domenica 29 luglio 2012

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESS0


Leggo da Franco Corbo, debitore di questo intervento a Concilium 5/2011 - 

…. Lo stato del benessere, del Welfare (attualmente in grave crisi da ogni parte) ha rappresentato uno sforzo positivo, anche se limitato, di approssimazione alla oikonomia, come un’eco profana dell’utopia sacra della comunità primitiva di Gerusalemme, nella quale nulla era chiamato proprio, tutto era comune e veniva distribuito a ciascuno secondo le sue necessità (At 2,44s.)…. Siamo chiamati perciò a parlare e a realizzare la oikonomia della salvezza, liberandoci dall’attuale concetto di economia del mercato. E da questo punto di vista, sempre più si va chiarendo che il mondo finanziario che ha partorito la crisi mondiale attuale è la negazione assoluta sia della Nuova ed eterna Alleanza sia della Oikonomia della salvezza, sia della Comunione di cui l’eucaristia è l’annuncio profetico.
E’ sempre più chiaro che la finanza ha scaricato su tutti noi i suoi errori e i suoi egoismi. E’ sempre più chiaro che la finanza, prima parla male della politica, poi ci fa governare dai suoi tecnici, poi ci regala la dittatura del suo governare.
Dalla Bibbia noi dobbiamo ricuperare il senso vero della politica, la oikonomia, dobbiamo mettere in grado la politica di governare il mercato, di tassare senza mezzi termini le rendite finanziare dei grandi manipolatori del mercato. Paolo ha cantato liricamente l’estensione cosmica della redenzione in Cristo e il vincolo indissolubile dell’umanità con l’universo: «La creazione infatti stata sottoposta alla caducità — non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta — nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,19-22). Tutta la terra geme quando l’essere umano la utilizza per soddisfare il proprio egoismo, quando la degrada mettendo in atto uno sfruttamento miope, o quando alcuni pochi se ne appropriano privandone molti e attentando in tal modo alla «gloriosa libertà dei figli di Dio». Qui sta il problema dell’umanità, oggi. Qui sta la qualità della fede cristiana. Nel frattempo vediamo moltiplicarsi i pellegrinaggi, la religiosità popolare nelle sue varie forme che servono ad alienare i “piccoli” dalla cause vere delle povertà del mondo. Qui sta l’impegno dei cattolici in politica. Parlare di ispirazione cristiana significa passare al vaglio della parola di Dio le scelte che si fanno nel campo politico, sociale, solidale. Dal concetto biblico di oikonomia della salvezza, dunque deve scaturire lo stile del nostro agire sul campo.

lunedì 23 luglio 2012

Se è vero che "la storia siamo noi"


Ho trovato in questa intervista riportata da poco ne ‘Il Fatto’, quasi la sintesi di quanto da tempo cerco di capire sul ‘mistero-dalla Chiesa’. Oggi si celebrano Borsellino e Falcone, su dalla Ciesa silenzio. Come mai?

