Massimo Michele Greco
(a cura di), LETTERE DAL SILENZIO. Storie di accoglienza e assistenza sanitaria
di donne che hanno subito violenza, Franco Angeli ed, Milano 2011.
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Cormac McCarthy, LA
STRADA, Einaudi ed, Torino 2007.
In un’atmosfera surreale da post-apocalisse (il fuoco ha
ricoperto ogni cosa di cenere: cenere e silenzio) un padre e un figlio camminano.
Facciamo un passo per volta.
OK.Non mi lasciare la mano.
OK.
Qualunque cosa succeda.
Qualunque cosa succeda. (p.178)
Il bambino non rispose. Rimase seduto lì a capo chino, scosso dai
singhiozzi.
Non tocca a te preoccuparti di tutto.
Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse.
Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sì, invece, disse.
Tocca a me. (p. 197)
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Gioconda Belli, NEL
PAESE DELLE DONNE, Feltrinelli ed, Milano 2011.
Una pagina: “Non mi pento della follia di aver mandato tutti gli uomini a casa,
dimettendoli dagli incarichi statali. Ammetto che era una misura radicale, ma,
dato che Faguas è un piccolo stato, fortunatamente ci siamo potute concedere il
lusso di costruire artificialmente un laboratorio in cui mescolare a piacere
identità e ruoli. Ho pagato un prezzo. Ora come ora non mi azzarderei a
proporre questo modello come assoluto affinché una società riconosca il valore
delle donne, ma soprattutto le donne riconoscano se stesse, però so che nel mio
paese ha segnato un profondo cambiamento e che sicuramente ne è valsa la pena.
Basti vedere il rispetto che abbiamo ottenuto riguardo al lavoro domestico.
Nessun uomo adesso considera denigrante stirare, lavare, cucinare o curare i
bambini. Le nuove coppie di Faguas condividono gli impegni familiari. Nei
quartieri si sono moltiplicate le mense comunali ed è aumentato il numero di
“madri per vocazione” ben preparate; tutte le aziende sono dotate di asili nido
e ci sono persino le “aree di sosta” che sognava Ifigenia, dove puoi lasciare i
bambini quando vai a fare la spesa o le tue commissioni. Adesso figli e
genitori non devono più separarsi fino al momento in cui i ragazzini, a dodici
anni, cominciano a frequentare la scuola tradizionale. Inoltre ogni datore di
lavoro considera la maternità come un apporto per il futuro della comunità e il
tempo che i genitori dedicano ai figli come garanzia di una società sana. Le
gang non esistono più, il problema della droga si è ridimensionato, siamo un florido
paese produttore di fiori, popolato da persone che si sostengono a vicenda, che
rispettano la diversità dell’amore in tutte le sue espressioni. Il nostro
“progetto felicità” ha funzionato. Economicamente siamo più ricchi perché non
posponiamo l’educazione dei cittadini ed è proprio in loro e nelle loro vite
che abbiamo deciso di investire le nostre risorse. Ma innanzitutto siamo più
ricchi perché abbiamo estirpato il sistema di sfruttamento più antico, quello
delle donne, che ormai nessuno assimila più sin dall’infanzia. Ne è rimasta
qualche traccia, naturalmente; non siamo una società perfetta. In verità,
riconoscerci umani significa sapere che ci saranno sempre nuove sfide e nuove
battaglie, però noi andiamo avanti. Un piede davanti all’altro”.
* * * * *
Manuela Salvi,
NEMMENO UN BACIO PRIMA DI ANDARE A LETTO, Mondadori ed, Milano 2011.
L’orrore e la ripulsa non mi sono mai stati suggeriti dal
pensiero che avrebbe potuto succedere a mia figlia o potrebbe succedere alla
mia nipotina. Semplicemente mi rifiuto di giustificare qualsiasi piccola
complicità con una cultura maschile che vede le donne come trastullo per il
divertimento del maschio padrone, compresa la recente sentenza della Corte
Costituzionale. Compresi gli ammiccamenti alla farfallina inguinale di Belén,
per non dire di tutta la macchina della TV pubblica (e di quella privata
commerciale) che punta sul corpo delle donne per alzare l’audience e fare
cassa.
* * * * *
Lydia Cacho, MEMORIE
DI UN’INFAMIA, Fandango ed, 2011.
“Metti che dico a
Lesly Portamene una di 4 anni, e lei
mi dice: Se la sono già scopata, io
lo vedo se l’hanno già scopata, vedo se è il caso di metterglielo dentro o no.
Tu lo sai che è il mio vizio, o no? E’ una stronzata ma non so resistere, e lo
so che è un reato e che è proibito, però è talmente facile, una bambina piccola
non ha difese, la convinci in un amen e la prendi”. Lydia Cacho ha
cominciato da qui, dalle immagini di una confessione strappata da una
telecamera nascosta a (...), imprenditore pedofilo coinvolto nel trafficking di bambine e adolescenti
all’interno di una rete internazionale e coperto da importanti esponenti
politici e uomini d’affari probabilmente, anche loro, implicati nel traffico.
(...)
Accusata di diffamazione e calunnia, a causa del primo libro
[Los demonios del Eden (2005)], dagli
stessi responsabili del trafficking,
Lydia Cacho non sapeva di aver messo il dito su una piaga che coinvolgeva non
solo l’imprenditore ma un intero entourage politico fatto di legami e
clientelismi, che l’avrebbe portata quasi a morire per mano della polizia
giudiziaria corrotta. Arrestata, sequestrata, torturata, portata in un carcere
fuori la sua giurisdizione, Lydia è viva per miracolo, e dopo essere stata
coinvolta in processi senza fine, riceve ancora oggi minacce di morte. (...)
Un esempio di giornalismo militante che acquista il suo
potere “quando dà voce a chi è stato
costretto a tacere dalla forza schiacciante della violenza”, uno dei motivi
per cui Lydia Cacho, insieme a Roberto Saviano, ha ricevuto pochi giorni fa
l’Olof Palme Prize 2012, il premio svedese destinato a chi lotta per la
libertà, per la “instancabile, altruista
e spesso solitaria battaglia per i loro ideali e per i diritti umani”
(recensione di Luisa Betti).