sabato 27 dicembre 2014

IUn papa da ascoltare (senza fantismi)


Bergoglio come Giovanni Paolo I: "Dio è mamma".
Poi il monito sul clima: "Tempo quasi scaduto"
Il 14 febbraio il prossimo Concistoro

CITTA' DEL VATICANO -Davanti ai cambiamenti climatici in atto, "il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo". E' questo il monito lanciato da Papa Francesco nel suo messaggio alla ventesima Conferenza degli Stati che partecipano alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che si tiene a Lima in Perù. 
L'obiettivo del messaggio di Bergoglio, da sempre sensibile alle tematiche ambientali (ai quali ha dedicato anche un passaggio del suo discorso al Parlamento europeo) è quello di spronare tutti gli Stati del mondo ad agire prima che i danni provocati dai cambiamenti climatici siano irreparabili. Le conseguenze dei cambiamenti ambientali - ricorda il Papa - che già si sentono in modo drammatico in molti Stati, soprattutto quelli insulari del Pacifico, ci ricordano la gravità dell'incuria e dell'inazione. Per superare l'impasse serve una risposta collettiva capace di mostrare la responsabilità di proteggere il pianeta e la famiglia umana. Occorre dunque un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire". Con lo stile chiaro e diretto che lo contraddistingue, Bergoglio chiede che vengano superati gli interessi e i comportamenti particolari e si sviluppi una discussione libera da pressioni politiche ed economiche. E ricorda i tre valori che devono essere alla base di qualsiasi ragionamento sul tema: giustizia, rispetto ed equità.

Ma oggi dal Vaticano è giunta anche un'importante notizia che riguarda la vita della Chiesa: il Papa ha deciso che il Concistoro di febbraio per la creazione di nuovi cardinali ci sarà il 14 e 15 febbraio prossimo e sarà preceduto nei giorni 12 e 13 dello stesso mese da una riunione plenaria del Collegio cardinalizio, come già avvenuto l'anno scorso in occasione del
suo primo Concistoro. Ancora non sono noti i nomi dei nuovi cardinali, che, come ricordato oggi dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi, saranno comunicati direttamente dal Papa, in genere circa un mese prima del concistoro. Il 9, 10 e 11 febbraio inoltre si riunirà il 9 (il Consiglio dei 9 cardinali che assistono Papa Francesco nel governo della Chiesa) e il 6,7 e 8 la Commissione per la tutela dei minori, costituita dal Pontefice per la lotta al fenomeno della pedofilia, che dovrebbe avere nella sua composizione definitiva 18 componenti.
 
Questa mattina, durante la quotidiana omelia durante la messa alla Domus Santa Marta, la residenza scelta da Bergoglio, il Papa ha voluto ripetere, 36 anni dopo, le parole scelte da Giovanni Paolo I, Albino Luciani, il Pontefice che ha guidato la Chiesa per solo 33 giorni. E' tanta la vicinanza che Dio si presenta come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino, ha detto Bergoglio, che ha descritto l'amore di Dio con l'immagine di una mamma che canta la ninna nanna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c'è lì di grande. Papa Luciani fu il primo ha elaborare questo concetto durante l'Angelus del 10 settembre 1978 quando disse: "Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile, Dio è papà, più ancora è madre". Bergoglio, nello stile, sembra richiamarsi molto a Giovanni Paolo I che, è passato alla storia per il rifiuto la pompa pontificia, i discorsi improvvisati, il 'question time' con i bambini, la sua umiltà. Quante volte - ha domandato il Pontefice ai fedeli della parrocchia romana che partecipava alla celebrazione di questa mattina - una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza, eh? E lo carezza, e lo fa più vicino a lei. E Dio fa così. E' la tenerezza
 di Dio. E' tanto vicino a noi che si esprime con questa tenerezza: la tenerezza di una mamma. Dio ci ama gratuitamente come una mamma il suo bambino. E il bambino si lascia amare: questa è la grazia di Dio.

mercoledì 17 dicembre 2014

I dieci comandamenti letti da Benigni

Ringrazio L. Tommaselli dell'articolo che mi ha fatto pervenire e lo diffondo, anche se non concordo con Maggi nella conclusione [Leggi in fondo]

Dopo la lettura di Benigni i 10 comandamenti non sono più gli stessi
Di p. Alberto MAGGI
Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana - la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.
Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè.
Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.
Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso.
Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.
La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.
“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento alle dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.

