venerdì 28 ottobre 2016

"Opportunanda"



Opportunanda! i problemi che ci toccano il cuore!
Ricevo e comunico, (mentre il terremoto fa la sua parte...) Ausilia


FATTI E PAROLE 16 ASSOCIAZIONE OPPORTUNANDA
NEWS
DORMIREDUE PAROLE
“Dormire” è uno dei principali bisogni della persona umana, così come lo è il mangiare, il nutrirsi. Nel sonno la persona si rigenera, riposa dopo una fatica, supera malattie, entra in uno stato di rilassatezza durante il quale dimentica, sogna, ricupera forze fisiche e psicologiche. Ma come, quando, dove si dorme? La risposta più semplice è: nel letto, o almeno su una poltrona, o a volte in viaggio in macchina, in treno, o sdraiati su un prato o su una spiaggia…
Questo piccolo preambolo accenna al dormire della maggior parte di noi che viviamo in una casa, con una famiglia, con una normale vita di lavoro. Ma questo è il Notiziario di Opportunanda, l’associazione dei Senza-Dimora e il problema del dormire è molto, molto diverso!
Tralasciamo l’antica idea del “clochard” che sceglie di vivere sotto i ponti. Qualcuno che fa questo tipo di scelta effettivamente esiste, ma la maggior parte dei senza dimora non “sceglie”, ma subisce, perché la vita l’ha portato contro la sua volontà ad una situazione molto difficile. Quasi sempre si trova sulla strada chi ha perso il lavoro, la famiglia, la casa ed è alla ricerca di tutto, vive nel buio di un futuro con ben poche speranze.
“Sulla strada”, appunto! E come risolve il problema del dormire? Nelle nostre città ci sono i dormitori, ma in un’altra parte del Notiziario spiegheremo meglio la difficile trafila per accedervi, quasi sempre per brevi periodi.
Altre possibilità? Ci sono, certo, ma si tratta di accoglienze temporanee, eccezionali, del tutto personali.
Spiegheremo che cosa sono le “convivenze” che ha inventato Opportunanda, ma soprattutto – come facciamo ogni volta – daremo la parola ai diretti interessati, li faremo raccontare…
L.
I dormitori
Possono accedere ai dormitori persone maggiorenni dell’Unione Europea, effettivamente senza dimora e prive di reddito. L’accesso è gratuito dalle 20 alle 8 e nel periodo invernale dalle 19 alle 9. Occorre iscriversi a una lista d’attesa tramite il dormitorio di via Sacchi 47. Poiché ci sono anche dormitori privati, il criterio d’accesso varia da uno all’altro.
I dormitori “pubblici” funzionanti tutto l’anno sono sei, ma nel tempo dell’emergenza freddo vengono create parecchie altre strutture. I dormitori privati sono sette od otto.
L’accoglienza nei dormitori pubblici dura 30 giorni per i residenti in Torino e 7 giorni per i non residenti.
Al termine di questi periodi, occorre nuovamente iscriversi e si torna in lista d’attesa.
Le convivenze guidate.
Nell’ottobre/novembre 1997, con l’inizio dell’emergenza freddo, il Comune di Torino richiede agli organismi di volontariato di collaborare per trovare dei posti letto per i senza dimora. A Opportunanda ci si dice: “Proviamoci anche noi, creiamo una casa che rimanga per il futuro e che possa diventare una convivenza, una realtà che aiuti ad acquisire una dimensione abitativa, una sorta di rieducazione ad una casa autonoma”. E a poco a poco si sono create le convivenze che attualmente sono tre maschili e una femminile.

