domenica 29 dicembre 2013

Auguri di nuovo anno

Tratto dal diario di Carmelo Musumeci, pubblicato sul sito www.carmelomusumeci.com
DIARIO DI NATALE di un ERGASTOLANO OSTATIVO
19/12/2013
Oggi è il compleanno della mia compagna, che mi aspetta da ventitré anni nonostante che di me avrà solo il mio cadavere.
E le ho scritto questa poesia:
 
DOLOROSA FELICITA'
Buio nel cuore
freddo nell’anima
amore doloroso
silenzioso
di ghiaccio
senza speranza
ma amore
solo amore
vero amore.
 
Amore prigioniero
fra stelle spente
e ombre velate
amore nell’infelicità
ma amore felice
immortale
eterno.
20/12/2013
Ieri c’è stato qui nel carcere di Padova il Quinto Congresso di “Nessuno tocchi Caino”,  è stata una bella esperienza.
E per due giorni mi sono sentito quasi una persona normale, ma ora è finito tutto e sono ritornato nella mia tomba a parlare e confrontarmi con altri miei compagni, cadaveri con me.
21/12/2013
Il carcere mi ha peggiorato, ma io sto cercando lo stesso di riabilitarmi.Ed ho iniziato a farlo innanzitutto ai miei occhi. Oggi sono particolarmente contento perché ho letto nel giornale, come mi aveva già annunciato il segretario Sergio D’Elia, che sono entrato nel direttivo di “Nessuno Tocchi Caino”.
22/12/2013
Ci sono dei giorni in cui mi sembra che la mia cella sia quasi tutto l’universo.
E di non avere altro. Con il passare degli anni il carcere ti leva anche l’identità.
 
23/12/2013Quando riesco a liberarmi dal dolore e penso a mio figlio Mirko e a mia figlia Barbara, alla mia compagna e ai miei due nipotini Lorenzo e Michael, riesco ancora a sentirmi felice.
24/12/2013
Oggi la mia cella è piena di malinconia.Non c’è altro.
A parte il freddo.
 
25/12/2013
Oggi è Natale.
Ho telefonato a casa.
C’erano tutti, mancavo come al solito solo io.
La mia compagna per consolarmi mi ha detto che c’era il mio amore, i miei figli mi hanno detto che c’era il mio cuore ed i miei nipotini che c’erano i miei regali.

26/12/2013
Non credo in Dio, ma forse l’ho incontrato e l’ho sentito nelle centinaia di migliaia di ore trascorse in carcere, soprattutto nelle celle di punizione.
27/12/2013
Oggi sono stato tutto il giorno in compagnia dei miei ricordi di quando ero un uomo libero.
Poi sono stato in compagnia del pensiero che non lo sarò mai più.
28/12/2013
Questa mattina appena ho aperto gli occhi, ho pensato che un nuovo anno si avvicina ed io non posso fare altro, anche per quest’anno, che vedere la mia vita scorrere senza di me.

domenica 22 dicembre 2013

Un natale per gli ergastolani

L'ergastolo è troppo per una vita sola
La lettera di Carmelo Musumeci era arrivata inaspettata, un grido di dolore pieno di speranza: esisto ancora venitemi a trovare, sono qui. Chi scrive è un ergastolano, uno che la giustizia degli uomini ha condannato a vivere chiuso in una cella, sempre con la valigia pronta a nuovi, improvvisi e devastanti trasferimenti. Sono quasi 23 anni che Carmelo è nascosto al mondo. Forse è l'ergastolano più famoso d’Italia perché in carcere ha studiato e ha preso la licenza media, il diploma e poi anche la laurea. Ha scritto quattro libri sulla realtà di un uomo ombra e, con il trascorrere di questo tempo infinito, la sua voce non è più stata solo sua ma anche quella dei 1500 ergastolani italiani che non hanno avuto la stessa capacità di lottare per affermare i propri diritti o, più semplicemente, che non hanno saputo arrivare dritto al cuore. Carmelo non ha smesso di battersi e adesso sa che non è solo.
Accettare l'invito è stato naturale.
Quando il cancello si è chiuso alle nostre spalle ci ha attanagliato un gran freddo, non solo metaforico. Ci attende la redazione di "Ristretti Orizzonti" la rivista del carcere sul carcere. Carmelo ci aspetta nel corridoio, fa gli onori di casa, è emozionato, barba e capelli appena fatti, gli occhi rossi.
Iniziamo a parlare. Non siamo lì per fare promesse sterili, ma per ascoltare e cercare capire un mondo così lontano e diverso dal nostro, quello dei "cattivi". Davanti a noi ne abbiamo tanti, ognuno con la sua storia, i suoi errori, i suoi sogni e le sue speranze. Sono semplicemente uomini. Uomini che hanno sbagliato, ma non per questo hanno perso la loro dignità e il diritto ad essere riabilitati.
Il freddo è pungente. Molti davanti a noi hanno berretti e guanti di lana.
Parla Carmelo. Prova a spiegare la vita dentro "l'Assassino dei sogni" come lo chiama lui, ci ricorda che i rivoluzionari in Francia avevano abolito l'ergastolo e mantenuto la pena di morte. Secondo lui erano più umani. Un colpo di ghigliottina e tutto finiva. Prova a spiegare l'ergastolo ostativo, quello che ti toglie la speranza in un domani, la certezza di non uscire mai più, finché morte non vi separi. Perché alzarsi la mattina? Lavarsi e mangiare. Che senso ha vivere ogni singolo gesto della quotidianità se domani sarà uguale a oggi è il 2014 sarà uguale al 2013? Perché fare i conti con la propria coscienza, cambiare, capire i propri errori, pentirsi, se tanto si deve morire in carcere? La Costituzione dice che la pena deve essere rieducativa, ma a quale fine se tutto l’orizzonte di un esistenza si esaurirà tra le mura fredde di un carcere? Carmelo la descrive come una lenta e sadica agonia.
La legge prevede una possibilità di uscita: collaborare con la giustizia. Collaborare vuol dire mettere a repentaglio la vita dei tuoi cari, dei tuoi figli, costringerli a vivere lontano, con una nuova identità. Carmelo di fronte a questa offerta risponde deciso che non può e non potrà mai far scontare il suo errore ai suoi figli, perché questo non diventi una colpa da espiare fino alla settima generazione.
La Corte Costituzionale si è sempre pronunciata contro l'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo, ma qualche dubbio comincia a sorgere. Il 9 luglio 2013 la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha sentenziato che l’ergastolo senza possibilità di revisione della pena è una violazione dei diritti umani. L’impossibilità della scarcerazione è considerato un trattamento degradante e inumano contro il prigioniero e pertanto viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti umani. E’evidente come questo non sia un tema facile, i punti oscuri sono molti, soprattutto perché noi, che viviamo dall’altra parte del muro di cinta ci sentiamo protetti, pensando che i cattivi sono rinchiusi per sempre, lontano dai nostri sguardi e dai nostri pensieri.
Prendiamo il caso di Carmelo che è in carcere dal 1991: chiunque di noi negli ultimi 23 anni ha cambiato il proprio modo di vedere qualcosa, di percepire il mondo, la politica, la vita e lo stesso è accaduto anche a lui. Noi non chiediamo che i vari "Carmelo" delle carceri italiane escano domani dagli istituti penitenziari dove sono rinchiusi, forse neanche dopodomani, ma vorremmo tramutare quella scritta "fine pena mai" in qualcosa di certo, numerabile, comprensibile, affinché torni in loro la speranza di un domani e un motivo per alzarsi la mattina.
Aldo Moro nelle sue lezione universitarie avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici:
«Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta».
Sono state presentate due proposte di legge alla Camera per la commutazione dell'ergastolo in pena certa una da Marazziti e l'altra da Speranza. Basta discuterle. Basta poco.