Mio commento al commento attraverso una domanda: chi può praticare un amore uguale a quello di Dio, se per prima cosa non attinge al Suo amore? Forse la “novità” di Gesù consiste nell’avere –profeticamente- riletto il vero volto del Dio dell’AT.
Ma aggiungo un altro forse: Gesù, per lanciare il suo messaggio, sentiva il bisogno di ritirarsi in preghiera… E’ questa che manca all’umanità nel suo smarrimento di ogni principio.  
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L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it ) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.

Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita

lunedì 15 dicembre 2014

Via Dogana chiude

Chiude la storica rivista «Via Dogana»: fermiamoci a pensare, la realtà cambia
venerdì, 12 dicembre 2014
http://27esimaora.corriere.it
«Ci siamo fermate per pensare, come un treno che sosta nella campagna. Ma poi si riparte? si chiedono i viaggiatori. La risposta non è necessariamente sì, potremmo anche decidere di fare altre cose… ». Luisa Muraro, filosofa e scrittrice italiana, usa una semplice metafora per raccontare una decisione inaspettata e (per molte donne) sconcertante, la chiusura della storica rivista Via Dogana, tra le voci più autorevoli del femminismo della differenza. Ventiquattro anni di riflessioni, senza contare i primi numeri del lontano 1980. Sconcertante e per certi versi misteriosa perché, come è scritto nell’ultima pagina dell’ultimo numero appena stampato, non è una questione di soldi (il bilancio è in attivo), né di passaggio all’on-line (esiste già il sito www.libreriadelledonne.it ), né di contrasti interni. Il problema è la rispondenza meno forte e meno sentita fra la rivista e quello siamo oggi. «Le donne sono ovunque» recita il titolo del numero 111 con le donne del Mali che danzano in copertina. E dunque occorre percorrere strade nuove.
Come scrive Vita Cosentino nell’editoriale, è un cambiamento che ci invita a prestare attenzione a situazioni (alcune non viste) altre drammaticamente presenti (come il fanatismo religioso armato). Un processo che richiede forme politiche inedite che ispirino e/o coincidano con nuove forme di convivenza nel tentativo di capire come sia possibile uscire dalla logica dei rapporti di forza. Precisa il comunicato dell’ultima pagina: «La scommessa del primo numero di questa serie, cominciata nel giugno 1991, resta aperta:la politica è la politica delle donne. La decisione ora presa di fermarci, sarà di aiuto a rigiuocarla meglio? È un rischio che, insieme alle altre, abbiamo accettato di correre; meglio fermarsi piuttosto che entrare nel ciclo della ripetizione restando attaccate a noi stesse più che alla realtà che cambia». Un cambiamento cui la rivista ha contribuito con la certezza di non essere ancora arrivate in porto perché l’essenziale non è raggiunto.
Dice Luisa Muraro: «Nella società di oggi vedo luci e ombre: rispetto ai turbamenti e agli squilibri, fecondi anche per gli uomini seppure difficili da gestire, portati da molte femministe negli anni Settanta, oggi altri squilibri premono… L’equiparazione delle donne agli uomini è un processo avviato sui suoi binari con soddisfazione in molti campi ma è anche foriero di nuove ingiustizie per le donne. Che sono chiamate ad adeguarsi a una cultura e a una politica disgraziate. Certo, l’equiparazione mette a posto qualcosa, le disuguaglianze erano fonte di clamorose ingiustizie e risentimenti. La visibilità pubblica è un dato positivo come i buoni risultati raggiunti nel mondo della genitorialità con gli uomini sempre più coinvolti»
Eppure restano irrisolti i nodi di fondo. Prosegue Luisa Muraro: «Alle donne viene chiesto di adattarsi a un mercato del lavoro che è ingiusto verso tutti e a una politica discreditata, qui in Italia più che altrove. La stessa cosa accade nelle religioni: in una società decristianizzata come quella europea, le donne vengono chiamate a fare i vescovi… Tra poco potrebbe accadere anche nella chiesa cattolica. Le donne cioè vengono invitate a fare da supporto a qualcosa molto malmesso. E quindi sacrificano le possibilità in più che hanno. Facevano una figura migliore Tina Anselmi o Nilde Iotti! Le donne oggi non possono far fiorire le loro doti».