Abbiamo chiesto a X. di “raccontarci” il suo dormire sia in strada che in dormitorio…
Quando l’azienda dove lavoravo ha chiuso e sono rimasto senza stipendio, sono stato messo fuori casa, con cambio serrature e mi sono trovato solo, travolto dalla tossicodipendenza.
Cercavo una macchina aperta e dormivo lì al caldo, oppure un portone aperto, salivo fino all’ultimo piano e dormivo sul pianerottolo. Lunghi anni…, ma intanto sono stato accolto da tre comunità terapeutiche e sono uscito dalla tossicodipendenza.
L’esperienza dei dormitori – dove ho dormito per anni – è stata complessa, ma l’ho sfruttata in positivo.
In alcuni dormitori si fraternizza, si può preparare qualcosa insieme da mangiare, si fa comunione con altri che hanno gli stessi problemi, nel comune dolore si mettono insieme le forze… Ma non dappertutto è così: nei dormitori circola alcool, droga, infiniti problemi che creano varie tensioni. Esperienza durissima che però sono riuscito a vivere in positivo, dicendomi: devo aver fiducia e credere. Poi ho chiesto aiuto al SERT che mi ha dato una grossa mano. Sono stato per un anno in una struttura con appuntamenti, colloqui e due periodi nelle pensioni “Un tetto per tutti” e “Tempo supplementare”, seguito da un’assistente sociale. Tramite lei ho conosciuto Opportunanda che mi ha inserito nella convivenza di via La Salle. Nuovo rischio nella zona di Porta Palazzo, dove lo spaccio di droga è diffusissimo.
Ora ho finalmente un alloggio in casa popolare, un nido per me.”
Dopo un po’ di titubanza, X. ha aggiunto: “Ma io ho un’altra esperienza di dormire: sono stato alcuni anni in carcere.
Erano celle da due posti letto, poi sono passato nella comunità Arcobaleno, dopo un duro impegnativo lavoro e si dormiva in camere da quattro letti. Tutto mi ha rinforzato: <stare male per stare bene> “
Ci siamo salutati con X. canticchiando la canzone di Jovanotti: “Io penso positivo, perché son vivo, perché son vivo”…
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Y chiedendo anche a lui di “raccontare” il suo dormire e Y ci ha parlato di tante cose della sua vita.
“Avevamo tentato di avviare un lavoro con mio fratello in Sardegna, ma l’esperienza non è andata bene e siamo rientrati a Torino con un nostro furgone e per un po’ di tempo siamo vissuti in una mansarda. Abbiamo dovuto lasciare anche quella e ci è rimasto il furgone parcheggiato abusivamente. Dormivo nel furgone, travolto dalla tossicodipendenza e quindi dalla necessità di trovare i soldi. Rubavo le auto e le rivendevo a dei ricettatori di Porta Palazzo.
A un certo punto i vigili mi hanno sequestrato il furgone e allora dormivamo in due o tre sui treni o sul pianerottolo dell’ultimo piano di palazzi aperti, fuggendone al più presto al mattino.
Grazie a dei passaparola ho scoperto i due dormitori allora aperti,via Ormea e via Marsigli.
Nei dormitori ci sono pro e contro: oltre il dormire in un letto, c’era la possibilità di lavarsi. Io, però, mettevo fuori tutta la mia aggressività e bisticciavo molto spesso con tutti, tutta gente che – come me – viveva di espedienti. Molte volte sono stato espulso. Io preferivo starmene da solo, perché con gli altri era come “una cappa”. Inoltre c’era spaccio e io ero nel pieno del mio problema. In un certo senso capivo i “clochard” che sceglievano la libertà al di fuori del dormitorio. A un certo punto ho aperto gli occhi e mi sono trovato a un bivio e IO ho scelto di cambiare vita. Debolezza, depressione, sia a livello fisico che mentale…Non hai più dignità, sei un reietto. E’ vita? Mi sono detto: basta così! Mi hanno mandato tre anni in Sicilia e al ritorno frequentavo il Gruppo Abele dove ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie.
Ora vivo in una casa e quando me l’hanno comunicato ho detto subito sì senza neanche andarla a vedere. Grazie a Opportunanda ho un lavoro a metà tempo e tante care persone che mi vogliono bene! Dormire? Sì, dolce dormire…”
Ci siamo salutati commossi, ringraziandoci a vicenda.
L. e T.
ACCADE A OPPORTUNANDA
- Quest’anno la gita dell’estate si è svolta a settembre in località Celle di Caprie, con un interessante incontro con un guardiaparco che ha illustrato molti aspetti caratteristici della natura. Eravamo presenti in una cinquantina.
-Il tredici settembre è terminato il periodo di servizio civile di Valerio e Claudia. Quest’ultima però è stata assunta a tempo determinato per la sostituzione del periodo di maternità dell’operatrice Sabrina. -Come negli ultimi tre anni, in collaborazione con alcune case del quartiere e poli culturali, abbiamo segnalato cinque persone che saranno inserite nel progetto di Reciproca Solidarietà e Lavoro Accessorio del Comune di Torino. Questo permetterà alle persone di avere un’entrata di 4.000 euro lordi (per 400 ore lavorative) e di
incrementare la propria rete sociale e relazionale.
L.
PROSSIMAMENTE
In luglio sono stati selezionati una ragazza e un ragazzo per il nuovo servizio civile che inizierà ai primi di novembre.
Stanno riprendendo tutti i laboratori con la novità del “Progetto LegGo”, piccola biblioteca di strada aperta ogni martedì dalle 12 alle 16. E’ compresa anche una selezione di libri in lingua araba.
L.
LE BANCHE FALLISCONO?
GLI INVESTIMENTI VANNO IN FUMO?
INVESTI IL TUO CINQUE PER MILLE PER L’ASSOCIAZIONE OPPORTUNANDA!
UTILE GARANTITO
PER CHI BENEFICIA DEI NOSTRI AIUTI!
…NOSTRO CODICE FISCALE: 97560450013
ASSOCIAZIONE OPPORTUNANDA Via Sant’Anselmo 21 - 10125 Torino
Centro Diurno: Via Sant’Anselmo 28 Tel./Fax 011-6507306