L’ultima intervista del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di Giorgio Bocca, da La Repubblica del 10 agosto 1982: "Come combatto contro la mafia”. - PALERMO –
La Mafia non fa vacanza, macina ogni giorno i suoi delitti; tre morti ammazzati giovedì 5 fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia, altri trevenerdì, un morto e un sequestrato sabato, ancora un omicidio domenica notte, sempre lì, alle porte di Palermo, mondo arcaico e feroce che ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo internazionale, del "wind surf" nel mare azzurrodi Mondello. Ma è soprattutto il modo che offende, il "segno" che esso dà al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e allo Stato: i killer girano su potenti motociclette, sparano nel centro degli abitati, uccidono come gli pare, a distanza di dieci minuti da un delitto all’altro. Dalla Chiesa è nero:
"Da oggi la zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di catturare gli assassini ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile, l’arroganza mafiosa deve cessare".
Che arroganza generale?
"A un giornalista devo dirlo? uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".
Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu prefettizio vive con un certo disagio la sua trasformazione: dai bunker catafratti di Via Moscova, in Milano, guardati da carabinieri in armi, a questa villa Wittaker, un po lasciata andare, un poleziosa, fra alberi profumati, poliziotti assonnati, un vecchio segretario che arriva con le tazzine del caffè e sorride come a dire: ne ho visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la Mafia.
Generale, vorrei farle una domanda pesante. Lei è qui per amore o per forza? Questa quasi impossibile scommessa contro la Mafia è sua o di qualcuno altro che vorrebbe bruciarla? Lei cosa è veramente, un proconsole o un prefetto nei guai?
"Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell’interesse dello Stato".
Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve "coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale" la lotta alla Mafia.
"Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati".
Vediamo un po’, generale, lei forse vuol dirmi che stando alla legge il potere di un prefetto è identico a quello di un altro prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è implicito che lei sia il sovrintendente, il coordinatore.
"Preferirei l’esplicito".
Se non ottiene l’investitura formale che farà? Rinuncerà alla missione?
"Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla Mafia, non per discutere di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire di più".
No, parliamone, queste faccende all’italiana vanno chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di dittatura antimafia? I poteri speciali del prefetto Mori?
"Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di Mori comandava i carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad Agrigento e di altri a Trapani a Enna o anche Messina, dove occorresse. Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel "pascolo" palermitano e non nel resto d’Italia non farebbe che perdere tempo".
Lei cosa chiede? L’autonomia e l’ubiquità di cui ha potuto disporre nella lotta al terrorismo?
"Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico: so lo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno attendere sviluppi positivi".
Ritorna con la Mafia il modulo antiterrorista? Nuclei fidati, coordinati intutte le città calde?
Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista, disciplina giovinetto: questo singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro di diplomazie italiane ma con squarci di candori risorgimentali. Difficile da capire.
Generale, noi ci siamo conosciuti qui negli anni di Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il 66 e il 73 in funzione antimafia, il giovane ufficiale nordista de "Il giorno della civetta". Che cosa ha capito allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?
"Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l’istituto del soggiorno obbligatorio era un boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica, dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949. Chiedevo notizie sul loro conto e mi veniva risposto: "Brave persone". Non disturbano. Firmano regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a Parigi".
E oggi?
"Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. E finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?".
Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso, ucciso nell’agguato sull’autostrada, quando si ammazzarono anche i carabinieri di scorta, non era il cugino dell’assessore ai lavori pubblici di Catania?
"Sì".
E come andiamo, generale, con i piani regolatori delle grandi città? E’ vero che sono sempre nel cassetto dell’assessore al territorio e all’ambiente?
"Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare l’abusivismo".
II L CASO MATTARELLA. Senta generale, lei ed io abbiamo la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le stesse vicende italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il figlio di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?"
E’ accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività politica e l’impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del "palazzo".Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato".
Mi spieghi meglio.
"Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse aveva intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità dell’amministrazione. Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l’esempio più chiaro è quello del procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme del caso Coco".
Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia brigatista esistono affinità elettive?
"Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola. Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica e anche voi garantisti eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII ottobre. Coco disse no. E fu ammazzato".
Generale, mi sbaglio o lei ha una idea piuttosto estesa dei mandanti morali e dei complici indiretti? No, non si arrabbi, mi dica piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.
"Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge, di mettere accanto alla "associazione a delinquere" la associazione mafiosa". Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere? E materia da definire. Magistrati, sociologi, poliziotti, giuristi sanno benissimo che cosa è l’associazione mafiosa. La definiscono per il codice e sottraggono i giudizi alle opinioni personali”.
Come si vede lei generale Dalla Chiesa, di fronte al padrino del "Giorno della civetta"?
"Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco".
Mi faccia un esempio.
"Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti dice, come per combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè dai tali. Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l’eroina corre a fiumi ci vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che potrei avallare con la sola presenza quanto accade".
Che mondo complicato. Forse era meglio l’antiterrorismo.
"In un certo senso sì, allora avevo dietro di me l’opinione pubblica, l’attenzione dell’Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la Mafia è diverso, salvo rare eccezioni: la Mafia uccide i malavitosi, l’Italia per bene può disinteressarsene. E sbaglia".
Perché sbaglia, generale?
"La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che, grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere".
E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale?
"Il segreto bancario. La questione vera non è lì. Se ne parla da due anni e ormai i mafiosi hanno preso le loro precauzioni. E poi che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da anni chi sono i loro clienti mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle banche o a Bagheria o volta per volta, ma in modo globale".
Generale Dalla Chiesa, da dove nascono le sue grandissime ambizioni? - Mi guarda incuriosito - . Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l’hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l’ala socialista dellEvis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare d’inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora Dalla Chiesa, oggetto misterioso della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella. Mah! In apparenza non ci sono guardie, precauzioni. Il generale assicura che non c’erano neppure negli anni dell’antiterrorismo. Dice che è stata la fortuna a salvarlo le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un mondo migliore.
"Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno dei Lyons. Ma ci andai in borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo arrestai, aveva in tasca l’elenco completo di quelli che avevano firmato il necrologio per la mia prima moglie. Di tutti sapevano indirizzo, abitudini, orari. Nel caso mi fossi rifugiato da uno di loro, per precauzione. Ma io precauzioni non ne prendo. Nonle ho prese neppure nei giorni in cui su "Rosso" appariva la mia faccia al centro del bersaglio da tirassegno, con il punteggio dieci, il massimo. Se non è istigazione ad uccidere questa?".
Generale, sinceramente, ma a lei i garantisti piacciono?
Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno accenna uninchino e mormora: "Eccellenza".

