lunedì 26 settembre 2011

a) Quale liberazione delle donne. b) Benedetto XVI al Bundestag

Due argomenti scottanti dell'oggi attraverso due stralci
a) Quale liberazione delle donne
"L’economia di mercato, nella quale non esistono per principio beni indisponibili, rischia di essere il grande e unico motore delle azioni e delle emozioni di una parte della generazione di giovani e ragazze che si sono formate con la tv, dove i modelli per uomini e donne sono quelli e quelle che riescono a finire dentro la scatola, non importa a fare e a dire cosa.
E, ciò che trovo ancora più inquietante, questa visione del mondo è percepita come una delle conseguenze della lotta di liberazione delle donne e quindi come una scelta di libertà".
Monica Lanfranco ne “Il Paese delle donne” 23|09|11

b) "Il testo di Benedetto XVI al Bundestag è una lezione sullo “Stato liberale di diritto” imperniata sulla distinzione tra legge e diritto. La legge (e il principio di maggioranza che ne sta alla base) è solo una delle modalità di produzione del diritto a fianco di altre, ma soprattutto va ancorata al diritto: anche nello stato democratico non vi è di per sé un automatismo che garantisca tale obiettivo, che ne eviti il rischio di onnipotenza.
Benedetto XVI parte anzitutto da una definizione degli obiettivi del politico, che è al tempo stesso alta e parziale: «Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. «La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace».
Non c’è qui l’idea monarchica del monopolio della politica sul bene comune, l’impegno per la giustizia crea condizioni di fondo per la pace che non sono autosufficienti, che hanno poi bisogno dell’apporto poliarchico delle persone e delle formazioni sociali.
….
Ma alla fine cosa resta effettivamente di vitale nell’eredità del diritto naturale? Benedetto XVI precisa così il nucleo permanente: «l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire».
Non c’è quindi una definizione quasi per materie come recentemente è stato più volte tentato (vita, famiglia, scuola) gerarchizzando i temi. C’è una ricostruzione per idee-guida che attraversano la realtà civile e politica.
Un’eredità non solo del cristianesimo, ma anche di due documenti “laici” puntualmente richiamati: la Dichiarazione dell’Onu del 1948 e la Legge fondamentale tedesca. In altri termini cattolicesimo e liberalismo si alimentano bene a vicenda se il primo riesce a riproporre il tema dei limiti al potere in modo non fondamentalista, rispecchiando così l’origine del diritto naturale nettamente alternativa al diritto religioso-sacrale e se il secondo evita di cadere nel mito dell’onnipotenza della legge, un fondamentalismo laico diffuso a destra come a sinistra che dà vita a una forma di stato che “assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre”.
Il destino del diritto non è il destino della legge. Il destino del diritto non è il destino dello stato. Diritto, legge e stato non si sovrappongono. Il diritto sussiste e si genera anche fuori del comando della legge dello stato che, anzi, gli è sottoposto. La sovranità del diritto e non quella dello stato e della legge è alla radice dello stato liberale. Lo stato liberale di diritto è insomma una sfida per tutti."  (S. Ceccanti)

domenica 18 settembre 2011

La follia di Gesù: Settimana Alfonsiana: 24 settembre-2 0ttobre 2011 a Palermo

Il tema è la follia di Gesù. Ne scrivono i Vangeli e in particolare Marco 3,21: “I suoi uscirono per prenderlo; dicevano infatti: È fuori di sé”. Sacerdoti, scribi e  farisei, nonché i parenti e appartenenti al suo clan, lo giudicavano un pazzo: un esaltato, un radicale estremista, un dissacratore di tradizioni religiose e etiche, un perturbatore della vita buona nei villaggi della Galilea. Non tutti, in verità, vedevano in Gesù un folle. Per coloro che lo seguivano, almeno  per loro, Gesù era un incantevole sognatore, un seducente affabulatore di un mondo e di un’umanità straordinari cui solo lui sapeva dare corpo e figura credibili. Invece sacerdoti e farisei non impiegarono molto a convincersi che di Gesù bisognava disfarsi al più presto e con ogni mezzo, perché pericoloso per il tempio e la nazione.
Perché Gesù era ritenuto un pazzo? Che genere di follia era la sua? Per comprenderlo basta aprire i Vangeli in cui egli proclama senza ambiguità: Beati i poveri, guai ai ricchi; amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano; a chi ti schiaffeggia sulla guancia destra porgi anche la sinistra; a chi ti chiede la tunica lasciagli pure il mantello; maledice il fico perché, fuori stagione, non produce frutti; soprattutto scaccia dal tempio i mercanti che l’hanno ridotto a una spelonca di ladri  e, senza paura, grida in faccia ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “i gabellieri e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio”.
In realtà, all’inizio della follia di Gesù c’è il suo annuncio che il regno di Dio è venuto, è presente  tra gli uomini nelle città. Il regno di Dio, infatti, è Lui stesso, Gesù, che fa udire i sordi e parlare i muti, camminare gli zoppi e risorgere i morti, che dà la vista ai ciechi e il Vangelo ai poveri.  Un evento inedito e sconvolgente perché travolge il mondo esistente e l’ingiustizia su cui è costituito: mentre dà luogo a un’umanità nuova che la sua parola e i suoi gesti lasciano intravedere.
Infine, dire che Gesù è fuori di senno significa svuotarlo di ogni credibilità. E ridurlo a un pupo di cui ci si può prendere gioco. Come avvenne nel pretorio di Pilato quando lo spogliarono e gli misero sulle spalle una clamide, sul capo una corona di acanto e nelle mani per scettro una canna e gli si prostravano. Per burla, per spasso. Non c’è dubbio: Gesù è folle. Come lo sono anche coloro che gli vanno dietro: da Francesco d’Assisi a Alfonso de Liguori a Giuseppe Puglisi.
(Nino Fasullo)