Sito: www.opportunanda.it e-mail : segreteria@opportunanda.it
Cod.Fisc. 97560450013 - conto corrente postale 29797107
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martedì 25 ottobre 2016

ADESSO BASTA


UDI
 Valentina morta al quinto mese di gravidanza a Catania
"Sia chiarito se una donna è morta perché un medico obiettore non è intervenuto"
inserito da Redazione
Valentina morta al quinto mese di gravidanza al Cannizzaro
Sia chiarito se una donna è morta perché un medico obiettore non è intervenuto. Il legale della famiglia:
La signora al quinto mese di gravidanza, era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa. Dai controlli emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari, si sarebbe rifiutato perché obiettore di coscienza: fino a che è vivo io non intervengo, avrebbe detto.
È evidente che la verifica della ricostruzione della famiglia è un atto dovuto, certamente noi seguiremo le azioni della Procura e l’inchiesta degli ispettori del Ministero. Verità e giustizia sono dovuti a Valentina.
È evidente che per noi non possono bastare le sole smentite di rito, siamo da troppo tempo impegnate in un estenuante rapporto con le istituzioni nella difesa della legge 194, nel contrasto all’obiezione selvaggia e allo smantellamento e depotenziamento dei consultori pubblici. Siamo molto indignate per la mancanza di senso di responsabilità e legalità di chi ci governa e amministra la cosa pubblica.
Siamo disposte a supportare la famiglia di Valentina perché vi sia verità e giustizia
Siamo disposte a costituirci parte civile
Siamo disposte ad aprire un conflitto con l’Ospedale, con la Regione, con il Parlamento Italiano
Siamo disposte a qualsiasi cosa per qualsiasi donna che muoia per un’ingiustizia o una violenza

Adesso BASTA

In nome delle Donne
In nome di una superiore etica
in nome di una superiore moralità
Adesso BASTA dall’UDI

UDI Catania
Catania, 20.10.16

martedì 11 ottobre 2016

Parità sto cercando


Da Noidonne

Parità sto cercando

Una delle cause del mancato raggiungimento della parità tra uomini e donne deriva dalla criticità del sistema italiano e dal fatto che la componente femminile è stata integrata in settori del lavoro, della società e della politica

inserito da Noemi Di Gioia

 