Che fare dunque davanti a tutto questo? Un numero ricco, innanzitutto, che cerca di trovare una spiegazione all’affermarsi del sedicente stato islamico, una barbarie di cui i musulmani e le donne sono le prime vittime, come scrive Aicha El Hajjami. E approfondisce le diverse politiche nei confronti della prostituzione, dal proibizionismo svedese alla legalizzazione tedesca. O ancora descrive due grandi senza autocelebrazioni, Maria Giovanna Piano e Mariolina Fusco, a capo di un’impresa che ha messo al centro il lavoro e colloca la Sardegna in una dimensione europea, l’IFOLD (Istituto formazione lavoro donne).
Ora è comprensibile che le singole donne spendano le loro energie per inserirsi e adattarsi, ma la rivista mantiene la sua radicalità di pensiero. E dunque per quanto sia apprezzata non trova più sufficiente rispondenza presso le donne. E gli uomini? Risponde Luisa: «Presso gli uomini non abbiamo mai trovato una rispondenza adeguata, né a destra, né a sinistra, dove persiste una tenace misoginia, una sorta di omosessualità mentale. Certo, c’è sempre stata una minoranza di uomini amici delle donne che hanno intuito come la presenza femminile sia essenziale per l’umanità»
Fermarsi per pensare, dunque, ma non solo. «Io personalmente – conclude Luisa Muraro – voglio fare posto a quelle più giovani o più silenziose che finora hanno delegato a parlare donne come me. Questa delega non va bene, per questo ho fatto un passo indietro. La decisione di chiudere è stata accettata, ma non tutte erano d’accordo. Sono arrivate qui per discutere da tutt’Italia e alcune avrebbero voluto continuare. In fondo è solo finita la seconda serie: è possibile riprendere con un nuovo slancio e nuove idee, ma questa volta senza di me!»
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«Noi femministe distanti dalle donne»
http://27esimaora.corriere.it
Non è da tutti. Chiudere dopo 25 anni una rivista di qualità, che gode di una costante attenzione, ha un bilancio in attivo e soprattutto è un punto di riferimento per il femminismo della differenza — corrente di pensiero che smonta la pretesa neutralità e universalità del linguaggio, ponendo l’accento sulla realtà incontrovertibile della differenza più radicale, ovvero la differenza sessuale — in Italia e non solo. Eppure accade, sceglie di fare un passo indietro la filosofa Luisa Muraro, classe 1940, fondatrice della rivista Via Dogana e da sempre tra le sue ispiratrici. «Non è da tutti. La indicibile fortuna di nascere donna» era il titolo di uno dei tanti libri che ha scritto. «Era una frase di un’operaia romena immigrata — ricorda Luisa Muraro nella Libreria delle donne di via Calvi 29 —, ribaltava il malheur, la sventura di cui parla Simone Weil. E invece la sua inquietudine nutrirà il XX secolo trasformandosi in bonheur per tutte noi».
Come mai questa decisione di chiudere «Via Dogana»?
«La mia esigenza è di fare vuoto, fare silenzio. La ragione principale emersa durante un’affollata assemblea è la mancata rispondenza tra la rivista e quello che siamo oggi. Ecco perché ci siamo fermate, per pensare. Siamo consapevoli di avere lanciato idee buone, dobbiamo aspettare che si radichino. Lia Cigarini, donna di grande autorità, ha detto: “Non siamo rimaste indietro, siamo andate troppo avanti”. Ha ragione, ci sono idee incarnate nelle nostre esperienze che non si sono diffuse».
Per esempio?
«L’idea che con l’autorità si possano sgretolare certe istituzioni del potere politico, religioso, massmediatico. Come dice Vita Cosentino, che firma l’editoriale dell’ultimo numero, “massima autorità con minimo di potere”. O l’idea che l’equiparazione all’uomo non salva la ricchezza potenziale delle donne. O ancora, l’idea della potenza simbolica: non ci sono solo soldi, armi, successo. Non sono spiritualista ma conta l’efficacia di certe parole, si vede con papa Francesco, non è certo femminista, ma ha forza spirituale, il Vangelo nel cuore».
«Le donne sono ovunque» si intitola il numero 111, l’ultimo. Che cosa significa?
«Che c’è bisogno di ascoltare, di capire. Un mese fa sono stata a Rabat, a un convegno internazionale di donne nel cuore dei monoteismi, ebraico, cristiano e musulmano. Queste donne si trovano nella stretta tra l’emancipazionismo occidentale, spesso pretesto per portare la guerra in quei Paesi, e il fanatismo armato. A loro corrisponde e dà parola il femminismo della differenza».