lunedì 16 luglio 2012

Informarsi correttamente sulla SIRIA oggi


lunedì 16 luglio 2012 da www.ilsussidiario.it 

SIRIA/ Mastou (Al Arabiya): vi racconto l’orrore nelle segrete di Assad

E’ stato rinchiuso per due mesi nelle segrete di Assad, dopo essere stato arrestato per avere seguito come giornalista le manifestazioni in Siria. Mohamad Zaid Mastou è una star della tv satellitare Al Arabiya e si trovava in vacanza a Damasco quando un anno e mezzo fa è scoppiata la rivolta. Intervistato da Ilsussidiario.net nel suo appartamento ad Amman, in Giordania, dove è tornato dopo essere stato scarcerato, racconta tutto ciò che ha osservato in presa diretta. E spiega perché l’Occidente non deve temere il nuovo modello di democrazia che sta nascendo nei Paesi arabi, basato sulla laicità e sulla libertà religiosa come in Europa, ma nel quale le diverse fedi non saranno escluse dalla vita pubblica come avviene nel Vecchio Continente.
Quanto tempo ha trascorso in Siria dall’inizio delle rivolte?
Quando la rivoluzione è iniziata mi trovavo in vacanza in Siria, e vi sono rimasto da metà febbraio a luglio. Una volta uscito dal carcere ho dovuto lasciare il Paese.
Che cosa ha visto nelle prigioni siriane?
Ho trascorso un mese in una cella d’isolamento, era una stanza molto piccola e senza luce, e un altro mese insieme agli altri carcerati. Ciò che so è che trasferivano delle persone dall’ospedale alla prigione, per interrogarle e picchiarle.
Come lo sa?
Ho incontrato delle persone ferite e con delle grandi bende, che mi hanno raccontato queste cose. Ogni notte inoltre ero svegliato di soprassalto dalle voci di persone che gridavano perché qualcuno le picchiava durante gli interrogatori. Non ho assistito di persona alle esecuzioni, perché essendo un giornalista le autorità del carcere avevano ordinato di non farmi vedere certe cose.
Lei è stato anche presente alle manifestazioni contro Assad?
Sì, mi trovavo a Douma (vicino a Damasco, Ndr) quando le forze di sicurezza hanno sparato contro dei manifestanti pacifici. Trenta persone sono rimaste uccise, e hanno sparato anche a me. Mi hanno chiesto che cosa stessi facendo e ho risposto che vivevo lì. Sono stato fortunato perché l’ufficiale non sapeva l’inglese, quando ha aperto il mio portafogli ha trovato la mia tessera da giornalista ma non è stato in grado di leggerla, quindi mi ha lasciato andare. Mi trovavo con mio fratello e mio cugino, quest’ultimo è stato ucciso due settimane fa.
In quali circostanze?
Fin dall’inizio della rivoluzione il regime ha affermato che quanto stava avvenendo era opera di gruppi terroristici, ma il vero obiettivo di Assad è spaventare l’Occidente con la minaccia di una rivoluzione islamica. Questo però non è assolutamente vero, la rivolta ha riguardato l’intera nazione, vi hanno preso parte tutti i gruppi e ciò che volevano era la fine della dittatura. Le forze governative hanno attaccato l’area in cui vive la mia famiglia, l’Esercito Siriano Libero è intervenuto per difendere il quartiere e ha subito 15 perdite da parte dei cecchini. Anche mio cugino è morto per le ferite da arma da fuoco.
Da chi è composto il braccio armato dei ribelli, l’Esercito Siriano Libero?
L’Esercito Siriano Libero non è un gruppo a sé stante giunto chissà da dove. E’ composto da cittadini siriani, dalla mia famiglia, dai miei fratelli e dai miei amici. Sono parte della rivoluzione, è gente che protesta contro il regime e che a un certo punto ha deciso di imbracciare le armi perché il governo uccideva i civili ed era necessario che qualcuno li difendesse.

