. Nessuno ha dimenticato che Golda Meir, tanti anni fa, ha detto che la pace si sarebbe ottenuta “Quando le madri palestinesi avrebbero amato i loro figli quanto le madri israeliane amavano i loro”. 
L’interesse alla tregua è autentico in Israele, perché qui il governo non vuole che i suoi cittadini corrano neppure il rischio di essere uccisi. Viceversa Hamas accetta non solo il rischio, ma anche la certezza che i suoi cittadini moriranno in gran numero. La politica di morte prevale perfino sull’interesse umano per i propri connazionali, considerati spendibili. Animali da macello. Che tali sono anche per gli antisemiti europei.
Il secondo handicap è che i capi di Gaza, per decenni, hanno predicato che bisogna giungere all’eliminazione fisica di Israele. Dunque la morte di qualunque ebreo - anche vecchio, anche donna, anche bambino - è solo un acconto sui sei milioni che si conta di sterminare. Infatti non è questione di lottare contro l’oppressore: Gaza non è invasa. Avendo un simile programma, per loro è impossibile mantenere la promessa di astenersi, in futuro, dal lanciare razzi, compiere attentati, cercare di ammazzare quanti più ebrei è possibile. Semplicemente non possono farlo.
O – per essere più precisi – possono farlo: nella loro mentalità mentire agli infedeli non è peccato. Purtroppo questo principio lo conoscono anche gli israeliani e in generale gli occidentali: sicché la loro parola, in occasione di un negoziato, non vale nulla. Sono nella posizione del bugiardo notorio. E allora l’unico sistema per “farli smettere” è invadere quel fazzoletto di terra, facendo pagare caro alla popolazione il sostegno ad Hamas: così si possono cercare personalmente i razzi e distruggerli. L’alternativa è che un terzo affidabile si impegni ad una risoluta sorveglianza capace di assicurare che dal territorio di Gaza non siano compiuti atti di terrorismo nei confronti di Israele. Ma chi può farlo? Non certo l’Egitto dominato dai Fratelli Musulmani. E neppure gli Stati Uniti, che hanno tanta voglia di tirare i remi in barca. Ecco perché il gran parlare che si fa di cessate il fuoco imminente è stupefacente. A smettere non ci vuol molto. Ma gli israeliani chiedono: e dopo?
La speranza è l’ultima a morire. Sicuro è tuttavia che Israele non può accettare di far da bersaglio per il tiro a segno dei palestinesi.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
21 novembre 2012

sabato 17 novembre 2012

A Beppe Grillo

Ho scritto così a Beppe Grillo.
"Tutto bene per la pars destruens. Urge una visione d'insieme che dia consistenza partecipativa ai cittadini, ma li renda consapevoli delle possibilità concrete: ci muoviamo in un mondo capitalistico che stenta a morire. E' necessaria una proposta CHE TENGA CONTO DELLE FORZE VIVE sia dentro i partiti in sfacelo, sia tra i cittadini ignari delle dinamiche della storia. La rivoluzione marxiana costituisce un precedente interessante; tutto nel tempo degenera e quel che resta da fare oggi è, non la ricaduta in ideologie pronte a cristallizzarsi, ma la creazione di SISTEMI IN GRADO DI CREARE CONTINUAMENTE ANTICORPI  alla decadenza, sempre a passo con le mutazioni..... " 