Una delle cause del mancato raggiungimento della parità tra uomini e donne deriva dalla criticità del sistema italiano e dal fatto che la componente femminile è stata integrata in settori del lavoro, della società e della politica, di tradizione maschile, che, anche di fronte alle nuove sollecitazioni sociali, sono rimasti immutati.
In ambito lavorativo, per esempio, le donne innanzitutto subiscono discriminazioni dirette ed indirette nell’assunzione e nel percorso di carriera, poi, per essere accettate e per gli avanzamenti professionali, si trovano spesso costrette ad assumere a loro volta i comportamenti maschili, sono soggette alle stesse regole organizzative del lavoro, compreso gli orari, che sono stati pensati sulle necessità degli uomini, mentre sulle donne grava anche l’onere della casa e della famiglia. Ma questo non è l’unica difficoltà, in quanto il mantenimento dell’organizzazione dei tempi, secondo modalità ed esigenze maschili, per esempio, rendendo difficile per le donne, proprio perché impegnate su più fronti, l’acquisizione di capacità e di competenze attraverso quelle stesse esperienze che possono invece affrontare gli uomini, ostacola loro la progressione di carriera ed il raggiungimento di posizioni importanti, che, comunque, proprio perché richiedono un notevole investimento di tempo, in pratica, sono poco appettibili da buona parte delle donne. La loro maggior presenza nel mondo del lavoro infatti non ha ancora coinciso con mutamenti strutturali significativi. Ugualmente a livello politico, dove si avverte una grossa crisi di identità ed una perdita continua di credibilità e di consensi, la permanenza dell’organizzazione e delle modalità operative, pensate sui modelli maschili, nonostante la maggior presenza delle donne, ha impedito dei cambiamenti importanti e significativi.
Finché non si modificheranno le strutture tradizionali e le istituzioni di potere, ancora dominate dagli uomini, finché le donne saranno molto poche negli ambiti preposti alle decisioni e finché continueremo a pensare che la parità di genere debba dipendere esclusivamente dai mutamenti dei comportamenti femminili, la parità rimarrà lontana e la nostra continuerà ad essere una società che comprime, anziché sviluppare, le proprie risorse.
Stiamo vivendo una profonda incertezza non solo a livello economico, ma è entrato in crisi l’intero sistema socio- economico e politico, per cui sono indispensabili nuovi modi di pensare e di agire, perché il rimanere nella vecchia condizione comporterebbe sempre gli stessi risultati. Le donne possono dare un grosso contributo, non in quanto donne od in quanto più brave, ma perché sono portatrici di una cultura diversa.
Per permettere loro di inserirsi nella sfera pubblica ed in particolare nel mercato del lavoro e di utilizzare al meglio le competenze acquisite in sempre più lunghi percorsi formativi, bisogna quindi favorire non solo l’offerta, riducendo gli ostacoli al loro accesso, ma anche la domanda, a causa dei rischi di rimanerne escluse, per non riuscire a conciliare il tempo dedicato al lavoro con quello per la famiglia.
Si dice infatti che il vero problema per le donne non è tanto quello di sfondare il soffitto di cristallo, ma quello della conciliazione tra il lavoro retribuito e quello in casa, il cui onere grava ancora soltanto sulle donne. Innanzitutto bisogna superare il pregiudizio che la cura della famiglia è un’attività tipicamente femminile, come se solo il tempo della donna debba essere suddiviso tra lavoro fuori casa e lavoro all’interno di essa e riconoscere che uomini e donne, allo stesso modo, possano realizzarsi non solo in ambito professionale, ma anche nella cura e nelle relazioni familiari.
Bisogna infatti superare l’idea della conciliazione come problema solamente femminile. Quello che è stato sbagliato finora e che quindi ha condizionato la sua soluzione è stata proprio l’impostazione stessa del problema, perché si è basata su una visione unilaterale. Le varie politiche di conciliazione infatti non hanno prodotto dei risultati significativi e non li daranno, finché rimarrà il pregiudizio che queste politiche sono improduttive e rispondenti solo ai bisogni delle donne, quando invece nella realtà coinvolgono le donne e gli uomini, perché ci troviamo in un contesto sociale, in cui ci sono stati cambiamenti sia in ambito lavorativo, sia in quello familiare, dove sempre di più lavorano entrambi i coniugi con responsabilità di cura dei figli e degli anziani.
Favorire in Italia una cultura della conciliazione significa quindi non solo incidere sulla relazione donna/uomo, ma anche sull’organizzazione del lavoro e sulla creazione di servizi di cura alle persone. Il problema infatti investe più livelli, oltre a quello familiare con la condivisione del lavoro tra i coniugi, coinvolge anche quello del lavoro, che richiede un cambiamento dell’organizzazione e dei tempi e quello socio-politico con politiche di welfare, soprattutto con l’aumento degli asili nido e con politiche efficaci, relative ai trasporti ed ai tempi urbani.