Secondo il regime l’Esercito Siriano Libero utilizzerebbe i civili come scudi umani …
 Considero queste affermazioni come uno scherzo. L’Esercito Siriano Libero è composto dagli stessi civili che secondo Assad sarebbero usati come scudi umani. Quando il regime combatte contro i ribelli, attacca le aree abitate da civili. Ma ciò non avviene perché l’Esercito Siriano Libero sceglie queste zone come quartier generale, bensì perché il governo vuole uccidere il maggior numero possibile di persone per impaurire la popolazione.
Lei ha assistito alle manifestazioni contro Assad. Gli slogan inneggiavano alla Sharia e prendevano di mira i cristiani?
Quando sono stato arrestato mi sono reso conto che i primi a protestare in Siria erano stati i drusi, una minoranza religiosa non musulmana. Nella prigione con me c’erano cristiani, sunniti e alawiti, ciò la stessa setta cui appartiene il presidente Assad. Posso quindi garantire al 100 per cento che non si è trattato di una rivoluzione islamista, ma di una insurrezione nazionale cui hanno preso parte tutti i gruppi religiosi presenti nel Paese. Tutto ciò che chiedevano era la fine della dittatura e la nascita di un regime democratico.
Eppure i cristiani siriani sono preoccupati …
Comprendo che chi vive in Italia, o in altri Paesi occidentali, sia in apprensione per la sorte dei cristiani siriani. Ma ciò avviene perché non si conosce la storia della Siria. In passato nel nostro Paese non si sono mai verificati problemi tra musulmani e cristiani, perché entrambi sono radicati nell’area da molti secoli e sono abituati a convivere senza problemi.
Fin dall’inizio della rivoluzione il regime ha affermato che quanto stava avvenendo era opera di gruppi terroristici, ma il vero obiettivo di Assad è spaventare l’Occidente con la minaccia di una rivoluzione islamica. Questo però non è assolutamente vero, la rivolta ha riguardato l’intera nazione, vi hanno preso parte tutti i gruppi e ciò che volevano era la fine della dittatura.
In Egitto il primo presidente eletto in modo democratico è stato Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli musulmani. Anche in Siria andrà a finire così?
Assolutamente no. In Egitto i Fratelli musulmani sono stati attivi a lungo nella vita politica e hanno lasciato la loro impronta nella società. In Siria invece non hanno potuto fare nulla, perché esiste una legge secondo cui chiunque vi appartiene deve essere condannato a morte. I Fratelli musulmani in Siria non sono quindi popolari come in Egitto. La Primavera araba creerà piuttosto un nuovo movimento, che definirei “islamico-liberale”, l’orientamento politico con il quale mi identifico.
Di che cosa si tratta?
L’Islam si limita a fornire dei principi, nella nostra religione non è indicato uno specifico modello politico. La forma dello Stato, composta dalle leggi, dal Parlamento, dal governo e dalla magistratura, deve andare bene ai cittadini, e non si deve adeguare a specifici dettami religiosi.
Eppure sempre più spesso si parla di “Islam politico” …
L’Islam interviene a livello morale, spiegando come le persone possono essere buone. Personalmente per esempio sono un fautore della libertà di stampa e della separazione tra i poteri dello Stato, e nello stesso tempo sono un musulmano praticante. Non ritengo che vi sia un’opposizione tra le due cose. La Primavera araba creerà quindi un nuovo modello di Stato, che per un occidentale potrà apparire strano perché si tratta di una novità.
E’ l’Occidente a non capire o il mondo arabo ad avere intrapreso una strada pericolosa?
L’Occidente purtroppo è convinto che la democrazia sia il massimo traguardo cui possa arrivare l’umanità. Mentre è più logico pensare che anche la democrazia sia un modello da migliorare ogni volta. Del resto il modello di Stato in America è diverso da quella in Francia o nel Regno Unito. In quanto arabi e musulmani possiamo quindi creare la nostra forma di Stato diversa da qualsiasi altra. L’Occidente non deve esserne impaurito, perché non esiste nessuna opposizione tra l’Islam e la democrazia. (Pietro Vernizzi)

domenica 8 luglio 2012

Alcuni spunti di riflessione attraverso quest’articolo dell’editoriale di oggi in www.womens.net, in cui si afferma, di fronte alla crescita della violenza sulle donne: “L’Europa serve solo per le pensioni e la ‘riforma del mercato del lavoro’. Sempre per togliere e mai per dare? Dobbiamo prendere atto che ignorare il femminicidio sia sintomo di incapacità ad assolvere il proprio ruolo istituzionale?”.
Aggiungo: questo problema irrisolto dall’alto non ci ammonisce a tentare un’azione dal basso PER TUTTI I CASI DI VIOLENZA, di cui quella sulla donna è 

