lunedì 29 maggio 2017


Per essere in comunione col

CTI = coordinamento teologhe italiane

Adriana Cavarero – Franco Restaino, Le filosofie femministe, Mondadori, Milano 2002.

Donne disarmanti. Storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi, a cura di M. Lanfranco e M. G. Di Rienzo, Intra Moenia, Napoli 2003.

Non contristate lo Spirito. Prospettive di genere e teologia: qualcosa è cambiato?, a cura di M. Perroni, Il Segno dei Gabrielli, Negarine (VR) 2007.

Dizionario di teologie femministe (edd. Letty Russel – Shannon Clarkson), Claudiana, Torino 2010.

Teologia e prospettive di genere, a cura del CTI, in Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vanticano II, a cura di P. Ciardella – A. Montan, LDC, Torino Leumann 2011, 163- 191.

Dire la differenza senza ideologie (Ciccone, Morra, Perroni, Simonelli, Tomassone, Vantini), in Il Regno – Attualità, 1/2015, 53-65.

Cristina Simonelli, Teologia, differenza e gender: un dibattito aperto in “Studia Patavina” 62 (2015) 73 – 88.


Chi si avventura a leggere le pubblicazioni ricordate si rende conto di una certa diversità nel modo di indicare questi studi: femminista/femminismo risultano sgraditi in contesto latino cattolico (e fra le giovani generazioni, di qualsiasi orientamento) e sono usati con parsimonia. Alcune autrici utilizzano delle circonlocuzioni, come “teologia delle donne” – nomenclatura vicina, del resto, a quella mujerista e womanist, rispettivamente latino e afroamericana. Altre volte è stata preferita la definizione di femminile: non tutti gli scritti che la utilizzano mirano ad addomesticare il discorso e a toglierne le punte più critiche. Si è presto diffuso, praticamente in tutto l’occidente, l’uso di parlare di queste ricerche “in prospettiva di genere”, in dialogo e dialettica con le molteplici posizioni gender/orientate. Così ad esempio il CTI «valorizza e promuove gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico, in prospettiva ecumenica» (Statuto, art. 2). I più recenti tra i repertori sopra indicati discutono anche il significato e l’estensione che a questa formulazione attribuisce il Coordinamento delle Teologhe Italiane e recensiscono anche l’elaborazione della maschilità e gli studi queer.

Ciò che accomuna la maggior parte di questa produzione delle donne/femminista/di genere è comunque un tratto critico e trasformativo.

Ci si potrebbe però avvicinare al tema per altre strade, diverse da quelle dello “stato degli studi”. Ne forniamo qui alcuni esempi, non certo esaustivi e presentati informa più sintetica dei precedenti. Ci si può dunque avvicinare:

con un taglio storico, leggendo le opere che sono ormai dei classici, sia filosofici che teologici: Mary Daly, Al di là di dio padre [1973], Editori Riuniti, Roma 1990; E. Schüssler Fiorenza, In memoria di Lei, [1983] Claudiana, Torino 1990; Anne Carr, Grazia che trasforma. Tradizione cristiana ed esperienza delle donne, [1988] Queriniana, Brescia 1991Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, [1991] Editori Riuniti, Roma 2006; Elizabeth Johnson, Colei che è, [1992] Queriniana, Brescia 1999

oppure con un approccio letterario, che spesso riesce a rendere con parole altre e belle i nodi di un pensiero complesso: Michela Murgia, Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, Einaudi, Torino 2011; Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, Einaudi Stile Libero, 2012.

 oppure privilegiare la via biografica, rintracciando attraverso volti e storie le pratiche che trasformano: Ivana Ceresa, L’utopia e la conserva. Una vita spirituale nella contemporaneità, Tre Lune, Mantova 20011; M. Antonella Grillo – Luisella Lugoboni, Lo straordinario dell’ordinario. Città donne e Chiese: la via italiana di Marisa Bellenzier e Ivana Ceresa, Effatà, Cantalupa (TO) 2013; Cettina Militello, Volti e storie. Donne e teologia in Italia, a cura di M. Agnese Fortuna, Effatà, Cantalupa (TO) 2009.