sabato 21 dicembre 2013

La marcia di Natale

Ricevo e trasmetto, compenetrata del gravissimo problema, 
contando sulla sensibilità dei lettori del blog 
La marcia di Natale
A Pompei fin verso la fine degli anni Settanta veniva allestito il Presepe dei figli dei carcerati, una struttura sotterranea e labirintica, dove in molte scene c’erano solo suppellettili e strumenti di lavoro, sedie, forni, cesti, botti, sacchi di farina… dove la presenza dei soli oggetti della realtà quotidiana e l’assenza di personaggi creava un senso di inquietante disagio. Bene ce lo racconta Roberto De Simone nelle sue pagine sul presepe napoletano, che della vita (e della morte che nella vita siamo così bravi a portare) tutto ci narra.
Per quel cenno sotterraneo, che ricorda chi è in carcere, non c’è più spazio nei nostri presepi, un po’ meno ricchi di simbologie e verità. Ma la brutta verità del carcere rimane, nelle sue peggiori articolazioni ed espressioni, e per ricordarlo il 25 ci sarà la marcia per l’amnistia, voluta dai Radicali, ma che giorno dopo giorno va affollandosi di “parteciperò”. Parteciperò anch’io, magari dietro lo striscione contro l’ergastolo di quelli della Comunità Papa Giovanni XXIII, e con un “voto” in più, perché se l’affollamento delle nostre carceri è una “prepotente urgenza”, e ben venga il decreto del governo, oggi il rischio è che questo lasci in ombra altri, altrettanto gravi, momenti critici della pena e della sua esecuzione. Mi riferisco non solo all’ergastolo ma anche a quel meccanismo di norme che produce l’ostatività, che è l’esclusione dall’applicazione dei benefici di legge per chi, accusato di reati associati a mafia e quant’altro, non sia stato collaboratore di giustizia. Insomma l’art.4bis, che applicato a chi sia condannato all’ergastolo si traduce in un fine pena mai effettivo. Condizione in cui si trova più di un terzo degli ergastolani italiani. Con buona pace di chi continua a dire che l’ergastolo in Italia non lo sconta nessuno. Parteciperò anche per questo, perché molti di questi “cattivissimi” ho conosciuto, e di loro continuo ad occuparmi scoprendo, giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, l’inferno della morte viva. Sì, la chiamano così… Persone in carcere da venti, trenta e più anni, senza alcuna speranza di uscirne. E la domanda è se questo abbia un senso. E quale.
I primi “cattivi” li ho incontrati nel carcere di Padova, il Due Palazzi. Quelli del circuito dell’alta sicurezza. Che sono vite invecchiate, in celle di solitudine. I loro sguardi…, ecco non riesco a liberarmi di quegli sguardi, delle molte parole di chi era lì a fremere per parlare e raccontarsi e chiedere del senso della pena, se l’assunto è “cattivi per sempre”…
Ma soprattutto non riesco a liberarmi dei molti silenzi di chi non ha più parole… Sguardi e silenzi che urlano una domanda: perché ci è negata la speranza? La speranza di dimostrare che si è cambiati. Una speranza che non passi necessariamente per l’essere “collaboratore di giustizia”. Che significa magari mettere in pericolo la vita dei familiari, ad esempio. Che è scelta processuale ( ed è strumento delicato e complesso) e non necessariamente dimostrazione di pentimento vero, come la cronaca del processo Borsellino insegna…  
Sguardi, silenzi, parole, e un unico accento, in tutte le sfumature del sud… E forse ha proprio ragione chi suggerisce che questo vorrà anche significare che la ‘questione meridionale’, se ancora esiste, passa anche per la questione meridionale delle carceri. Queste nostre carceri, dove c’è un suicidio ogni 6 giorni, e proprio un giorno che ero fra gli uomini dell’AS1 di Padova, qualcuno, si sussurrava, quella notte se ne era andato, e la parola pronunciata a bassa voce era ancora, forse, suicidio…
Giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, si impara. Così realizzo che la media di queste persone è entrata in carcere molto giovane, e vi è invecchiata dentro. Ma abbiamo mai provato a chiederci che significa invecchiare in un carcere senza avere la speranza di uscirne se non da morti? E’ questa la “giustizia” che vogliamo?
Mi è capitato, in questi mesi, di parlare con conoscenti e amici di questi miei incontri. Ebbene “azzardando” dubbi sul diritto di cittadinanza di pene senza fine in uno Stato che voglia dirsi democratico e civile, la reazione media è sempre una sorta di irrigidimento:  “ma sono persone che hanno commesso gravi reati!”, “ma sono criminali!”, “omicidi” . Forse, certo. Ma (ingenuamente?) mi ha davvero inquietata, e spaventata, il fatto che la stragrande maggioranza dei miei interlocutori, anche quelli che so convinti “democratici” (ma che significherà mai a questo punto?), possano davvero pensare che quel che accade di queste persone sia giusto. E parlo s’intende di persone che il debito con la giustizia lo stanno scontando fino in fondo, con decenni di carcere. E con nessuna speranza, che significa tortura, che si aggiunge alla normale tortura che comunque è la pena carceraria, che, checché se ne dica, rimane pena violenta del corpo e della psiche. Significa, ho capito, solo una cosa: vendetta. Le pene devono tendere alla rieducazione, recita la nostra Costituzione. Rieducazione, sì, ma non come la intendevano i nostri padri costituenti, piuttosto a volte mi sembra, nel senso dei “campi di rieducazione” di orientale memoria. Ogni volta ripeto e mi ripeto le parole di Aldo Moro che era fermamente contrario all’ergastolo e che tutti dovrebbe farci riflettere, e ci scavalca ( a sinistra?):  “ capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano. Qualunque cosa il soggetto faccia (si penta, magari, com’è pur possibile) non si può immaginare una modifica della sua vita che sia influente sul suo modo di essere, in presenza di una pena che è uguale alla vita della persona. Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggetto e lo libera, perlomeno, con sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, che è la caratteristica della pena perpetua. (…) Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta”.
Interrogarsi di fronte a queste vicende ho capito significa provare a sciogliere nodi che sono dentro di noi, guardare cose che non ci piace guardare. Con alcune domande che si leggono in filigrana: che significa lottare contro le mafie? che significa essere di sinistra? Cos’è la legalità, quella parola “magica” di cui tanto ci riempiamo la bocca.
Una risposta, che ci inchioda alle nostre responsabilità, l’ho sentita durante un incontro organizzato da Libera. L’intervento di Salvatore Striano ( l’attore di “Cesare deve morire”, per intenderci), che uscito dal carcere non dimentica chi in carcere è rimasto. La legalità, ha detto, significa seguire la legge, e le leggi le fanno gli uomini, e posso essere sbagliate. Troppa legalità, senza che il principio informatore ne sia la giustizia, può creare mostri… Ricordo sempre queste parole, che servano a farci sentire un po’ meno tranquilli, nella nostra agiata vita, un  po’ meno a posto con la nostra coscienza, che servano a insinuare qualche dubbio, ad aprire crepe nel muro della nostra ipocrisia. Perché di un sistema carcerario ai limiti della tortura siamo tutti complici,  se questo è il prezzo della nostra presunta tranquillità. Personalmente ritengo che sono altri e più alti i livelli ai quali le mafie vanno combattute perché si speri di poterle sconfiggere… intelligenze contemporanee e non manovalanze di uomini che nella persona che sono stati, dieci venti anni fa, a volte neanche si riconoscono più. Ma a chi importa saperlo?
In questi mesi sto seguendo la scrittura dell’autobiografia di Mario Trudu, condannato per sequestro di persona ( due sequestri, di uno si dichiara innocente e la normativa che comporta l’ostatività la subisce retroattiva). Vi anticipo le ultime parole: “Sono sequestrato in mano di questo mostro disumano dal maggio 1979, trentatré anni, lascio a voi immaginare… dove vi trovavate nel 1979? cosa facevate? solamente tornando indietro con la mente potete riuscire a capire quanto sono lunghi trentatré anni”.
Mi permetto di invitare a pensarci. E non per essere buoni o perché sia Natale, perché poco cattolica mi sento, e forse cattolica non lo sono affatto. Ma convinta della necessità della giustizia, giustizia in questa terra, sì.
Tornando al presepe dei figli dei carcerati. I presepi… nella tradizione più classica fedeli alla simbologia di un viaggio misterico, della discesa in un mondo dove, superate le angosce del buio, sarà possibile partecipare all’epifania della nuova luce  che determinerà, ricorda De Simone, il capovolgimento della morte e il ritorno del ciclo vitale. Ma quale buio nel presepe che ci portiamo dentro, se ci permettiamo l’arroganza di negare a chicchessia la possibilità del ritorno alla luce…
Buon Natale a tutti 
 Francesca de Carolis,  www.laltrariva.net