E le giovani donne che oggi vanno avanti, acquistano visibilità, potere?
«Danno lustro a una baracca che sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di qualità. Nilde Iotti o Tina Anselmi erano un’altra cosa. Oggi prevale l’accontentarsi, sei ministra, sottosegretaria, ti basta. Del resto il criterio per gli uomini è scegliere le più “addomesticabili”. La domanda è: siamo noi a mancare di fiducia e aspettative nei confronti di queste donne o sono loro davvero deludenti? Certo, noi nate tra il 1935 e il 1955 siamo una “generazione fortunata”, come ha scritto Serena Zoli. Quelle venute dopo hanno davanti un cammino in salita. A loro cerchiamo di dare sostegno e incoraggiamento, lo ha fatto Renzi in quel modo lì, noi abbiamo altri mezzi e altri orizzonti».
Un passo indietro al 1991: come nasce «Via Dogana»?
«Nasce perché un’amica romana, Rosetta Stella, mi dà 20 milioni di lire per un’impresa politica. La Libreria era già consolidata, esisteva dal ‘75, così proviamo a mettere insieme le nuove idee e le nostre pratiche. Da quella dell’affidamento, che superava l’idea logora della sorellanza, alla riscoperta della relazione con le madri biologiche o all’esplorazione del passato e delle grandi madri simboliche, scrittrici e mistiche. Sempre avendo in testa che se c’è una politica è la politica delle donne».
Ma gli uomini?
«Non li abbiamo mai esclusi, né abbiamo mai creduto nel separatismo. Il primo uomo a comparire su Via Dogana è stato uno storico del Medioevo, Paolo Golinelli, che ha scritto un articolo sulla genealogia femminile di Matilde di Canossa. È importante che gli uomini prendano coscienza della differenza sessuale. Solo così viene meno quella sorda omosessualità mentale che poi sfocia nel politically correct verso le donne, quanto mai fastidioso».

lunedì 24 novembre 2014

Una giovane artista

Do spazio ad una giovane artista per la presentazione del suo blog
ifollettidiboscofatato.blogspot.it/ 

Il mio blog I Folletti di Bosco Fatato (clicca sul nome per accedere), è una vetrina di articoli fantasy ispirati al mondo delle fiabe, del fantastico ed al mondo naturale.
Vi sono folletti, elfi e creature fantastiche  scolpite in pasta polimerica cotta in forno, dipinte e abbigliate, montate su strutture metalliche  imbottite che permettono il cambio di posa e di movimento realizzate interamente a mano. 
Ogni creatura è unica (ooak significa one of a kind).
Nel blog è presente una pagina, Creature ooak, dove è illustrata la realizzazione di queste figure. Ogni personaggio possiede carattere e qualità particolari, proprio come avviene nelle fiabe e "dona" a chi le adotta una serie di qualità o capacità specifiche.
Oltre alle sculture, ci sono gioielli particolari (pagina Gioielli e amuleti ) ispirati al mondo naturale, ai colori del bosco in autunno, a personaggi mitici ed incantati, ad elementi quali la terra e l'acqua.
Ci sono poi ciondoli per bambine ispirate al mondo fiabesco ed alle principesse (pagina regalini per bambine), piccole fatine fiorite realizzate a mano in pasta polimerica (pagina bomboniere e idee regalo), ciondoli in forma di drago fatato ed altri piccoli oggetti da indossare (pagine Draghi fatati e Stregosità).

mercoledì 19 novembre 2014

Sabato 22 Novembre 2014 

ore 10.00 e 21.00 a Milano,

presso il Nuovo Teatro Ariberto, Via Daniele Crespi 9 (MM2, fermata Piazza S. Agostino)


debutta lo spettacolo "Undici ore d'amore di un uomo ombra",


messo in scena dalla Compagnia Karakorumhttp://www.karakorumteatro.it/)