sabato 10 novembre 2012

 10 alberi piantati in Israele dalle teologhe
Per capire il senso dell'omaggio potrebbe essere utile leggere questo equilibrato articolo de il giornale 01 settembre 2012:
È stato lui, anni fa, a definirsi in Conversazioni notturne a Gerusalemme un Ante-Papa, e cioè «un precursore e preparatore per il Santo Padre», uno insomma che prepara il terreno al Papa e gli indica i problemi da affrontare.
Uno, in sostanza, che detta la linea al capo della Chiesa, che gli dice come e in che modo muoversi e agire.
E, in effetti, questo è stato il cardinale Carlo Maria Martini, negli anni in cui ha svestito i panni del gesuita biblista e dell’esegeta e ha indossato, dal 1980 al 2002, quelli di arcivescovo della diocesi più ricca d’Italia e, forse, più prestigiosa del mondo: Milano. Un vescovo di peso, un cardinale candidato per anni al papato, e insieme, che piaccia o meno, una spina nel fianco per il suo principale alter ego ecclesiale: Giovanni Paolo II. Il Papa polacco che alla propria profetica e dottrinalmente cristallina predicazione (una predicazione supportata dal contributo teologico di Joseph Ratzinger) vedeva contrapporsi metodicamente pagine di interventi e interviste sui principali quotidiani italiani e internazionali ricolme di dubbi e «zone grigie» da parte del porporato ambrosiano. Pagine che Wojtyla non ha mai dichiarato di non digerire. Anzi: come nel 1978, una volta salito al soglio di Pietro, egli scelse come suo principale collaboratore in segreteria di Stato una personalità diversa da sé e cioè Agostino Casaroli, così lasciò che Martini a tratti gli si contrapponesse giudicando il contributo del suo «avversario» prezioso perché diverso, utile perché non allineato.
Certo, non sempre furono rose e fiori. A volte, le prese di posizione di Martini che facevano esultare la classe politica di sinistra e il mondo progressista, una qualche irritazione oltre il Tevere la provocavano. In special modo quando in ballo c’erano i temi della vita, del nascere e del morire, Martini interveniva lanciando idee-manifesto che dai più erano giudicate come una presa di posizione politica volutamente forte.
Difficile però dire se era lui che si schierava a sinistra o se era la sinistra politica che faceva divenire le sue parole cosa sua. Di certo la sua Chiesa tutta del ritorno alla «purezza e l’umiltà del Vangelo», la Chiesa che un giorno dovrà essere in grado di portare avanti riforme «necessarie come è quella dell’abolizione del celibato dei preti», una Chiesa «che sta morendo perché manca la passione e la sofferenza», la Chiesa del ritiro nelle sagrestie, di retrovia, e che insieme sa osare aperture importanti per i divorziati risposati e le coppie di fatto, era a sinistra che lanciava messaggi, non certo al mondo politico più conservatore.
Eppure, ultimamente, Martini aveva preso posizioni più morbide, meno schierate. Il 30 agosto 2010, ad esempio, stupisce quando sulla sua rubrica mensile sul Corriere della Sera dedicata ai «divorziati e all’amore coniugale», non risponde a una precisa domanda di un lettore in merito usando le medesime parole pronunciate anni prima in una conversazione con Armando Torno e don Luigi Verzé a Milano: qui chiese un Concilio per ridiscutere il «no» all’eucaristia per queste persone. Sul Corriere scrive invece che «bisogna fare di tutto per salvare anche i naufraghi». Come? «Tocca alla Chiesa deciderlo. Noi possiamo solo pregare, soffrire e attendere». Ma, insieme, puntualizza che è «importante anzitutto non favorire in nulla né la leggerezza né l’infedeltà, promuovere la perseveranza, difendere l’amore coniugale dai pericoli che ne minacciano la perennità». Insomma, parole diverse, queste ultime, meno di battaglia, meno interpretabili politicamente.
Se c’è un martiniano doc, questi è don Giovanni Nicolini. Mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò Giuseppe Dossetti. Quindi la lunga amicizia con Martini che l’ha sostenuto nel progetto di fondazione della comunità le Famiglie della Visitazione. Ha detto don Nicolini al Foglio qualche mese fa che Martini, prima di inaugurare la sua rubrica di lettere al Corriere, «ha cercato di svolgere interventi di audacia spirituale ma mai duri». E che ora, in questa sua terza età, «continua con questa linea seppure sia maggiormente la sapienza dell’anziano a venire fuori. Mi pare che riesce a vedere tutto come da una pace superiore. Riesce a offrire un giudizio realistico sulla vita della Chiesa al di là delle polemiche».



martedì 6 novembre 2012

Nella stessa barca...

Mai come ora mi sono trovata nelle condizioni di non sapere quale notizia meriti la priorità per essere pubblicata: l'ingorgo tra politica ed antipolitica, le politiche del momento insufficienti a reggere il peso di cambiamenti che si curano con metodi i quali non tengono conto del senso di impotenza che invade, più che le 'fisime', la concretezza del vivere quotidiano di chi manca del necessario, le prediche ecclesiali il cui contenuto coincide con quello parolaio di ogni Casini di turno, eccetera.
Come dare spazio alla mia sete di spargere, sulla scia di Gesù, un messaggio di speranza e di fede attraverso l'ascolto interiore? non rischio anch'io di associarmi a chi non vuole vedere lo strazio di chi 'non ce la fa'? Allora sula stessa preghiera che mi canta costantemente in cuore si spande una nube di dolore senza via di uscita. Penso che davvero ci avviciniamo con Gesù al luogo dove Gesù consumerà la sua partecipazione al dolore umano. Ma forse proprio nello scoprirci nella stessa barca con lui, non è poca cosa.....

domenica 4 novembre 2012

Non si uccide mai la speranza!