martedì 17 dicembre 2013

Discorso di Napolitano

[Mi concedo qualche sottolineatura là dove le parole
mi sembrano sprecate, e una riflessione finale]
DISCORSO PRONUNCIATO DA NAPOLITANO
 IL 16 DICEMBRE 2013
Ringrazio vivamente il Presidente Grasso per le sue calorose e meditate parole e gli ricambio un sincero augurio per il prossimo anno : l’augurio, innanzitutto, che nelle Assemblee – pilastro della nostra democrazia – che egli e la Presidente Boldrini guidano, hanno il difficile compito di guidare, possa affermarsi in ogni momento un clima di civile confronto e di fruttuoso impegno, nel rispetto dei diritti di tutte le forze che vi sono rappresentate e nella riaffermazione delle regole che le Camere si sono date.
L’augurio che rivolgo in pari tempo a voi tutti si accompagna – secondo la tradizione di questo incontro prenatalizio – ad una rassegna dei principali eventi dell’anno trascorso e quindi dei problemi che abbiamo davanti nell’esercizio delle nostre responsabilità in seno alle istituzioni, al servizio dello Stato democratico e della comunità nazionale.
E non c’è dubbio che dall’incontro del 17 dicembre 2012 ad oggi l’Italia abbia conosciuto mutamenti incalzanti della scena politica, mutamenti ancora lontani da un chiaro assestamento e tali da presentare incognite non facilmente decifrabili.
Voi mi permetterete tuttavia di partire da qualche considerazione più ampia su quel che si muove nella realtà sociale – preoccupazioni, interrogativi, orientamenti e tendenze, riconducibili a questioni vitali per diversi ceti e gruppi sociali, e da valutare nel loro incrociarsi con la dimensione della politica e con la sfera delle scelte di governo.
Questioni vitali sono certamente quelle con cui si sono confrontate una miriade di imprese condannate a soccombere o ancor oggi sull’orlo del collasso, masse di lavoratori costretti alla Cassa Integrazione o esposti alla perdita del lavoro, un’altissima percentuale di giovani chiusi nel recinto di una disoccupazione ed emarginazione avvilente. Il governo registra in questo momento con comprensibile soddisfazione l’arresto dalla caduta del PIL, ma la recessione morde ancora duramente, e diffusa appare la percezione della difficoltà ad uscirne pienamente, a imboccare la strada di una decisiva ripresa della crescita.
E in effetti occorrono ancora forti stimoli, a integrazione di quelli introdotti con misure approvate dal Parlamento nel corso di quest’anno e già dell’anno precedente, con un succedersi di sforzi dei quali vanno peraltro verificati concretamente i risultati, resi incerti anche da lentezze e impacci nell’attuazione che rimandano a tradizionali insufficienze delle nostre amministrazioni.
La massima attenzione va data a quanti non sono raggiunti da risposte al loro disagio : categorie, gruppi, persone, che possono farsi coinvolgere in proteste indiscriminate e finanche violente, in un estremo e sterile moto di contrapposizione totale alla politica e alle istituzioni.
Occorre perciò accompagnare il più severo richiamo al rispetto della legge con la massima attenzione a tutte le cause e i casi di più acuto malessere sociale. La crisi globale che si trascina dal 2008 e quella che ha poi più direttamente investito l’Eurozona, hanno messo a dura prova la coesione sociale nel nostro come in altri paesi.
Le più elaborate previsioni internazionali per il 2014 segnalano un rischio diffuso di tensioni e scosse sociali – originate dalle regressioni e dalle crescenti diseguaglianze subite in questi anni – in modo particolare nel nostro Continente. Un rischio che si presenta naturalmente non nella stessa misura in tutti i paesi dell’Unione, ma che deve essere tenuto ben presente e fronteggiato in Italia.
Da noi poi il malessere sociale (e non mi riferisco solo alle sue manifestazioni più virulente e anche strumentali) si esaspera nel confronto con i fenomeni di corruzione o insultante malcostume che si producono nelle istituzioni politiche, anche al livello regionale, e negli apparati dello Stato, così come con ogni sorta di comportamenti volti a evadere o alterare l’obbligo della lealtà fiscale.
Le risposte tese a contrastare il radicarsi di malcontento sociale e sfiducia politica, debbono dunque abbracciare in uno stesso impegno decisioni di risanamento della vita politico-istituzionale (come quelle che incidano radicalmente sul finanziamento dei partiti), misure sociali di sostegno per i settori più colpiti e per le fasce più deboli della popolazione, indirizzi di efficace rilancio dell’economia e dell’occupazione. Ben attenti, questi ultimi, e fortemente rivolti al Mezzogiorno, dove più pesano i contraccolpi della crisi e dove peraltro si giuoca la partita decisiva per un nuovo sviluppo nazionale.
In queste direzioni si è impegnato a intervenire più risolutamente il Presidente del Consiglio, presentandosi al Parlamento per una nuova investitura, che Camera e Senato gli hanno accordato, anche in funzione di un patto programmatico di coalizione per il 2014. Di tale patto sono stati nel discorso del Presidente Letta anticipati molti elementi concreti, e qualche significativa deliberazione è subito seguita in sede di Consiglio dei Ministri. Giudice di tali intenti e atti è, come sempre, soltanto il Parlamento. Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica : ciascuna istituzione ha le sue, ben distinte responsabilità. Le sorti del governo poggiano soltanto sulle sue forze, sono legate soltanto al rapporto di fiducia con la sua maggioranza. E’ nel pieno rispetto dell’autonoma responsabilità del governo che il Capo dello Stato interviene in spirito di cooperazione e con contributi di riflessione – secondo l’esempio dato per primo da Luigi Einaudi, il cui “Scrittoio del Presidente” testimonia la straordinaria molteplicità di tematiche e di forme di manifestazione del suo pensiero, specie in rapporto a proposte di legge del governo in carica, nel corso di quel pioneristico settennato.
Ma mi preme ora, riprendendo il filo del mio discorso, evitare l’equivoco di una lettura – da parte mia – unilaterale e dominata dalle ombre, della realtà sociale, di quel che si muove nella realtà profonda del paese. Perché ho occasione di incontrarne e osservarne molte diverse espressioni, che alimentano una ragionata fiducia nel futuro. Mi riferisco innanzitutto al contributo che l’area delle imprese più innovative e competitive sta dando alla tenuta e al prestigio del nostro sistema industriale, benché vulnerato in non pochi punti. E inoltre meritano attenzione tendenze – messe in luce da accurate analisi del Censis – alla crescita, in questi anni di crisi, di nuove soggettività imprenditoriali : donne titolari di impresa, immigrati che si assumono il rischio di avviare nuove iniziative economiche.
In un contesto sociale non immobile, in una compagine nazionale molto diversificata anche sul piano culturale e comportamentale, vediamo manifestarsi fortemente l’Italia della solidarietà e dell’impegno civile, chiamata di recente a prove drammatiche, vediamo crescere la sensibilità per i valori dell’ambiente e della salute, per la salvaguardia del territorio, per la tutela del patrimonio naturale e culturale, in risposta a guasti e inquinamenti anche criminali di cui si rivela il gravissimo danno.
Traiamo da ciò motivi di fiducia, cogliendo segni di rinnovato impegno per il futuro del nostro paese. Ne traiamo dai riconoscimenti che ottiene in molte sue articolazioni e personalità, il mondo della nostra ricerca scientifica, nonostante tante ristrettezze e difficoltà. Traiamo motivi di fiducia dagli esempi, non marginali, di una volontà che è presente tra i giovani di non rassegnarsi, di farsi sentire con forza, di sollecitare politiche che aprano loro nuovi sbocchi. Specialmente tra i giovani che fanno o vogliono fare ricerca emergono, l’ho constatato in frequenti e diverse occasioni, passione, impegno incondizionato, motivazione specifica, talento.
E questi sono segnali importanti per affrontare al meglio la sfida più complessa, la sfida cruciale di una ripresa economica che produca più occupazione e buona occupazione soprattutto per i giovani. Il nodo essenziale risulta ormai chiaramente quello della creazione di nuove opportunità di lavoro, di una formazione che prepari a nuove prestazioni professionali in campi diversi da quelli prevalenti nel passato, ovvero rispondenti a cambiamenti tecnologici già intervenuti e tendenziali, a mutamenti di fondo nella fisionomia economico-sociale di un paese come il nostro.
Se si può nutrire e trasmettere fiducia nell’avvenire dell’Italia, e se ci si può provare a disegnarlo, l’anello che ancora manca è il passaggio a una mobilitazione collettiva, a una ripresa di vigore e operosità, indispensabile oggi per risalire la china. Questa consapevolezza dovrebbe animare tutte le forze sociali e politiche responsabili : e penso che in tale direzione vada il riavvicinamento prodottosi tra le rappresentanze imprenditoriali e quelle del mondo del lavoro.
La consapevolezza della politica e delle istituzioni dovrebbe concentrarsi su riforme per il lavoro, e su riforme dell’ordinamento della Repubblica in assenza delle quali nessuno slancio nuovo può prodursi, nessun impulso atteso da azioni immediate o da indirizzi di governo di più lungo termine può tradursi in realtà, può davvero dare frutti.
E vengo allora al tema delle riforme, almeno per l’aspetto a me – nell’esercizio delle mie funzioni – più congeniale : quello delle riforme costituzionali. Su questo tasto ho battuto fin dall’inizio del mio mandato e all’indomani del rigetto – nel referendum confermativo – dell’ampia legge di revisione costituzionale approvata nel 2005 dal Parlamento con una maggioranza non di due terzi. Sostenni allora che restavano compatibili con quel verdetto referendario proposte di modifiche magari più circoscritte e “mirate” della seconda parte della Costituzione. E tentativi in quel senso, sulla base di un possibile ampio consenso parlamentare, non sono mancati anche nella fase conclusiva della XVI Legislatura, ma infine abortendo per improvvide forzature politiche.
Mi sono tuttavia più che mai confermato in una precisa convinzione. Riforme come quelle del superamento del bicameralismo paritario, dello snellimento del Parlamento, della semplificazione – in chiave di linearità e di certezza dei tempi – del processo legislativo, o come la revisione del Titolo V varato nel 2001, sono ormai questioni vitali per la funzionalità e il prestigio del nostro sistema democratico, per il successo di ogni disegno di rinnovato sviluppo economico, sociale e civile del nostro paese nel tempo della competizione globale.
Tale convinzione era stata pienamente condivisa dalla maggioranza che fece nascere nell’aprile scorso il governo Letta accordando la fiducia al programma che comprendeva tra i suoi elementi costitutivi quel disegno, appunto, di riforme costituzionali. E oggi vorrei rivolgere uno schietto appello al partito che il 2 ottobre scorso si è distaccato dalla maggioranza originaria guidata dal Presidente Letta, perché quella rottura non comporti l’abbandono del disegno di riforme costituzionali, di cui sono state poste le premesse tra giugno e settembre con la relazione della Commissione presieduta dal ministro Quagliariello. Nel ringraziare ancora per l’impegno disinteressato e costruttivo i membri di quella Commissione, esprimo l’opinione che sarebbe dissennato buttar via quel prezioso telaio propositivo e rinunciare a trarne le conclusioni che spettano al Parlamento.
Il mio appello a collaborare al percorso delle riforme costituzionali indispensabili è rivolto anche a forze di opposizione che hanno osteggiato il provvedimento procedurale contenente deroghe all’articolo 138 della Costituzione, ma non, in linea pregiudiziale, la scelta di determinate riforme. La ricerca della più larga convergenza a questo riguardo in Parlamento, resta sempre uno sforzo da compiere, e non ha nulla a che vedere con il concordare o il contrastare larghe intese o grandi coalizioni di governo. Mancare anche questa volta l’obbiettivo della revisione della II parte della Costituzione sarebbe fatale per il rilancio delle potenzialità e del progresso della nazione. Quell’obbiettivo era stato tracciato già nel 1992 nel messaggio d’insediamento del Presidente Scalfaro nel cui solco mi sono in questi anni conseguentemente mosso.
Quelle riforme, insieme con una nuova legge elettorale di cui presto dirò, sono indispensabili anche per rafforzare “il principio maggioritario” che l’Italia ha assunto dal 1993-94 – così mi espressi nel mio primo messaggio al Parlamento – “come regolatore di una operante democrazia dell’alternanza”. “La maturità di un sistema politico bipolare” – aggiunsi – implica “il reciproco riconoscimento, rispetto ed ascolto tra gli opposti schieramenti” e anche l’individuazione dei “temi di necessaria e possibile convergenza tra essi nell’interesse generale”. Temi come quelli, innanzitutto, delle modifiche costituzionali.
Nessun equivoco o contrapposizione, dunque, tra piani diversi nei rapporti politici e istituzionali, il piano delle riforme e delle regole e il piano delle scelte e delle responsabilità di governo. Non tornerò sull’ampia disamina che feci, a suo tempo, del processo che condusse alla nascita del governo Monti nel novembre 2011 e della singolare fisionomia di quel governo. Con la formazione del governo Letta dopo le elezioni del febbraio di quest’anno prese corpo, più esplicitamente in termini politici, una maggioranza analoga per ampiezza a quella precedente. Sia l’una che l’altra hanno però conosciuto una rottura e fine precoce.
Volendo dare di ciò la lettura più obbiettiva, dirò che, per vicende antiche e recenti, in Italia non sono risultate mature o percorribili senza tensioni distruttive soluzioni di governo a tempo determinato basate sulla collaborazione eccezionale tra forze politiche tradizionalmente antagoniste. Soluzioni di quel tipo si sono di recente imposte come necessarie per via del risultato stesso delle elezioni anche in paesi caratterizzati storicamente per il bipolarismo del sistema politico, per l’alternanza al governo tra schieramenti concorrenti. Da noi, la formazione, a fine aprile, del governo Letta non rispecchiò un ripudio della competizione bipolare, ma rappresentò il solo modo di fare i conti con la realtà del Parlamento uscito dal voto di febbraio. Sono però prevalsi negli ultimi mesi fattori di divisione in quella maggioranza, che si è potuta riprodurre solo su scala più ridotta e in discontinuità con l’intesa iniziale.
Importante, tuttavia, è che su queste basi l’Italia continui a essere governata, innanzitutto nel così impegnativo 2014 che sta per cominciare. L’Europa ci guarda ed è diffusa, credo, tra gli italiani la domanda di risposte ai loro scottanti problemi piuttosto che l’aspettativa di nuove elezioni anticipate dall’esito più che dubbio.
E’ perfino banale ribadire che la stabilità non è un valore se non si traduce in un’azione di governo adeguata. Non c’è nulla che assomigli a una concessione all’inerzia e all’inefficienza, nella preoccupazione di evitare un cieco precipitare verso nuove elezioni a distanza ravvicinata dalle precedenti. Il Parlamento, rinvigorito da più giovani forze e da nuove leadership in diverse formazioni politiche, faccia la sua parte per sollecitare, discutere, sostenere scelte efficaci di governo; si impegni a fondo sul terreno delle riforme costituzionali; elabori una nuova legge elettorale. Anche per quest’ultima si dialoghi e si cerchino intese – come si conviene quando si tratti di regole così essenziali – innanzitutto nella maggioranza di governo ma, nella massima misura possibile, anche con tutte le forze di opposizione.
Sul terreno delle regole per l’elezione del Parlamento e quindi per la formazione del governo, si è in Parlamento – sono costretto a ripeterlo – imperdonabilmente pestata l’acqua nel mortaio nella precedente legislatura e, ancora per mesi, in quella attuale. Posizioni e rigidità contrapposte hanno nuovamente provocato un’impotenza a decidere, pur nell’avvicinarsi dell’udienza annunciata della Corte Costituzionale per l’esame delle questioni sottopostele dalla Cassazione. Il 23 ottobre scorso, intervenendo all’Assemblea dell’ANCI a Firenze, dissi senza mezzi termini :
“La dignità del Parlamento e delle stesse forze politiche si difende non lasciando il campo ad altra istituzione, di suprema autorità ma non preposta a dare essa stessa soluzioni legislative a questioni essenziali per il funzionamento dello Stato democratico. Non è ammissibile che il Parlamento naufraghi ancora, a questo proposito, nelle contrapposizioni e nell’inconcludenza.”
Ma nemmeno nel mese e più che restava – in quel momento – in vista dell’udienza del 3 dicembre della Corte Costituzionale, si fu capaci – nella Commissione del Senato investita delle proposte in materia elettorale – di approvare alcunché. D’altronde, già nel gennaio 2008 con la sentenza n.15 di quell’anno, la Corte aveva avvertito “il dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordini l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una quota minima di voti e/o seggi”.
Questi inviti da tempo rivolti al Parlamento erano stati richiamati criticamente dal Presidente della Corte Gallo dopo l’insediamento delle nuove Camere elette nel febbraio di quest’anno, e inoltre da tempo le forze parlamentari da me consultate in proposito si erano dichiarate convinte della necessità di modificare la legge elettorale approvata in Parlamento nel 2005 e funzionante dalle elezioni del 2006.
Nella persistente inazione del Parlamento, la Corte non ha potuto che condursi come sempre nell’affrontare questioni di legittimità costituzionale di qualsiasi legge approvata dal Parlamento e poi sottoposta al suo esame : verificarne l’ammissibilità, dichiarare l’illegittimità – ove la trovi fondata – dell’intera legge o di sue singole norme. Essa ha seguito, nel caso di cui parliamo, questa seconda strada, non certo esprimendo una preferenza per l’uno o l’altro sistema elettorale che ne potesse automaticamente scaturire, ma lasciando libera e aperta dinanzi al Parlamento la scelta di una compiuta, nuova normativa elettorale.
La prossima pubblicazione del testo della sentenza della Corte e delle sue motivazioni, ne chiarirà certamente gli effetti giuridici e fornirà utili indicazioni al Parlamento. Questo ha per suo conto già deciso di far ripartire dalla Camera un più risoluto e spedito esame delle diverse opzioni possibili per dare al paese una legge che, insieme alle riforme costituzionali di cui ho parlato, soddisfi, con corretti meccanismi maggioritari, esigenze di governabilità proprie di una democrazia governante, di una democrazia dell’alternanza.
Spetterà comunque alla Corte stessa illustrare il significato della decisione del 4 dicembre e la portata delle sue conseguenze, che certo non possono – come autorevoli giuristi hanno già rilevato – contraddire “il principio di continuità dello Stato” fino a farci “cadere nell’anomia e nel caos”.
In effetti, il clima politico è stato reso febbrile da quelli che, iniziando il mio intervento, ho definito mutamenti incalzanti nel panorama partitico e parlamentare; nascita e talvolta crisi di nuove formazioni; scomposizioni, e ricomposizioni su diverse basi, di partiti di più rilevante radicamento. Insomma, strappi e novità, e diversi, molteplici elementi di frammentazione e di conflittualità. Non posso che esserne soltanto imparziale osservatore.