(tratto dall’e-book di Noemi Di Gioia, “La parità tra uomini e donne: una questione ancora irrisolta. Il problema non riguarda solo le donne, ma tutta la società”, Amazon Publishing, 2016)
1.09 Ottobre2016
 

mercoledì 5 ottobre 2016

INTERNAZIONALE A FERRARA 2016


Da NOIDONNE

INTERNAZIONALE A FERRARA 2016
 
Si dice che l’Afghanistan sia una delle nazioni più pericolose per le donne, ma a ben guardare sono i diritti fondamentali di ogni essere umano a essere violati. Ne hanno parlato Horia Mosadiq, attivista per i diritti umani e giornalista afgana, dal 2008 ricercatrice per Amnesty international, e il giornalista Stefano Liberti, ospiti di Internazionale a Ferrara venerdì pomeriggio.
Quando i talebani presero il potere nel Paese, negli anni ‘90, le cose cambiarono in fretta per uomini e donne: una sharia sempre più rigida andava affermandosi, e se agli uomini era imposta la preghiera in moschea 5 volte al giorno, alle donne fu proibito andare a scuola, laurearsi, fino a rendere loro impossibile anche uscire di casa se non accompagnate. «Fu allora che il mondo dimenticò l’Afghanistan – ha commentato l’attivista – e probabilmente se ne scordò anche Dio. Rimanemmo in balìa dei talebani fino all’11 settembre 2001, quando l’Occidente ricominciò a interessarsi a noi». E oggi, a 15 anni dall’invasione occidentale, non si può dire che non sia cambiato nulla: «Abbiamo 6 milioni di bambini che hanno ripreso ad andare a scuola, le donne sono tornate al lavoro, e in diversi ruoli: abbiamo donne medico, ingegnere, in polizia». Parlando della situazione femminile nella vita quotidiana, Horia ha raccontato quanto difficile far rispettare i pochi diritti che le donne hanno ottenuto lottando duramente: un esempio tra tutti è l’ottenimento del divorzio, tanto possibile in teoria per entrambi i sessi, quanto impraticabile in realtà per le donne. «Certo, possiamo chiedere il divorzio – ha spiegato infatti Horia – ma è talmente difficile trovare le prove necessarie, e talmente limitati i casi in cui ci è concesso richiederlo, che diventa impossibile, di fatto. Inoltre, con la separazione, la donna perde totalmente ogni diritto sui figli, e per molte è difficile anche solo provvedere economicamente a se stesse, visto che la maggior parte delle donne è analfabeta in Afghanistan». Non solo: anche in caso di violenza le donne difficilmente vengono prese sul serio, sia dalla famiglia sia dalle forze dell’ordine. Come ha evidenziato Horia Mosadiq, infatti, la donna è considerata come un essere debole, non autonoma, addirittura incapace di prendere decisioni da sola. «Se si incontra una donna forte e indipendente viene immediatamente etichettata come immorale», ha continuato. Non solo accusate dai talebani, ma pure allontanate dalle proprie comunità, le donne però oggi non si scoraggiano, lavorano per il cambiamento sociale nonostante gli attacchi e gli insulti. Sanno che è necessario un sacrificio, e sono contente di subire tutto il necessario per consegnare un futuro migliore alle generazioni successive. Mentre avveniva questo cambiamento nel versante femminile della popolazione, però, gli uomini sono rimasti nelle loro convinzioni: le campagne di sensibilizzazione erano rivolte soprattutto alle donne, ma è inutile conoscere i propri diritti se non si può ottenere appoggio dagli uomini a cui si è vicine.
Sulla questione del burqa e del burkini, la Mosadiq ha voluto essere chiara: «Non dobbiamo confondere la scelta con l’imposizione – ha affermato – qualunque cosa obbligatoria è una limitazione alla libertà, ma molte donne afgane scelgono liberamente di indossarlo: il burqa può essere un’ottima protezione, e proprio molte attiviste lo usano per nascondere la propria identità».
Irene Lodi