sabato 10 settembre 2011

Il congresso eucaristico 4-11 settembre ad Ancona

Ho poco da aggiungere a quanto è diffuso come notizia e presentazione, anche attraverso i media, sul congresso eucaristico. Ma, avendo letto anche sul punto di vista delle comunità di base, sento il bisogno di sottolineare le mie impressioni circa le divaricazioni esistenti tra chiesa istituzionale e la cosiddetta chiesa del dissenso, dato che l’argomento è uno, se non il primo, dei capisaldi fondanti della fede: la comunione cristiana attraverso l’eucarestia.
C’è in larga parte dell’intellettualità critica dei cristiani del dissenso pessimismo esasperato nei riguardi dell’istituzione ecclesiale. Questa sarebbe condizionata dal potere e  collusa con i poteri mondani; giudizio solo in parte accettabile se si considerano le compromissioni con essi da parte di certa alta gerarchia.
Ragioniamoci. Si tratta di capire la necessità che il gigantesco apparato istituzionale ha di mantenere la stabilità attraverso l’ordine, garantito dalla fermezza di alcuni principi teorici e pratici. Ma riteniamo che davvero siano maturi i tempi perché possa reggersi una chiesa tutta spirituale, conviviale, messianicamente evangelica, senza una rigorosa disciplina? Il dramma verte sul fatto che la chiesa non può essere un’istituzione come lo sono tutte le forme di potere; la sua sostanza resta la forza dello Spirito, il quale agisce nei singoli e nella loro condivisione fraterna del cibo spirituale che trascende la realtà terrena e la vivifica dall’interno dei cuori umani.
Una chiesa tutta spirituale è possibile nei piccoli focolai dei vari raggruppamenti, sia dentro la chiesa sia ai margini di essa. In essi c’è però il pericolo di trincerarsi nell’utopia di un dover essere che crea altro tipo di vincoli non sempre liberanti. Leonardo Boff, come riportato nel sito delle cdb, propugna “un cristianesimo come cammino spirituale” e come comunità profetica la quale, come afferma Peyretti, deve rovesciare ogni gerarchia e dilatarsi nel servizio fraterno il cui fulcro è l’eucarestia, ridotta a semplice simbolo di concreta condivisione.
Se c’è un appunto da fare a questa proposta di utopia del Regno è il giudizio tranchant, dal sapore intellettualistico e superbamente raffinato contro ciò che si opera nella chiesa di massa (chiamiamola pure così). Allora si parla di chiesa in disfacimento e quant’altro.
Più semplicemente ci si può augurare che ci siano, sì, spiriti critici e cultori della profezia, ma a condizione di non disprezzare tutto ciò che è e fa la chiesa-dei-più.
In quest’ultima ci sono tanti spazi e soprattutto tante opportunità: la sua diffusione capillare permette visibilità, possibilità di farsi raggiungere fisicamente in luoghi niente affatto, o comunque non sempre, alienanti; il fervore comunitario non sarà, a volte, di “alta qualità”, ma spesso non è limitatamente consolatorio e devozionalistico. Nella chiesa della gente, come mi piace chiamarla, io ho incontrato fede sincera, tanta umiltà, semplicità, bontà, aiuto vicendevole (costante); in essa si dà all’eucarestia la centralità e il senso del Risorto presente e operante nei cuori, e si vive il contatto con la trascendenza nella professione condivisa di una fede vissuta.
Mi auguro che i veri profeti si trasferiscano… dentro questa chiesa, non chiudendo gli occhi di fronte al bene che c’è e che può perfezionarsi solo se si sa coniugare una visione attenta e vigile nei riguardi della degenerazione della mondanità ecclesiastica, con la consumazione dello stesso Pane di Vita.