 Liberamente tratto dall'omonimo libro di Carmelo Musumeci  (www.carmelomusumeci.com)

Ingresso libero fino a esaurimento posti.


martedì 11 novembre 2014

Nel sito NOIDONNE
un articolo. NOIUOMINI
"Favoloso" Leopardi: le parole, il corpo e gli stereotipi

"...dimensione della dolcezza delle parole, del loro ritmo, della loro musicalità,..."
inserito da Gianguido Palumbo Pagi


“Il Giovane Favoloso” del regista Martone: in una presentazione del suo ultimo bel film su Leopardi, il regista napoletano ha proposto un inedito e provocatorio paragone sostenendo che appunto Leopardi potrebbe essere considerato il Pasolini dell’Ottocento italiano ed europeo. Proverò a scrivere di questo film in questo terzo articolo per riflettere sulla figura maschile di Leopardi come Martone e Germano ce l’hanno riproposta.
Mi sembra opportuno e coerente in questa rubrica analizzare la figura di un personaggio italiano così famoso quanto banalizzato e stereotipato nelle nostre coscienze: il regista e l’interprete del film sono riusciti a farci superare proprio quello stereotipo re-interpretando Leopardi come uomo giovane e come intellettuale e scrittore dalle doti davvero stra-ordinarie. E penso soprattutto all’influenza che spero stia avendo su migliaia di ragazzi la proiezione del film in centinaia di Scuole Superiori italiane che lo hanno richiesto.
Ritorno alla questione della fisicità che ho proposto nell’articolo precedente dedicato a Pasolini. Nel film di Martone-Germano, la malattia ed il progressivo deterioramento del corpo di Leopardi diventano quasi un veicolo di forza, di “disperata vitalità” reattiva da parte di un ragazzo, di un ventenne, venticinquenne e poi viva via fino alla morte poco più che quarantenne. La grande cultura accumulata, digerita e rielaborata, la sensibilità umana e poetica, la voglia di vivere, di uscire dal guscio paterno della grande casa, il bisogno di viaggiare e scoprire, come sono rappresentati nel film, ci propongono un Leopardi giovane uomo non bello ma assolutamente vitale e a suo modo molto forte in un particolarissimo abbinamento della forza con la dolcezza. E qui sta il punto che mi sembra ancora oggi di grande stimolo per noi, per noi uomini del 2014, di qualsiasi età.
Leopardi (almeno come raccontato e reinterpretato nel film) era un uomo in cui una mente eccelsa in un corpo malato esprimevano al contempo valori che difficilmente riusciamo a vivere in noi : intelligenza, sensibilità, forza, dolcezza.
Non sono certo uno studioso di Leopardi da poter permettermi una vera e propria analisi di un personaggio così complesso in poche righe ma rileggendo (a casa, subito dopo la visione del film) alcune sue pagine, prose e poesie, ho creduto di scoprire proprio questa dimensione della dolcezza delle parole, del loro ritmo, della loro musicalità, che arricchiva la bellezza e la forza dei “contenuti”, dei pensieri, delle emozioni espresse in quelle parole. E non si trattava solamente del più famoso verso finale dell’Infinito “e naufragàr m’è dolce in questo mare”. Non sempre la malinconia di una persona e di un poeta o di un artista sono “dolci” e non sempre la “dolcezza” è un valore umano: credo dipenda dall’abbinamento con altre dimensioni della personalità, soprattutto se maschile.

Provo a immedesimarmi in uno di quei ragazzi diciottenni che in tutta Italia stanno vedendo il film rimanendone stupiti : Leopardi che si sdraia sul prato e quasi contorcendosi ammira il cielo e gli alberi eppur sorride e sogna ? Leopardi che cerca di scappare di casa eccitato dal desiderio di libertà ? Leopardi che urla in faccia al padre ed allo zio che quella casa è una gabbia insopportabile ? Leopardi che trema d’amore e solo dopo scrive versi dolcissimi ? Leopardi che reagisce con forza e con orgoglio davanti a colleghi scrittori e intellettuali chiedendo rispetto per le sue idee e non per la sua malformazione ? Leopardi giovane uomo, maschio, pieno di desideri e non solo di pensieri ? Lo stupore probabilmente si trasforma in immedesimazione, in riflesso di una identità multipla, contraddittoria, molto più ricca e varia dello stereotipo innocuo, inutile, insignificante, di un ormai lontano Grande Poeta dell’Ottocento Italiano. Ed infine era sempre lo stesso Leopardi anche quello che, da grande intellettuale moderno e non solo poeta, proponeva una Lode al Dubbio (130 anni prima di Bertold Breckt ) in un passo del suo Zibaldone firmato 1821 : “La nostra ragione, non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”.

sabato 1 novembre 2014

Famiglia Cristiana RACCONTA

[l’evidenziazione in questo colore è aggiunta mia; le altre, in rosso, sono mie semplici evidenziazioni]

1) FRANCESCO CHIUDE I LAVORI, IL TESTO INTEGRALE
19/10/2014

Eminenze, Beatitudini, Eccellenze, fratelli e sorelle,  [come sarebbe bello includere tra i fratelli e le sorelle le  Eminenze, Beatitudini, Eccellenze! Sarebbe una bella lezione per i titoli laici come l’infausto epiteto Onorevoli che sarebbe da esorcizzare con Totò: Ma mi faccia il piacere!]
Con un cuore pieno di riconoscenza e di gratitudine vorrei ringraziare, assieme a voi, il Signore che ci ha accompagnato e ci ha guidato nei giorni passati, con la luce dello Spirito Santo!
Ringrazio di cuore il signor cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo, S.E. Mons. Fabio Fabene, Sotto-segretario, e con loro ringrazio il Relatore il cardinale Péter Erd , che ha lavorato tanto anche nei giorni del lutto familiare, e il Segretario Speciale S.E. Mons. Bruno Forte, i tre Presidenti delegati, gli scrittori, i consultori, i traduttori e gli anonimi, tutti coloro che hanno lavorato con vera fedeltà dietro le quinte e totale dedizione alla Chiesa e senza sosta: grazie tante!
Ringrazio ugualmente tutti voi, cari Padri Sinodali, Delegati Fraterni, Uditori, Uditrici e Assessori per la vostra partecipazione attiva e fruttuosa. Vi porterò nella preghiera, chiedendo al Signore di ricompensarvi con l'abbondanza dei Suoi doni di grazia!
Potrei dire serenamente che - con uno spirito di collegialità e di sinodalità - abbiamo vissuto davvero un'esperienza di "Sinodo", un percorso solidale, un "cammino insieme".
Ed essendo stato "un cammino" - e come ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la meta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cf. Gv 10 e Cann. 375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli. Momenti di consolazione e grazia e di conforto ascoltando e testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e hanno condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti. E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni, delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità:
- una: la tentazione dell'irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti - oggi- "tradizionalisti" e anche degli intellettualisti.
- La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei "buonisti", dei timorosi e anche dei cosiddetti "progressisti e liberalisti".
- La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf. Gv 8,7) cioè di trasformarlo in "fardelli insopportabili" (Lc 10, 27).
- La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio.
- La tentazione di trascurare il "depositum fidei", considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall'altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano "bizantinismi", credo, queste cose...
Cari fratelli e sorelle, le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato - e addirittura chiamato Beelzebul (cf. Mt 12, 24) - i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore.
Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant'Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d'accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato - con gioia e riconoscenza - discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la "suprema lex"la "salus animarum" (cf. Can. 1752). E questo sempre - lo abbiamo detto qui, in Aula - senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l'indissolubilità, l'unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l'apertura alla vita (cf. Cann. 1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48).
E questa è la Chiesa, la vigna del Signore, la Madre fertile e la Maestra premurosa, che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini (cf. Lc 10, 25-37); che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone. Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cf. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste.
Questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita, e questo non deve essere visto come motivo di confusione e di disagio.
Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l'altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell'unità e dell'armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori.
E, come ho osato di dirvi all'inizio, era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti.
Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi... Dunque, il compito del Papa è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge - nutrire il gregge - che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere - con paternità e misericordia e senza false paure - le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle.
Il suo compito è di ricordare a tutti che l'autorità nella Chiesa è servizio (cf. Mc 9, 33-35) come ha spiegato con chiarezza Papa Benedetto XVI, con parole che cito testualmente: «La Chiesa è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo ... attraverso i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge: è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione con il Successore di Pietro ... partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, "curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il Vangelo la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati" (Presbyterorum Ordinis, 6) ... è attraverso di noi - continua Papa Benedetto - che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida. Sant'Agostino, nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni, dice: "Sia dunque impegno d'amore pascere il gregge del Signore" (123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cf. S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l'infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cf. Id., Lettera 95, 1)» (Benedetto XVI, Udienza Generale, Mercoledì, 26 maggio 2010).
Quindi, la Chiesa è di Cristo - è la Sua Sposa - e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore - il "servus servorum Dei"; il garante dell'ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso - il "Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli" (Can. 749) e pur godendo "della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa" (cf. Cann. 331-334).
Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie.
Un anno per lavorare sulla "Relatio synodi" che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come "Lineamenta".
Il Signore ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del Suo nome con l'intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe! E per favore non dimenticate di pregare per me!

2) RISPOSATI E GAY, MONSIGNOR MOGAVERO:  IO STO CON PAPA FRANCESCO 
22/10/2014
Il Sinodo dei Vescovi ha immesso un provvidenziale fermento nell’opinione pubblica, cattolica e non. E ciò per almeno due ragioni: per il tema trattato (Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione) e per le risonanze mediatiche che ha suscitato. Il tema non riguardava i punti fermi della dottrina e del magistero sul matrimonio e la famiglia, ma le sfide, appunto, che al matrimonio e alla famiglia pongono la persona e il nostro tempo. Pertanto, chi ha contestato la mancata riaffermazione dell’indissolubilità del matrimonio a quanti si sono soffermati sull’analisi delle diversificate complesse realtà esistenziali, non ha centrato il bersaglio; questi fondamenti, infatti, non erano e non sono messi in discussione. 

Quanto ai media, spiace osservare che hanno impoverito e radicalizzato il confronto libero e chiaro, riducendo la riflessione, avviata con la consultazione delle Chiese locali attraverso il questionario diffuso lo scorso anno, al dilemma secco: comunione ai divorziati risposati, sì o no? Da ciò ne è seguito un certo disorientamento in talune realtà ecclesiali, come se la riflessione sulle criticità della famiglia e sulle unioni civili e omosessuali minasse i principi dottrinali. In aggiunta, alcuni ambienti culturali hanno ostentato un attaccamento al magistero di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per delegittimare, o almeno indebolire Papa Francesco, del quale si è tentato, perfino, di invalidare l’elezione. 
In questo stato di cose, sottolineare il clima nuovo che ha caratterizzato questo Sinodo e l’appello all’accoglienza, al rispetto, alla misericordia e alla tenerezza è stato bollato come ipocrisia e come attentato ai valori del matrimonio e della famiglia. Perché? E chi sarebbero i difensori del matrimonio e della famiglia, forse quelli che con toni sguaiati e con atteggiamenti aggressivi si scagliano contro chi non la pensa come loro? In ogni caso, io sto con papa Francesco, preferendo la sintonia con lui al consenso di quanti - devoti e non - hanno paura del nuovo.