UNO DEI SINTOMI evidenti, a tentare di costruire dal basso? Ma - ripeto ciò a cui il buon senso doverbbe far giungere tutti – si sa che in Alto c’è un muro invalicabile, dato il DOMMATISMO SU CUI SI REGGONO TUTTE LE ISTITUZIONI SENZA IL CONTROLLO DELLA BASE. Penso che… il momento della fine del capitalismo sia da accelerare con un’altra (non scandalizzatevi!) ideologia-maggiormente-monitorata. [pubblicato in www.facebook.com.au.riggi in seno allo spazio riservato al gruppo di Donne-contro-il-silenzio].

sabato 7 luglio 2012


Nel sito www.carmelomusumeci.com è presente una Proposta di iniziativa popolare per l'abolizione dell'ergastolo, è possibile aderire cliccando su "FIRMA CONTRO L'ERGASTOLO"  e compilando l'apposito modulo. Per vedere chi ha già firmato: http://www.carmelomusumeci.com/pg.lista.appello.php
Proposta di iniziativa popolare
per l’abolizione della pena dell’ergastolo (art.22 Codice Penale)

La nostra Costituzione stabilisce: 
Articolo 27- Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Articolo 50 - Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alla Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.

L’ergastolo è più atroce che qualsiasi altra pena perché ti ammazza lasciandoti vivo ed è una pena molto più lunga, dolorosa e disumana, della normale pena di morte. Spesso un ergastolano, un uomo ombra, pensa di essere morto pur essendo vivo, perché vive una vita senza vita. Nessun essere umano dovrebbe tenere un altro uomo chiuso in una gabbia per tutta la vita. Ad una persona puoi levare la libertà, ma non lo puoi fare per sempre, per questo l’ergastolo,  “La Pena di Morte Viva”, è più atroce e inumana di tutte le altri morti.
Poi in Italia esiste l’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari (art. 4 bis O.P.) che esclude l’accesso alle misure alternative al carcere, rendendo questa pena un effettivo “fine pena mai” e t’impone di scegliere fra due mali: o stai dentro fino alla morte o metti un altro al posto tuo.
E ci vuole tanta disumanità e cattiveria per far marcire una persona in cella per sempre, perché quando non si ha nessuna speranza è come non avere più vita. Continuare a tenere dentro una persona quando non è più necessario è un crimine contro l’umanità. Ogni persona dovrebbe avere diritto ad una speranza e per tutti ce n’è una, ma non per gli uomini ombra.

Se tu sei d’accordo che un ergastolano debba uscire perché lo merita e non perché usa la legge per uscire dal carcere e che una pena senza fine è una vera e propria tortura che umilia la giustizia, la vita e Dio,

se tu pensi che un uomo non possa essere considerato cattivo e colpevole per sempre e che una pena per essere giusta debba avere un inizio e una fine,  perché una condanna che non finisce mai non potrà mai rieducare nessuno,

se tu credi che dopo tanti anni di carcere non si punisca più quell’uomo che ha commesso il crimine, ma si finisca per punire un’altra persona che con quel crimine non c’entra più nulla, perché la persona è cambiata, e che il perdono faccia più male della vendetta, perché il perdono costringe un uomo a non trovare dentro di sé nessuna giustificazione per quello che ha fatto,

se tu sai che in Italia ci sono giovani ergastolani che al momento del loro arresto erano adolescenti e che ora invecchieranno e moriranno in carcere -senza nessun’altra possibilità di rimediare al male che hanno fatto- e che solo in Italia, non in nessun altro Paese del mondo, esiste la pena dell’ergastolo ostativo,

se tu sei d’accordo con tutto questo, lascia la tua adesione a questa Proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo

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FIRMA CONTRO L’ERGASTOLO
e compila il modulo.