Infine segnaliamo – ma questa pubblicazione è costantemente in dialogo con questi testi – le Collane italiane: la Bibbia e le donne (Il pozzo di Giacobbe) e i diciotto agili volumi di

Sui generis (Effatà)

 

martedì 23 maggio 2017

ANNIVERSARIO delle stragi di Capaci e via D'Ameloo


UDI / Il contributo delle donne nella lotta contro la Mafia

Nel venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D'Amelio l'Udi ricorda il contributo delle donne

inserito da Redazione


23 MAGGIO 2017 - IL CONTRIBUTO DELLE DONNE
NEL VENTICINQUESIMO DELLE STRAGI DI MAFIA


L’Unione Donne in Italia vuole ricordare il contributo delle donne nella ricerca della verità e della giustizia soprattutto in occasione del Venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.


 

La magistrata Francesca Morvillo, la poliziotta Emanuela Loi, la compagna di una vita di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto.

Le donne vengono spesso liquidate semplicemente come ‘la moglie di’ oppure la ‘poliziotta’, noi vogliamo ricordarle nel loro impegno concreto.

Pensiamo a Francesca Morvillo che sposò Giovanni Falcone e pochi ricordano che fu essa stessa una integerrima magistrata, riservata, schiva da ogni clamore, ma testimone di una genuina ricerca della giustizia. Figlia di un magistrato -Guido Morvillo e sorella di Alfredo Morvillo attuale procuratore-, la sua famiglia affonda le radici nel lontano Risorgimento. La descrive così la prima magistrata di Palermo, Maria Teresa Ambrosini, amica e collega di Francesca: “La incontrai nuovamente nel febbraio del 1972 allorchè, dopo un anno circa di permanenza presso la sezione penale del Tribunale di Agrigento, venne trasferita alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo, in quello stesso Tribunale ove anch’io negli stessi giorni mi ero immessa quale giudice, a seguito della istituzione di autonoma pianta organica di quegli uffici giudiziari. Abbiamo affrontato insieme, per lunghi anni, l’esperienza minorile che ci gravava di ansia, di inquietudine e di un impegno vigile e sollecito per la delicatezza delle situazioni coinvolgenti soggetti fragili, dalla personalità ancora in formazione. Francesca amava il contatto con i giovani: l’aveva già sperimentato nella Sua esperienza d’insegnamento, attività che Le era estremamente congeniale e che aveva svolto prima, durante l’Università nelle scuole elementari di un istituto per figli di detenuti e poi, per un anno, dopo la laurea, quale docente di diritto in un istituto tecnico statale. Tale esperienza, e in particolare quella vissuta con i piccoli svantaggiati dalla detenzione del padre, La portò a scegliere le funzioni di giudice minorile, aiutandola nell’approccio con i ragazzi e nella comprensione della loro personalità. L’estrema dignità ed umanità e il grandissimo equilibrio con il quale svolgeva il Suo ruolo hanno fatto sì che Essa non sia stata e non sarà mai dimenticata da tutti coloro che con Lei hanno avuto modo di lavorare”.
Francesca Morvillo ogniqualvolta doveva chiedere una condanna per un minore sentiva su di sé il peso di un’ingiustizia nei confronti di un minore: ”La vita lo ha penalizzato due volte”, diceva. Con Giovanni Falcone non sposa solo l’uomo ma la sua stessa idea di giustizia, super partes di fronte alla ricerca del vero.

L’amore per Giovanni è inscindibile dal suo amore per la giustizia.

È Francesca –racconta Paolo Borsellino il 2 giugno 1992- che consiglia a Giovanni le strategie più lucide, più razionali quando viene attaccato dall’interno stessa della magistratura. È Francesca che gli corregge alcuni provvedimenti giudiziari a matita con delle note delicate in basso, lo racconta l’amico magistrato Giuseppe Ayala.

 

Emanuela Loi, di origini sarde, dopo aver preso un diploma magistrale, entrò nella polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Trasferita a Palermo non si era mai tirata indietro dinanzi ai compiti più difficili e pericolosi fino ad essere assegnata alla scorta del magistrato Paolo Borsellino che negli ultimi mesi di vita diceva di sentirsi già morto: sapeva che sarebbe toccato a lui. Emanuela con gli altri colleghi avvertivano ad ogni spostamento che poteva toccare a loro la prossima carica di esplosivo. Aveva appena 25 anni e aveva paura in quell’estate siciliana.

È la prima donna assegnata alle scorte e la prima poliziotta ad essere uccisa.

Agnese Piraino Leto, compagna di una vita di Paolo Borsellino, ha testimoniato con forza nei vari processi depistati di via D’Amelio, tutto ciò che Paolo le aveva confidato: “l’odore della morte”, fino a pochi giorni prima di morire, taluni incontri istituzionali equivoci e inquietanti, le minacce e la solitudine del padre dei suoi figli.

“Paolo era la giustizia”, ripeteva Agnese che con Lucia, Fiammetta e Manfredi ancora ragazzini, nel 1985 aveva subito l’isolamento dell’Asinara con Paolo - stessa sorte toccò a Falcone e alla sua famiglia - per garantire il primo maxiprocesso. Una delle figlie di Agnese e Paolo si era ammalata per essere stata strappata al contesto quotidiano spensierato della sua adolescenza.
Fu Agnese a rifiutare il rito di stato preferendo per Paolo funerali privati, accusando il governo di non aver saputo proteggere il marito: "Non meritavano questi uomini", ebbe a dire, facendo riferimento ai politici che non avrebbero meritato di presenziare alla cerimonia funebre del marito.
Senza alcun dubbio possiamo affermare che né Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, né Francesca Morvillo, né gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro né Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina siano stati realmente tutelati dallo Stato in quegli anni. Non c’era un elicottero a Capaci preposto a seguire il corteo blindato, non era stata effettuata una bonifica sul tragitto.

In via D’Amelio – nonostante la strage di Capaci - si è ripetuto lo stesso copione. Siamo consapevoli che i nemici e le nemiche delle mafie rimangano oggi solo chi realmente si oppone a vari livelli - dalla gestione dei territori, all’economia, all’organizzazione del lavoro in determinati ambienti lavorativi - a quegli interessi sempre più ampi e più vasti che stanno mettendo a rischio la democrazia nel nostro Paese fondamentale per tutti e per le donne in particolare.

Per questo, in questi giorni in cui si ripercorrono le vite di Falcone e Borsellino, le due grandi figure che la mafia ci ha sottratto, l’UDI vuole anche riportare al ricordo collettivo l’esempio di queste tre donne vittime dirette e indirette della stessa stagione nera messa in atto da una mafia violenta e assassina, e che pur consapevoli del rischio non si sono sottratte a perseguire una scelta di vita giusta. E con loro, tante altre donne di altre stagioni aspettano di essere nominate.

mercoledì 10 maggio 2017

LA CARTA DELLE DONNE


LA CARTA DELLE DONNE ….. 30 anni dopo: io c’ero e vorrei esserci ancora

La presentazione del libro C'ERA UNA VOLTA LA CARTA DELLE DONNE. IL PCI, IL FEMMINISMO, LA CRISI DELLA POLITICA

inserito da Paola Ortensi


LA CARTA DELLE DONNE ….. 30 anni dopo: Io c’ero e vorrei esserci ancora !
La presentazione del libro "C'ERA UNA VOLTA  LA CARTA DELLE DONNE. IL  PCI, IL FEMMINISMO, LA CRISI DELLA POLITICA" (ed Biblink) organizzata alla Camera dei deputati il 5 maggio dalla Fondazione Nilde Iotti è stata un'interessante occasione di confronto in cui si sono intrecciate voci e riflessioni dei  protagonisti; da Livia Turco a Achille Occhetto a Alessandra Bocchetti, rispettivamente responsabile femminile del PCI che ne fu animatrice, l'allora segretario del Partito, e una voce storica del femminismo che rappresentò la decisiva contaminazione innovativa delle parole e progetti per e con le donne. Allo scambio di idee hanno partecipato anche gli autori del libro: Letizia Paolozzi, una delle protagoniste della Carta, e il giornalista Alberto Leis in un intreccio corale con le voci e gli interventi di molte donne presenti, in maggioranza quelle che
30 anni fa della Carta furono animatrici e fruitrici politiche, me compresa.
Il dibattito, sin dalle parole di Livia Turco, è stato segnato da un incrociarsi della storia e delle riflessioni di protagoniste delle quali nel libro stesso si potranno leggere i contributi. Per quanto mi riguarda l’aspetto più intrigante l’ho trovato in tutti gli accenni che hanno a più voci e scritto quanto rimane da rivitalizzare e rilanciare della Carta facendone un “documento”, o meglio un progetto, che non semplicemente racconta un passato vivace e di successo ma uno strumento che in diverse parti può ancora essere ripreso e rilanciato, come fertilizzante anche dell’oggi. A sostegno di questa idea vi è proprio la riflessione, ripresa in ogni intervento, delle cause per cui il percorso di enorme successo della Carta si interruppe violentemente - e con dolore - in contemporanea con la fine del PCI.
Donne che, con la Carta e nell’incrocio col femminismo, avevano scoperto di potersi confrontare anche al di là delle culture e dei luoghi di partito e di appartenenza. Al momento della fine del PCI le dirigenti di quel processo nei fatti non riuscirono a fare un salto e a mostrare di aver maturato una sufficiente presa di distanza da quel “Siamo donne comuniste…”, affermazione iniziale della Carta che si dimostrò un macigno insormontabile per andare oltre nell’esperienza maturata.
Nel merito del dibattito, tanti gli spunti interessanti da menzionare e su cui riflettere per passare dalla memoria ad un nuovo progetto futuro . E’ Livia Turco la prima che racconta come sia nata l’idea del libro in un incontro affettuoso con amiche della allora Sezione Femminile del PCI, con la quale la prima iniziativa preparatoria decisa fu lo scorso anno un dibattito già sulla Carta organizzato con la Fondazione e l’Istituto Gramsci. Un'iniziativa che vide ricrearsi un'atmosfera vivace ed entusiasta, testimone seppur dopo lungo tempo di quello che fu, allora, il piacere di far politica e scoprendo, grazie alla carta, la “scelta” di una centralità della relazione fra donne.
”Un dialogo a tutto campo” lo ha definito la Turco, capace di evidenziare la forza delle donne e di vedere nascere col lavoro e il confronto un “pensiero innovatore” basato su una forma di autonomia delle donne che in quel metodo di Carta itinerante (e quindi aperta ad una continua contaminazione di massa) che però, come già detto, si infranse con la fine del PCI. E si portò con sé  ”un vento corale pieno di voci differentii” come lo ha definito Alessandra Bocchetti, che ancora ricorda con dovizia di particolari l’incontro fra le donne del PCI e le femministe che rappresentò la prima “scintilla “ di progetto per la "nuova impresa politica in cui io credevo, a differenza di altre femministe, aspirando a che la forza delle donne si espandesse anche nelle istituzioni". "Con la frase siamo donne comuniste", ancora Bocchetti, spiega che le donne passavano dall’essere a fianco degli uomini all’essere di fronte ad essi con tutto ciò che questo poteva comportare. "Il lavoro delle donne ha bisogno di pazienza, è lungo, e noi non ne vedremo la conclusione. Si tratta di cambiare il cuore della storia” ha aggiunto "un tempo lungo e faticoso" e, quasi riflettendo ad alta voce, osserva che "la politica della differenza e le pari opportunità hanno una filosofia diversa: chi sente una volta nella vita la forza di essere donna, non lo perde per tutta la vita“.