Fine pena mai, firme contro l’ergastolo
MARCO DEL CIELLO
Lo statista democristiano Aldo Moro, l’oncologo di fama internazionale Umberto Veronesi e l’ergastolano-scrittore Carmelo Musumeci: tre uomini diversi per formazione e cultura, ma accomunati dalla convinzione che il fine principale della pena sia la rieducazione del condannato e dal proposito di eliminare l’ergastolo dal nostro ordinamento giuridico.
LO STATISTA ALDO MORO. Nel 1976, due anni prima della sua tragica scomparsa, Moro spiegava ai suoi studenti dell’università La Sapienza la pena dell’«ergastolo, che priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte» (Aldo Moro, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale, Cacucci, 2005). Il suo impegno però risaliva agli anni dell’Assemblea Costituente, quando l’allora giovane politico si batteva per abrogare la legislazione penale fascista.
LO SCIENZIATO UMBERTO VERONESI.Veronesi ha invece affidato le sue riflessioni in materia al settimanale Panorama, in un’intervista rilasciata alla giornalista Annalisa Chirico: «L’ergastolo ostativo è di fatto una pena di morte civile o una pena fino alla morte» sostiene l’ex ministro della Sanità del secondo governo Amato. «Una persona, che entra in cella sapendo di essere destinata a morirvi, è condannata a un’agonia lenta e spietata». Non solo, ma l’ergastolo è anche una pena contraria alla scienza: «il nostro sistema di neuroni non è immutabile, ma si rinnova perché il cervello è dotato di cellule staminali in grado di generare nuove cellule. Quindi la persona che abbiamo chiuso in un carcere non è la stessa vent’anni più tardi. Per ogni uomo esiste la possibilità di cambiare ed evolversi» («No all’ergastolo, lo dice la scienza», Panorama, 17 ottobre 2012).


L’ERGASTOLANO CARMELO MUSUMECI. Infine, Carmelo Musumeci. Musumeci è un ergastolano attualmente recluso nel carcere di Padova, ma nel corso dei lunghi anni della sua detenzione ha conseguito una laurea in giurisprudenza e ha pubblicato alcuni libri di narrativa che descrivono in modo metaforico e poetico la condizione degli ergastolani, che lui chiama significativamente «uomini ombra». Il suo lavoro più recente è una raccolta di racconti intitolata Zanna Blu. Le avventure (Gabrielli Editori, 2012). Con l’aiuto dei volontari dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII tiene inoltre un diario in rete della sua esperienza e dei suoi pensieri.
UNA PETIZIONE CONTRO L’ERGASTOLO. E proprio la Comunità Papa Giovanni XXIII, insieme al movimento Science for Peace di Umberto Veronesi, ha lanciato a giugno di quest’anno una raccolta firme con la prospettiva di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare che abroghi l’articolo 22 del Codice Penale, che prevede appunto la pena dell’ergastolo. Si tratta di un obiettivo ambizioso e sempre mancato da quei politici che nei decenni passati hanno promosso disegni di legge, referendum abrogativi (nel 1981) e ricorsi alla Corte Costituzionale su questo tema.
15 MILA FIRME, IL SOSTEGNO DELLA SOCIETÀ CIVILE. Dal 2007 però gli ergastolani, constatato il crescente disinteresse della politica ufficiale nei loro confronti, hanno preso direttamente l’iniziativa, prima chiedendo provocatoriamente al Presidente della Repubblica di commutare la loro detenzione nella pena di morte e poi con questa petizione che ha già raccolto più di 15.000 firme. Nomi noti della società civile come l’astrofisica Margherita Hack e il chirurgo Gino Strada, politici da sempre impegnati per i diritti dei detenuti come la deputata radicale Rita Bernardini o il senatore pidiellino Luigi Compagna, ma anche tanti semplici cittadini.
QUANTI SONO E COME VIVONO. Si sono anche raccontati in un volume collettivo curato dalla giornalista Francesca de Carolis (Urla a bassa voce. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai, Stampa Alternativa, 2012) per spiegare a un pubblico spesso ignaro e prevenuto chi sono e come vivono: gli ergastolani sono oggi in Italia, dati di fine 2011, 1.528 (ma erano solo 408 nel 1992). Di questi circa 1.200 rientrano nelle categorie di reato indicate dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario e non possono quindi godere di nessuno dei benefici previsti dalla legge per gli altri detenuti.
GLI ERGOSTOLANI OSTATIVI. Sono i cosiddetti ergastolani ostativi, condannati a finire i loro giorni in carcere senza nessuna possibilità di liberazione anticipata, privi di «qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto», per tornare alle parole di Aldo Moro. La loro condizione si pone, secondo molti giuristi, in aperto contrasto con il dettato dell’articolo 27 della Costituzione che vede nella rieducazione il fine principale, se non esclusivo, della pena. Che senso ha, infatti, rieducare chi in ogni caso non rientrerà mai più nella società? Carmelo Musumeci risponde a questo interrogativo invitando a firmare per l’abolizione dell’ergastolo sul suo sito www.carmelomusumeci.com, perché «ogni persona dovrebbe avere diritto ad una speranza e per tutti ce n’è una, ma non per gli uomini ombra».
FIRMA CONTRO L'ERGASTOLO: