sabato 27 dicembre 2014

IUn papa da ascoltare (senza fantismi)


Bergoglio come Giovanni Paolo I: "Dio è mamma".
Poi il monito sul clima: "Tempo quasi scaduto"
Il 14 febbraio il prossimo Concistoro

CITTA' DEL VATICANO -Davanti ai cambiamenti climatici in atto, "il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo". E' questo il monito lanciato da Papa Francesco nel suo messaggio alla ventesima Conferenza degli Stati che partecipano alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che si tiene a Lima in Perù. 
L'obiettivo del messaggio di Bergoglio, da sempre sensibile alle tematiche ambientali (ai quali ha dedicato anche un passaggio del suo discorso al Parlamento europeo) è quello di spronare tutti gli Stati del mondo ad agire prima che i danni provocati dai cambiamenti climatici siano irreparabili. Le conseguenze dei cambiamenti ambientali - ricorda il Papa - che già si sentono in modo drammatico in molti Stati, soprattutto quelli insulari del Pacifico, ci ricordano la gravità dell'incuria e dell'inazione. Per superare l'impasse serve una risposta collettiva capace di mostrare la responsabilità di proteggere il pianeta e la famiglia umana. Occorre dunque un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire". Con lo stile chiaro e diretto che lo contraddistingue, Bergoglio chiede che vengano superati gli interessi e i comportamenti particolari e si sviluppi una discussione libera da pressioni politiche ed economiche. E ricorda i tre valori che devono essere alla base di qualsiasi ragionamento sul tema: giustizia, rispetto ed equità.

Ma oggi dal Vaticano è giunta anche un'importante notizia che riguarda la vita della Chiesa: il Papa ha deciso che il Concistoro di febbraio per la creazione di nuovi cardinali ci sarà il 14 e 15 febbraio prossimo e sarà preceduto nei giorni 12 e 13 dello stesso mese da una riunione plenaria del Collegio cardinalizio, come già avvenuto l'anno scorso in occasione del
suo primo Concistoro. Ancora non sono noti i nomi dei nuovi cardinali, che, come ricordato oggi dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi, saranno comunicati direttamente dal Papa, in genere circa un mese prima del concistoro. Il 9, 10 e 11 febbraio inoltre si riunirà il 9 (il Consiglio dei 9 cardinali che assistono Papa Francesco nel governo della Chiesa) e il 6,7 e 8 la Commissione per la tutela dei minori, costituita dal Pontefice per la lotta al fenomeno della pedofilia, che dovrebbe avere nella sua composizione definitiva 18 componenti.
 
Questa mattina, durante la quotidiana omelia durante la messa alla Domus Santa Marta, la residenza scelta da Bergoglio, il Papa ha voluto ripetere, 36 anni dopo, le parole scelte da Giovanni Paolo I, Albino Luciani, il Pontefice che ha guidato la Chiesa per solo 33 giorni. E' tanta la vicinanza che Dio si presenta come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino, ha detto Bergoglio, che ha descritto l'amore di Dio con l'immagine di una mamma che canta la ninna nanna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c'è lì di grande. Papa Luciani fu il primo ha elaborare questo concetto durante l'Angelus del 10 settembre 1978 quando disse: "Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile, Dio è papà, più ancora è madre". Bergoglio, nello stile, sembra richiamarsi molto a Giovanni Paolo I che, è passato alla storia per il rifiuto la pompa pontificia, i discorsi improvvisati, il 'question time' con i bambini, la sua umiltà. Quante volte - ha domandato il Pontefice ai fedeli della parrocchia romana che partecipava alla celebrazione di questa mattina - una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza, eh? E lo carezza, e lo fa più vicino a lei. E Dio fa così. E' la tenerezza
 di Dio. E' tanto vicino a noi che si esprime con questa tenerezza: la tenerezza di una mamma. Dio ci ama gratuitamente come una mamma il suo bambino. E il bambino si lascia amare: questa è la grazia di Dio.

mercoledì 17 dicembre 2014

I dieci comandamenti letti da Benigni

Ringrazio L. Tommaselli dell'articolo che mi ha fatto pervenire e lo diffondo, anche se non concordo con Maggi nella conclusione [Leggi in fondo]

Dopo la lettura di Benigni i 10 comandamenti non sono più gli stessi
Di p. Alberto MAGGI
Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana - la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.
Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè.
Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.
Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso.
Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.
La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.
“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento alle dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.

Mio commento al commento attraverso una domanda: chi può praticare un amore uguale a quello di Dio, se per prima cosa non attinge al Suo amore? Forse la “novità” di Gesù consiste nell’avere –profeticamente- riletto il vero volto del Dio dell’AT.
Ma aggiungo un altro forse: Gesù, per lanciare il suo messaggio, sentiva il bisogno di ritirarsi in preghiera… E’ questa che manca all’umanità nel suo smarrimento di ogni principio.  
______________________________________________________
L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it ) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.

Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita

lunedì 15 dicembre 2014

Via Dogana chiude

Chiude la storica rivista «Via Dogana»: fermiamoci a pensare, la realtà cambia
venerdì, 12 dicembre 2014
http://27esimaora.corriere.it
«Ci siamo fermate per pensare, come un treno che sosta nella campagna. Ma poi si riparte? si chiedono i viaggiatori. La risposta non è necessariamente sì, potremmo anche decidere di fare altre cose… ». Luisa Muraro, filosofa e scrittrice italiana, usa una semplice metafora per raccontare una decisione inaspettata e (per molte donne) sconcertante, la chiusura della storica rivista Via Dogana, tra le voci più autorevoli del femminismo della differenza. Ventiquattro anni di riflessioni, senza contare i primi numeri del lontano 1980. Sconcertante e per certi versi misteriosa perché, come è scritto nell’ultima pagina dell’ultimo numero appena stampato, non è una questione di soldi (il bilancio è in attivo), né di passaggio all’on-line (esiste già il sito www.libreriadelledonne.it ), né di contrasti interni. Il problema è la rispondenza meno forte e meno sentita fra la rivista e quello siamo oggi. «Le donne sono ovunque» recita il titolo del numero 111 con le donne del Mali che danzano in copertina. E dunque occorre percorrere strade nuove.
Come scrive Vita Cosentino nell’editoriale, è un cambiamento che ci invita a prestare attenzione a situazioni (alcune non viste) altre drammaticamente presenti (come il fanatismo religioso armato). Un processo che richiede forme politiche inedite che ispirino e/o coincidano con nuove forme di convivenza nel tentativo di capire come sia possibile uscire dalla logica dei rapporti di forza. Precisa il comunicato dell’ultima pagina: «La scommessa del primo numero di questa serie, cominciata nel giugno 1991, resta aperta:la politica è la politica delle donne. La decisione ora presa di fermarci, sarà di aiuto a rigiuocarla meglio? È un rischio che, insieme alle altre, abbiamo accettato di correre; meglio fermarsi piuttosto che entrare nel ciclo della ripetizione restando attaccate a noi stesse più che alla realtà che cambia». Un cambiamento cui la rivista ha contribuito con la certezza di non essere ancora arrivate in porto perché l’essenziale non è raggiunto.
Dice Luisa Muraro: «Nella società di oggi vedo luci e ombre: rispetto ai turbamenti e agli squilibri, fecondi anche per gli uomini seppure difficili da gestire, portati da molte femministe negli anni Settanta, oggi altri squilibri premono… L’equiparazione delle donne agli uomini è un processo avviato sui suoi binari con soddisfazione in molti campi ma è anche foriero di nuove ingiustizie per le donne. Che sono chiamate ad adeguarsi a una cultura e a una politica disgraziate. Certo, l’equiparazione mette a posto qualcosa, le disuguaglianze erano fonte di clamorose ingiustizie e risentimenti. La visibilità pubblica è un dato positivo come i buoni risultati raggiunti nel mondo della genitorialità con gli uomini sempre più coinvolti»
Eppure restano irrisolti i nodi di fondo. Prosegue Luisa Muraro: «Alle donne viene chiesto di adattarsi a un mercato del lavoro che è ingiusto verso tutti e a una politica discreditata, qui in Italia più che altrove. La stessa cosa accade nelle religioni: in una società decristianizzata come quella europea, le donne vengono chiamate a fare i vescovi… Tra poco potrebbe accadere anche nella chiesa cattolica. Le donne cioè vengono invitate a fare da supporto a qualcosa molto malmesso. E quindi sacrificano le possibilità in più che hanno. Facevano una figura migliore Tina Anselmi o Nilde Iotti! Le donne oggi non possono far fiorire le loro doti».
Che fare dunque davanti a tutto questo? Un numero ricco, innanzitutto, che cerca di trovare una spiegazione all’affermarsi del sedicente stato islamico, una barbarie di cui i musulmani e le donne sono le prime vittime, come scrive Aicha El Hajjami. E approfondisce le diverse politiche nei confronti della prostituzione, dal proibizionismo svedese alla legalizzazione tedesca. O ancora descrive due grandi senza autocelebrazioni, Maria Giovanna Piano e Mariolina Fusco, a capo di un’impresa che ha messo al centro il lavoro e colloca la Sardegna in una dimensione europea, l’IFOLD (Istituto formazione lavoro donne).
Ora è comprensibile che le singole donne spendano le loro energie per inserirsi e adattarsi, ma la rivista mantiene la sua radicalità di pensiero. E dunque per quanto sia apprezzata non trova più sufficiente rispondenza presso le donne. E gli uomini? Risponde Luisa: «Presso gli uomini non abbiamo mai trovato una rispondenza adeguata, né a destra, né a sinistra, dove persiste una tenace misoginia, una sorta di omosessualità mentale. Certo, c’è sempre stata una minoranza di uomini amici delle donne che hanno intuito come la presenza femminile sia essenziale per l’umanità»
Fermarsi per pensare, dunque, ma non solo. «Io personalmente – conclude Luisa Muraro – voglio fare posto a quelle più giovani o più silenziose che finora hanno delegato a parlare donne come me. Questa delega non va bene, per questo ho fatto un passo indietro. La decisione di chiudere è stata accettata, ma non tutte erano d’accordo. Sono arrivate qui per discutere da tutt’Italia e alcune avrebbero voluto continuare. In fondo è solo finita la seconda serie: è possibile riprendere con un nuovo slancio e nuove idee, ma questa volta senza di me!»
———————————————
«Noi femministe distanti dalle donne»
http://27esimaora.corriere.it
Non è da tutti. Chiudere dopo 25 anni una rivista di qualità, che gode di una costante attenzione, ha un bilancio in attivo e soprattutto è un punto di riferimento per il femminismo della differenza — corrente di pensiero che smonta la pretesa neutralità e universalità del linguaggio, ponendo l’accento sulla realtà incontrovertibile della differenza più radicale, ovvero la differenza sessuale — in Italia e non solo. Eppure accade, sceglie di fare un passo indietro la filosofa Luisa Muraro, classe 1940, fondatrice della rivista Via Dogana e da sempre tra le sue ispiratrici. «Non è da tutti. La indicibile fortuna di nascere donna» era il titolo di uno dei tanti libri che ha scritto. «Era una frase di un’operaia romena immigrata — ricorda Luisa Muraro nella Libreria delle donne di via Calvi 29 —, ribaltava il malheur, la sventura di cui parla Simone Weil. E invece la sua inquietudine nutrirà il XX secolo trasformandosi in bonheur per tutte noi».
Come mai questa decisione di chiudere «Via Dogana»?
«La mia esigenza è di fare vuoto, fare silenzio. La ragione principale emersa durante un’affollata assemblea è la mancata rispondenza tra la rivista e quello che siamo oggi. Ecco perché ci siamo fermate, per pensare. Siamo consapevoli di avere lanciato idee buone, dobbiamo aspettare che si radichino. Lia Cigarini, donna di grande autorità, ha detto: “Non siamo rimaste indietro, siamo andate troppo avanti”. Ha ragione, ci sono idee incarnate nelle nostre esperienze che non si sono diffuse».
Per esempio?
«L’idea che con l’autorità si possano sgretolare certe istituzioni del potere politico, religioso, massmediatico. Come dice Vita Cosentino, che firma l’editoriale dell’ultimo numero, “massima autorità con minimo di potere”. O l’idea che l’equiparazione all’uomo non salva la ricchezza potenziale delle donne. O ancora, l’idea della potenza simbolica: non ci sono solo soldi, armi, successo. Non sono spiritualista ma conta l’efficacia di certe parole, si vede con papa Francesco, non è certo femminista, ma ha forza spirituale, il Vangelo nel cuore».
«Le donne sono ovunque» si intitola il numero 111, l’ultimo. Che cosa significa?
«Che c’è bisogno di ascoltare, di capire. Un mese fa sono stata a Rabat, a un convegno internazionale di donne nel cuore dei monoteismi, ebraico, cristiano e musulmano. Queste donne si trovano nella stretta tra l’emancipazionismo occidentale, spesso pretesto per portare la guerra in quei Paesi, e il fanatismo armato. A loro corrisponde e dà parola il femminismo della differenza».

E le giovani donne che oggi vanno avanti, acquistano visibilità, potere?
«Danno lustro a una baracca che sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di qualità. Nilde Iotti o Tina Anselmi erano un’altra cosa. Oggi prevale l’accontentarsi, sei ministra, sottosegretaria, ti basta. Del resto il criterio per gli uomini è scegliere le più “addomesticabili”. La domanda è: siamo noi a mancare di fiducia e aspettative nei confronti di queste donne o sono loro davvero deludenti? Certo, noi nate tra il 1935 e il 1955 siamo una “generazione fortunata”, come ha scritto Serena Zoli. Quelle venute dopo hanno davanti un cammino in salita. A loro cerchiamo di dare sostegno e incoraggiamento, lo ha fatto Renzi in quel modo lì, noi abbiamo altri mezzi e altri orizzonti».
Un passo indietro al 1991: come nasce «Via Dogana»?
«Nasce perché un’amica romana, Rosetta Stella, mi dà 20 milioni di lire per un’impresa politica. La Libreria era già consolidata, esisteva dal ‘75, così proviamo a mettere insieme le nuove idee e le nostre pratiche. Da quella dell’affidamento, che superava l’idea logora della sorellanza, alla riscoperta della relazione con le madri biologiche o all’esplorazione del passato e delle grandi madri simboliche, scrittrici e mistiche. Sempre avendo in testa che se c’è una politica è la politica delle donne».
Ma gli uomini?
«Non li abbiamo mai esclusi, né abbiamo mai creduto nel separatismo. Il primo uomo a comparire su Via Dogana è stato uno storico del Medioevo, Paolo Golinelli, che ha scritto un articolo sulla genealogia femminile di Matilde di Canossa. È importante che gli uomini prendano coscienza della differenza sessuale. Solo così viene meno quella sorda omosessualità mentale che poi sfocia nel politically correct verso le donne, quanto mai fastidioso».