Sono le parole di Occhetto che, dopo avere precisato di essere presente per dare ragione del sottotilo del libro,  in maniera stringata ma efficace spiegano come si possa vedere emergere poco a poco la nascita del Berlusconismo. L’intreccio nel libro tra femminismo, carta e crisi politica appare in modo estremamente onesto e, aggiunge Occhetto, continuando in una ricca riflessione sui legami tra il percorso della Carta, il travaglio del PCI e le modificazioni epocali della politica. Ricorda nel suo ruolo di allora momenti da considerare capisaldi della via del cambiamento come l’ultima conferenza di Adriana Seroni, responsabile della Sezione femminile del PCI, dove l’emancipazionismo era ancora protagonista ma dove iniziava a porsi il tema prorompente della diversità femminile e che nella Carta trovò la sua geniale materializzazione. Achille Occhetto ha poi continuato con interessanti riflessioni su intreccio fra diversità femminile e politica dicendo che è necessaria una ridefinizione dell’IO e un suo nuovo statuto che superi l’IO universale maschile non con un IO universale femminile da affiancarsi .. mentre al perseguimento di questi obiettivi l’idea di liberazione femminile deve ancora fare un suo corso, anche ridando vitalità all’ossatura fondamentale dell’impostazione femminista, "sperando - ha aggiunto - in una ripresa della rivoluzione femminista".
Letizia Paolozzi, che di Occhetto ha colto una visione pessimistica riguardo alle donne, dopo aver parlato del libro, afferma che le donne ci sono e che piuttosto “manca un nuovo vocabolario e che non riusciamo a dare conto di quanto avviene attorno a noi” e fra le altre considerazioni dice come le donne siano soggetti fedeli e forse è possibile rimettere insieme pezzi del mosaico e dare ancora la possibilità di muoverci tra io e noi e auspica che il libro sia in questo senso uno strumento positivo.
Una riflessione tra quell’idea di io e noi che è poi un modo discriminante di affrontare la politica che ha ripreso anche Alberto Leiss, l'altro curatore del libro, e che ha ribadito - richiamandosi al femminismo - come ognuno debba partire dal sé per vivere il mondo. Il tutto ricollegandosi a Occhetto e alla sua analisi della politica, partendo da allora ma arrivando a considerazioni che toccano l’attualità ed anche l’ultimo libro dello stesso Occhetto.
Livia Turco, nel mettere il punto dando la parola al pubblico, ha affermato fra le altre cose che "l’onda lunga della carta abbia modificato il riformismo femminile".
Si è così aperto un rapido dibattito fatto di racconti e di episodi ed emozioni di un passato di valore, ma così di valore - io penso - avendo anche cercato di esprimerlo e così incredibilmente attuale nella ragione per cui si interruppe, ovvero nell’incapacità di scegliere,come priorità l’autonomia delle donne e il loro impegno comune, legame privilegiato, al legame col Partito allora .. ma ripetibile ancora oggi. Tanto penso da dover servire quale spunto per recuperare quanto, e non è poco, ancora attuale e attualizzabile e farlo pulsare di vita nuova.
Sento così forte, personalmente, il bisogno di combattere la nostalgia e guardare al futuro, che penso la Carta delle Donne come uno strumento da utilizzare. Che siano le presentazioni del libro stesso, pensate in modo produttivo, o che sia una nuova giornata di studio per ripercorrere idee che sembrano valide insieme a giovani impegnate e che ci offrano una nuova interpretazione del fare.
Quello che è certo è che dobbiamo impegnarci perché parte del passato buono sia radice di futuro pieno di progetto di cui il bisogno è immenso e da cui aspettarsi dalle donne una “rinnovata“, collettiva  - e al di là dei confini nazionali - forza delle donne.
Paola Ortensi