sabato 25 ottobre 2014

La chiesa e la famiglia

di J.M. Castillo su LA CHIESA E LA FAMIGLIA

Che cosa vuole risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la famiglia in questo momento?
Come è logico, la prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è che i problemi trattati al Sinodo non sono quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza delle famiglie nel mondo.
L'angoscioso problema della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con cui arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno, questi argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto ci risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle commissioni o sessioni del Sinodo.
Questo dà motivo di pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che quelli che hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che possono dare l'impressione di essere più preoccupati per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per le sofferenze e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche più di quante immaginiamo.
Non è necessario essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi logicamente la domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli argomenti che ho appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli economisti e dai politici.
Anche nell'ipotesi che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente l'economia e la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i politici? Ed allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della gente, i diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo o dobbiamo far nulla?
Questa è la prima grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare soprattutto, e prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi capi. Lo dico per tempo, quando ancora abbiamo un anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando ai problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa? Gente che “si ama”? O gente che “si sottomette”?
Confesso che queste domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io stesso sto vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da quando sono coinvolto in ambienti clericali.
Tanto in Spagna che fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che i problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo. Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono risolti.
Mentre i temi legati all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza, che di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è davanti agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano ad allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze, mentre quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la questione posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in generale, problemi legati al sesso.
Ecco, per fare un esempio, vediamo la differenza di trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci porta – a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni affrontano in maniera tanto diversa i problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle “relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di vista della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa materia, Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto un’unità economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il matrimonio non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era considerato il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad. it., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si concentrava tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea paterna stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo potere.
Più ancora, un figlio non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G. Stein, El Derecho romano en la historia de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente suo questo diritto. In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia, dell’anno 619, definisce il diritto romano come lex mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero sottomettersi tutti i popoli (cf. E. Cortese, Le Grandi Linee della Storia Giuridica Medievale, Il Cigno GG Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in questo contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la Chiesa, man mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato dall'Impero romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo sistema organizzativo quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a quello che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in materia: “La religione è generalmente accettata come un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili” (Walter Burkert, La creación de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la “sottomissione”. E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa sottomissione, i rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono limitati da una religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si può dimostrare che alcuni sono preumani” (op. cit., p. 156).
La sottomissione, a partire dalle società preumane, si esprime creando l'impressione che uno produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra, strisciando, insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato che i rituali religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression, Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad. it., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano 2008]; I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen, Munich, 1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1996]).
Ebbene, la cosa più sorprendente, in tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi base della famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte fanno riferimento tanto alla famiglia quanto alla religione. Sappiamo, infatti, che Gesù, sia per quanto si riferisce alla famiglia sia per quanto riguarda la religione, ha assunto pubblicamente e senza ambiguità un atteggiamento sommamente critico. Mi spiego.
Per quanto riguarda la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti costanti e crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali. A questo si riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi sacerdoti e gli anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e all'esecuzione violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái (Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma i ribelli politici, come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è stato l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la religione di Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione (come il Dio che rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell' “umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e tuttavia non è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello che si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua famiglia furono tese e complicate: i suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo disprezzavano perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra parte, la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno gli dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù fu di dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono in pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per quanto si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire che non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53; 14, 26-27).
Anzi, Gesù arrivò a toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate 'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una proibizione così forte, in quella cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di quel modello di relazioni familiari. I grandi, gli importanti, non sono i “padri” ed i “gerarchi”, ma i “bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire tutto questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano che viene al mondo.
Al contrario, le relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e da sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più bella, più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro e in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione, né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri, con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale comunicazione possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio l'esperienza ci dice che dove c'è affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto conto di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna la domanda iniziale: che cosa vuole la Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente, papa Francesco, convocando e programmando il sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere a problemi urgenti che riguardano migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna supporre che papa Francesco, convocando questo sinodo, esigendo libertà di parola sui problemi e trasparenza nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni sinodali, quello che ha fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di marcia indietro, un processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti che, in questo momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è accaduto è che, non solo si è messo in moto questo processo, ma, oltre a questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa persiste molto vivo un settore importante di clero (a tutti i livelli) e di laici che identificano le credenze cristiane con posizioni immobiliste e intolleranti che, per di più, dal punto di vista della più documentata, sana e ortodossa teologia, sono posizioni indimostrabili.
E, pertanto, posizioni che nascondono pretese inconfessabili di potere e autorità che si orientano di più a mantenere intatta la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare la “libertà” che nasce dall'affetto tra gli esseri umani.
La situazione è delicata. Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella Chiesa.
Però non possiamo stare in modo incondizionato con coloro che identificano il cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di riti sacri, che produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un passato e ad una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in cui viviamo.
Un cristianesimo così, produce persone molto religiose e un clero fedele a gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i privilegi che offre loro il potere politico che con la libertà indispensabile per ottenere una società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo vivere in giustizia e uguaglianza di diritti.
Se il nostro progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e al suo vangelo non abbiamo altro cammino da fare se non l'apertura al futuro che insieme dobbiamo costruire.

Anzi, se amiamo veramente la Chiesa e vogliamo essere fedeli alla “memoria pericolosa” di Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci sta aprendo e tracciando papa Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci porta alla meta a cui aneliamo.