Non ignoro tuttavia l’effetto traumatico che ha avuto sul quadro politico la sentenza di condanna definitiva pronunciata dalla Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi, per il ruolo di primo piano che egli ha svolto per un periodo notevolmente lungo nella vita politica e istituzionale del paese. E alla sentenza si sono aggiunte le ricadute dell’applicazione di una legge di recente approvata dal Parlamento, peraltro a larghissima maggioranza. Casi analoghi, sul terreno dei rapporti tra politica e giustizia, si sono verificati nel passato in Italia e, in questi anni, anche in qualche altro grande paese dell’Unione Europea. Sempre e dovunque negli Stati di diritto non può che riaffermarsi il principio della divisione dei poteri e quindi del rispetto, da parte della politica, delle autonome decisioni della magistratura.
Non ritorno sulle posizioni che espressi in una formale dichiarazione a riguardo il 13 agosto scorso : opinioni e criteri di comportamento a cui mi sono poi rigorosamente attenuto. Comunque, la severità delle sanzioni inflitte, la riluttanza a prenderne atto e a compiere gesti conseguenti, può indurre l’interessato e la sua difesa a tentare la strada di possibili procedimenti di revisione previsti dall’ordinamento nazionale, o a proporre ricorsi in sede europea. Ma non autorizza a evocare immaginari colpi di Stato e oscuri disegni cui non sarebbero state estranee le nostre più alte istituzioni di garanzia. Queste estremizzazioni di ogni giudizio o reazione, non giovano a nessuno, e possono solo provocare guasti nella vita democratica.
Più in generale, l’Italia avrebbe bisogno – mi sia almeno concesso il condizionale della speranza – di più misura, serenità e consapevolezza nel fare politica. Consapevolezza e senso dell’unità nazionale, pur tra consensi e dissensi, in un mondo solcato come da anni non accadeva da tensioni, conflitti, minacce cui ancora debolmente corrispondono iniziative e sforzi di pacificazione e cooperazione. Avrò occasione di parlarne più diffusamente domani, incontrando il Corpo Diplomatico, e partecipando qualche giorno dopo alla Conferenza degli Ambasciatori d’Italia.
Particolare consapevolezza si richiede poi alla politica rispetto a un’Europa in profondo travaglio per la crisi del suo tessuto economico e sociale e per l’insufficienza delle sue istituzioni, esposta perciò a una pericolosa perdita di consenso tra i cittadini e sollecitata a ripensare le politiche condotte negli ultimi anni.
Che cosa questo significhi per l’Italia, dal punto di vista della sua capacità assertiva e propositiva in tutte le sedi decisionali e le sfere di attività dell’Unione, e come quadro di riferimento ineludibile del nostro sviluppo nazionale, lo ha ben detto il Presidente del Consiglio Letta nel suo discorso programmatico mercoledì scorso in Parlamento. Le motivazioni e gli obbiettivi europei cui egli ha ancorato la richiesta della fiducia per il suo governo – guardando alle vicine elezioni per il Parlamento europeo e al semestre di presidenza italiana dell’Unione – la perorazione europeista con cui ha concluso il suo discorso, rendono superfluo ogni ulteriore apporto da parte mia ora.
Perché è stato facile riconoscermi in quella chiarezza e continuità d’impegno per la costruzione di un’Europa unita, che ha caratterizzato non singoli governi italiani ma l’insieme delle nostre istituzioni repubblicane.
Il bisogno di maggiore misura, serenità, consapevolezza nel fare politica – senza nulla togliere alla libertà e nettezza della competizione per la guida del paese, ma anche senza smarrire il senso di una responsabilità comune – ci viene suggerito dall’obbiettiva considerazione della mole dei problemi, dello spessore dei condizionamenti e dei ritardi che abbiamo accumulato a fronte dei molteplici processi di cambiamento che ci incalzavano senza che vi corrispondessimo seriamente.
Un problema che non possiamo trascurare nemmeno per un giorno – perché si avvicina la scadenza postaci da una dura sentenza della Corte di Strasburgo – è quello delle condizioni disumane che si vivono in carceri sovraffollate e degradate. E’ il tema che ho posto nel mio messaggio del 7 ottobre, da cui Parlamento e governo già stanno traendo – e ancora trarranno, ne sono certo – impulso a decisioni che siano anche di riforma della giustizia.
“Tante sono le questioni di fronte alle quali le nostre preoccupazioni sono comuni e le risposte possono essere convergenti” – ci ha detto qui di recente, venendo in visita per la prima volta in Quirinale, Papa Francesco. E in questo modo egli ci ha offerto un concorso spirituale e morale prezioso per poter aprire la strada a un futuro di speranza. Perché è vero che “là dove cresce la speranza si moltiplicano anche le energie e l’impegno per la costruzione di un ordine sociale e civile più umano e più giusto”.
Speranza e volontà di cambiamento debbono misurarsi ora e qui con sfide e necessità scottanti. Lasciate che concluda quindi con un richiamo alla sfida, che avverto fortemente, del rispetto delle istituzioni, della fermezza dello Stato democratico, della tutela della legalità. Le insidie vengono da molte parti: vengono nel modo più brutale dalla criminalità mafiosa, dalle sue minacce ai magistrati e alla convivenza civile. Ai servitori della legge impegnati con coraggio su quel fronte, va oggi la nostra piena, limpida, concreta solidarietà.
Un anno fa, nella stessa occasione che ci vede oggi riuniti alla vigilia dell’inizio del 2014, volli accomiatarmi da voi nell’imminenza della conclusione del mandato presidenziale. Chiarissima era la mia convinta e motivata predisposizione a quella conclusione: e non c’è tentativo di spudorato rovesciamento della verità che possa oscurare quel mio atteggiamento o far dimenticare la pressante sollecitazione che venne a me rivolta da opposte forze politiche partecipi di una drammatica condizione di impotenza politica a eleggere il mio successore.
Nel ringraziare poi il Parlamento e i rappresentanti delle Regioni per la fiducia largamente accordatami, ebbi modo di indicare inequivocabilmente i limiti entro cui potevo impegnarmi a svolgere ancora il mandato di Presidente. Anche di quei limiti credo che abbiate memoria; ed io doverosamente non mancherò di rendere nota ogni mia ulteriore valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dell’alto e gravoso incarico affidatomi.
A voi tutti, un cordiale augurio di Buon Natale e Buon Anno.
RIFLESSIONE

Chiedo scusa se a caldo [o come i ‘ribelli’] penso che tante parole sono inopportune, in un momento in cui i fatti sono incalzanti, perché vissuti nella pelle delle persone, e segnano un grosso scollamento tra il potere, che parla parla parla, e la piazza.
La piazza?
Non si possono ignorare, né tanto meno disprezzare, coloro che scelgono la piazza per scaricare la propria rabbia. Meglio pochissime frasi per raccomandare di dar nano alla legge sulla riforma elettorale, senza entrare in merito a situazioni su cu nessuno della contemporaneità (dei fatti) può pronunziarsi in stile perentorio. Nessuno e su nessuna base. Davvero ‘ai posteri l’ardua sentenza’; o meglio, come diceva mia mamma: ‘al mondo della verità!’. 

lunedì 16 dicembre 2013

Giuliana Da Pozzo

Pubblico ben volentieri questo ricordo che è stato dedicato da Noidonne.org ad una donna.Sul solco da lei tracciato siamo invitati a porci tutti e a fatti 
Giuliana Dal Pozzo
direttora storica di Noidonne
giornalista sempre dalla parte delle donne e fondatrice del Telefono Rosa
è morta a Roma all'età di 91 anni il 15 dicembre 2013.
Nata a Siena nella contrada dell'Oca, ha lavorato nelle redazioni dell'Unità e di Paese Sera e ha diretto Noi Donne dal 1954 al 1961 e poi, dopo Miriam Mafai, dal 1970 al 1981. L'allora organo ufficiale dell'Unione Donne Italiane divenne con lei una rivista attenta al costume e che, superando l'ufficialità, anticipava i temi del femminismo ancora sotterraneo. Per oltre un ventennio, nella rubrica di posta delle lettrici, Parliamone insieme, Giuliana Dal Pozzo affrontò le questioni del divorzio, dell'aborto e degli anticoncezionali in un'epoca in cui era addirittura reato parlare di quella che veniva definita con una circonlocuzione 
"interruzione della maternità". Nel 1969 una inchiesta sul "maschio di sinistra" rompeva un altro tabù, mettendo in luce le ipocrisie della parte progressista. Nel 1988, quando ancora di femminicidio non si parlava granché, ideò il Telefono Rosa, un'associazione di volontarie per le donne vittime della violenza tra le pareti domestiche e sui luoghi di lavoro. Sull'argomento pubblicò anche un libro, Così fragile, così violento (Editori Riuniti), in cui la violenza maschile veniva raccontata dalle donne.
Premio Saint-Vincent per il giornalismo, è stata anche autrice dell'enciclopedia La donna nella storia d'Italia, di vari saggi, di un romanzo, Ilia di notte, scritto con Elisabetta Pandimiglio (Editrice Datanews), e del diario a Maestra. Una lezione lunga un secolo (Memori).
Nel 2007 il presidente Napolitano l'aveva nominata Grande Ufficiale della Repubblica.
I funerali si svolgeranno a Roma martedì 17 alle ore 10.30 del 16 Dicembre 2013 nella chiesa Mater Dei, in via della Camilluccia 120.

venerdì 13 dicembre 2013

Regalo prenatalizio

Ricevo, tramite la news del CTI, e trasmetto con vera commozione.
 Spero contagiarvi: vi farà bene!
DONNE NELLA LUCE DELL'AMORE
di Gianfranco Ravasi
in “Il Sole 24 Ore” del 8 dicembre 2013
a) C'è anche la foto dell'ultimo scritto, una cartolina indirizzata a una sua giovane insegnante e poi amica, Christine van Nooten, una studiosa di letteratura classica che morirà nel 1998: Etty Hillesum il 7 settembre 1943 la getterà dal carro merci che sta conducendo lei e i suoi genitori al lager di Auschwitz, ove tre settimane dopo - il 30 settembre - entrerà nella camera a gas. Scriveva: «pro a caso la Bibbia e trovo questo: "Il Signore è il mio alto rifugio". Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa (suo fratello) sono alcuni vagoni più avanti... Abbiamo lasciato il campo (di Westerbork, ove era prima detenuta) cantando... Arrivederci da noi quattro. Questo "arrivederci" straziante ovviamente non si compirà e la vita di questa donna ebrea olandese, bella, straordinariamente intelligente e dotata di un'anima mistica, delicata e forte, verrà brutalmente spenta dalla bestialità nazista a soli 29 anni.
[Abbiamo già presentato la riedizione adelphiana del suo Diario; ora vogliamo solo invitare i nostri lettori a non perdere la raccolta delle Lettere, scritte in gran parte dal lager di Westerbork ove Etty (Ester) di sua volontà si era autoreclusa per gettare un seme d'amore e una scintilla di luce nell'"inferno degli altri". La fede, la Bibbia, la poesia (in particolare Rilke), il cielo solare o nuvoloso o stellato saranno il cuore spirituale di quei giorni, umanamente tenebrosi, che avvolgevano gli internati rendendoli cupi, rancorosi e infelici. Sarà abusata l'immagine, ma Etty è come un angelo che irradia luce, senza però perdere il realismo di un'esistenza umiliata in un campo recintato all'interno di una brughiera sul quale s'abbattono folate di sabbia. Un realismo che conosce i piccoli egoismi delle stesse vittime e la brutalità dei carcerieri, ma anche la gioia di un pacco viveri, dell'arrivo e dell'invio di un biglietto o di un'amicizia che sboccia. Ogni commento a queste lettere della Hillesum o a lei indirizzate, che non sia quello necessario storico-critico (offerto in questa edizione), risulta dissonante e fin sgraziato. La lettura basta a se stessa. È per questo che non aggiungiamo altro se non una citazione tra le tante possibili. La miseria che c'è qui è veramente terribile. Eppure, la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce - non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare - e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo].
b) Ad Auschwitz un anno prima, nel 1942, veniva avviata nelle stesse camere a gas un'altra donna di straordinaria intelligenza, un'ebrea tedesca convertitasi al cattolicesimo, Edith Stein, discepola prediletta del filosofo Edmund Husserl. Battezzata a 31 anni nel 1922, entrata nel Carmelo di Colonia nel 1933 col nome di Teresa Benedetta della Croce, verrà proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1997. Alla vasta bibliografia di lei e su di lei si aggiunge ora un particolare ritratto spirituale disegnato da una sua "consorella" attuale, la carmelitana Cristiana Dobner, che si è da tempo dedicata allo studio di Edith-Teresa Benedetta. Il profilo viene tracciato secondo tre lineamenti, usando altrettante testimonianze che intarsiano tutte le pagine del suo volumetto. C'è innanzitutto il racconto autobiografico della donna col suo itinerario personale spesso  travagliato, segnato da "indici di contrasti", e alla fine collocato all'insegna della luce di Cristo e della tenebra della Shoah. C'è, poi, il filo sia della riflessione filosofica fenomenologica, la prima sua patria ideale (la sua opera maggiore sarà, al riguardo, Endliches und ewiges, l'Essere finito ed eterno"), sia dell'esperienza spirituale, elaborata attraverso scritti di appassionata attestazione mistica (e qui brilla la Kreuzeswissenschaft, una "scienza della croce" che è anche adesione esistenziale). Infine nelle pagine della Dobner occhieggiano le parole di coloro che hanno incrociato la vita di Edith a diverso titolo e nelle differenti tappe della sua vicenda personale. Suggestiva la testimonianza della nipote, Susanne Batzdorff-Biberstein: «Chi fosse veramente, come abbia vissuto e sia morta, rimarrà per sempre il suo segreto». Tutto converge appunto verso il mistero della morte, soglia apparentemente oscura, in realtà aperta su un roveto ardente di una fiamma divina.
c) Concludiamo questa recensione al femminile con una vera e propria galleria di ritratti di "tenacemente donne". Sono dodici, molto diverse tra loro, convocate da due giornaliste, la lombarda Alessandra Buzzetti e la siciliana Cristiana Caricato. Che cosa può unire tra loro Clara, la figlia del famoso genetista Lejeune, ascesa al vertice della General Electric France, e l'operaia romagnola part-time Cristina con tre figli e un marito disoccupato? Oppure Jocelyne, comandante delle milizie femminili dell'Esercito libanese, e Nasreen, missionaria francescana in Pakistan? O ancora la giornalista Costanza Miriano con Marcella volontaria in una casa di accoglienza? O Nancy, analista finanziaria della Walt Disney, e una giovane madre romana, Chiara Corbella Petrillo, morta di cancro? La risposta la si scopre lasciandosi condurre da questi dodici racconti biografici, vere e proprie "storie di vita" nel senso più alto del termine: sfogliando le pagine di questo libro - per usare un'immagine poetica rilkiana - le dita rimarranno segnate dalla polvere di luce dell'amore, come quando si afferrano le ali di una farfalla. L'enfasi della metafora è smitizzata però, dal realismo di queste vicende femminili che si confrontano tutte col respiro di sofferenza, di miseria, di necessità del prossimo, mettendo in gioco successo personale, carriera e la stessa vita. E su tutte sembrano echeggiare le parole pronunciate da Gesù l'ultima sera della vita terrena: Non c'è amore più grande di colui che dà la vita per gli amici (Giovanni 15,13).


giovedì 12 dicembre 2013

Nella confusione della politica

12.12.2013

NELLA CONFUSIONE DELLA POLITICA

SELEZIONO ALCUNE NOTIZIE

a) la protesta dei forconi
Dopo i disagi di ieri e lo sciopero del Movimento dei Forconi e degli altri movimenti associati, oggi la protesta è arrivata al quarto giorno (e qualcosa in più essendo partita domenica notte).
Il leader del Movimento dei Forconi, Mariano Ferro, ha dichiarato: La notorietà dei Forconi sembra portare con sé anche conseguenze spiacevoli: I veri Forconi si trovano in Sicilia, dove la protesta in questo momento è pacifica. Purtroppo la nostra sigla viene associata a gruppi di teppisti ed eversivi con i quali non c’entriamo nulla. Ci dissociamo a gran voce dalla violenza in atto in altre parti del Paese.
Il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, ha detto parole chiare: Le famiglie e le imprese sono stremate da una crisi che sembra non finire mai e i segnali di ripresa sono ancora debolissimi. Ma dare voce a questo dramma quotidiano con manifestazioni che portano al caos è inaccettabile perché l'esasperazione, anche se comprensibile, non può prendere in alcun modo la via dell'intolleranza, delle minacce e della violenza.Silvio Berlusconi ha deciso di rinviare l'incontro con gli autotrasportatori per evitare ogni possibile strumentalizzazione. E ha aggiunto: Rivolgo il mio invito al governo affinché si faccia subito interlocutore.
Non si è fatta attendere la replica del ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi: Mi dispiace che non l’abbiano informato. Il governo, il ministero delle Infrastrutture, io e il sottosegretario Girlanda, abbiamo più volte incontrato i rappresentati degli autotrasportatori e raggiunto un accordo firmato da sigle pari al 95% del settore.
b) La Fondazione Telethon e il presidente
Il Consiglio d'amministrazione di Telethon, riunitosi il 7 luglio nella sede romana della Fondazione, ha nominato presidente l'avvocato Luca Cordero di Montezemolo.
Montezemolo succede a Susanna Agnelli, presidente di Telethon fin  dalla sua nascita nel 1990, anno in cui fu trasmessa la prima maratona televisiva di raccolta fondi per finanziare la ricerca sulla distrofia muscolare. A partire dal 1993 la ricerca di Telethon si è estesa alle altre malattie genetiche.
Dopo la nomina il neopresidente Montezemolo ha incontrato per un primo saluto tutti i dipendenti della Fondazione. Ha detto: Sono particolarmente orgoglioso di raccogliere l’eredità di Susanna Agnelli. Telethon è un’organizzazione che si è affermata ai massimi livelli nel campo della ricerca medico-scientifica e riveste un ruolo fondamentale nel nostro Paese.
c)La criminalizzazione dell’omosessualità
Leggo dalla Newsletter  de Il paese delle donne on line:
La Corte suprema reintroduce la criminalizzazione dell’omosessualità, ribaltando una sentenza storica dell’Alta corte di Delhi nel 2009
G.Ananthapadmanabhan, chef executive di Amnesty International India, ha affermato: Questa decisione è un duro colpo ai diritti all’uguaglianza, alla privacy e alla dignità. E’ difficile non sentirsi delusi da questa sentenza, che ha portato l’India indietro di parecchi anni nel suo impegno per proteggere i diritti fondamentali.
Il parlamento deve immediatamente approvare una legislazione per ripristinare i diritti e le libertà che sono stati negati oggi.
d) Papa Francesco e la politica
Mi limito alla citazione di una sua preghiera: Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde a non l'apparenza dei dei mali del nostro mondo.
e) Il mio sconcerto e una riflessione
Penso allo scollamento tra quella che chiamiamo SOCIETÀ CIVILE, in mano a chi la guida e la usa strumentalmente, ai LUOGHI DEL POTERE in preda a schieramenti  ‘feroci’, agli INTERVENTI DELLA CORTE, alla sponda della parola ispirata di PAPA FRANCESCO, che riteniamo acquietante e che invece dovrebbe inquietare ed interrogare le coscienze.

Ho visto stamane per pochi minuti un talk show dell’attualità a TV3. Dietro l’immagine della sua Ferrari, Montezemolo non riusciva a nascondere la sua pochezza umana (Dio mi perdoni, il mio non è un giudizio, è un grido!). E che? la beneficenza si ammanta del fastigio di un magnate,  prende il posto della politica, si avvale dei media, e noi dobbiamo sorbire tanto scempio? La beneficenza la facciano i poveri tra di loro…. Sanno farla: ècrasez l’infame.