mercoledì 23 luglio 2014

Idoli di ieri e di oggi

IDOLI DI IERI E DI OGGI
Il Corriere della Sera del 27 agosto 2003 pubblicava questo articolo di CARLO MARIA MARTINI. Articolo che possiamo riferire pienamente all’oggi

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli!
Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.
È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all'Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c'è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è comparabile a lui.
Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler usare la divinità o comunque un principio assoluto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri.
Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere ( politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. E' l'idolo del volere stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo.
Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano.
Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice tante volte la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell'idolo diventa cieco riguardo al
volto umano dell'altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex - terroristi degli anni '80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: non vedevamo più il volto degli altri.
Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c'è un'adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruttrice chiunque renda loro omaggio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere l'altro e alla fine distrugge se stesso. Già Paolo ammoniva: se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!. E ancora: Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7).
Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata
dell'uomo.
Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui ha fatto più volte allusione Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza. È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace.
Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.
Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell'Onu e quelle dell'Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno politico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti
contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.
Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della
violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.
Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al disopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.


Umilmente pongo a me e a chi legge questa domanda:
gli idoli che mettono in contrasto le nazioni
non si radicano anzitutto nel cuore di ciascuna/o di noi? 

lunedì 14 luglio 2014

Donne-vescovo in Gran Bretagna

Premetto che, anche se considero questa notizia storicamente rilevante, personalmente non esulto. Mi chiedo: dunque noi donne dobbiamo gloriarci di ricevere l’investitura che ci fa pari agli esseri umani maschi? Dove è la nostra diversità?
E’ cosa bella, buona e giusta utilizzare la differenza sessuale per rendere tutta l’umanità armonicamente migliore nel rispetto dell’identità e della  differenza di ciascuna/o.
[Accetto volentieri critiche alla mia opinione]

GB: CHIESA ANGLICANA VOTA A FAVORE DELLE DONNE VESCOVO


(ASCA) - Roma, 14 lug 2014 - La Chiesa anglicana di Inghilterra ha votato a favore dell'ordinamento di donne vescovo. Il pronunciamento e' giunto al termine dell'odierna riunione del Sinodo. La decisione, che capovolge un precedente pronunciamento del 2012, e' stata accolta dagli applausi dal Sinodo Generale della Chiesa di Inghilterra a York, dopo aver superato il voto nelle tre differenti camere della Chiesa anglicana. La Cemare dei vescovi ha votato con 37 a favore, due contrari e un astenuto, quella del clero con 162 voti a favore, 25 contrari e quattro astenuti, mentre la Camera dei laici ha visto 152 favorevoli, 45 contrari e cinque astenuti. ''Un grande giorno per la Chiesa e l'uguaglianza'': il primo ministro britannico David Cameron ha salutato cosi' l'approvazione dell'ordinamento delle donne vescovo da parte della Chiesa anglicana, sottolineando su Twitter la ''grande leadership'' dell'Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. int/

sabato 12 luglio 2014

"L'urlo di un uomo ombra"

Chi ha il terreno ben disposto ad accogliere il buon seme di cui parla il vangelo di questa domenica) può leggere proficuamente questa recensione.

Recensione di Grazia Paletta al libro dell’ergastolano Carmelo Musumeci:  L’urlo di un uomo ombra – Edizioni Smasher

[Se non si urla vuol dire che si acconsente”- Gesualdo Bufalino]

Loro stanno urlando.
voce non basta, le parole inefficienti, gli scritti dimenticati, le morti numerate.
Gli uomini ombra adesso hanno deciso di esasperare il suono che scaturisce dalle loro gole per manifestare il loro dissenso.
Carmelo è un uomo rinchiuso in carcere da 23 anni, di cui  5 anni di 41bis nell’Isola del Diavolo (Asinara) e ancora adesso, dopo essersi laureato e aver dimostrato in tutti i modi possibili di essere cambiato e di aver intrapreso un impeccabile percorso di rieducazione, mettendo il suo tempo e la sua energia a disposizione degli altri, come testimoniano le innumerevoli interviste e dialoghi con giovani e studenti o la pazienza che impiega nel seguire i casi di altri ristretti o lo scrivere le istanze per i compagni che chiedono il suo sostegno, dopo tutto questo Carmelo si trova ancora con un fine pena mai a sancire la NON fine del suo percorso punitivo e l’inutilità del suo evolversi come essere umano.
L’ergastolo ostativo è anticostituzionale dal momento che nega i principi della costituzione stessa, in particolare dell’art.27: La pena deve tendere alla rieducazione del condannato favorendo il suo reinserimento nella società”.
L’ergastolo ostativo rende lo Stato, e la società da esso rappresentata, l’esecutore di una vendetta senza fine, siamo fermi agli albori della storia, quando la legge dell’occhio per occhio dente per dente regolava i rapporti umani e proteggeva la comunità dai cattivi, nell’efferatezza delle esecuzioni punitive dei detentori del potere. E la storia la conosciamo tutti, ci sono state le “galere”, le impiccagioni, i linciaggi, le segrete, le catene e le torture.
E oggi, in questo nostro tempo di finta evoluzione, che vede la vendetta della collettività abbattersi su chi ha compiuto il male, in tal modo producendo a sua volta altro male, noi dormiamo i sonni tranquilli e illusori del cittadino giusto, sentendoci protetti dalla giustizia e ignorando che il male va affrontato e superato, non perpetuato con le vendette di Stato o negato con la segregazione eterna di chi un tempo l’ha compiuto.
     Una buona parte degli ergastolani ostativi sono effettivamente colpevoli, come essi stessi ammettono, e qui sarebbe opportuno addentrarsi nella conoscenza delle cause che li hanno resi criminali. Lo stesso Musumeci afferma: “Io sono nato colpevole” ed è improponibile negare che effettivamente il 100% di essi siano meridionali e molte volte cresciuti in un particolare ambiente sociale.  Ma ci sono state purtroppo delle vittime, ed è necessaria una restituzione morale ai famigliari delle stesse, una pena che eguagli la colpa. Gli amministratori di giustizia hanno inventato una pena infinita, quasi a voler uguagliare il dolore senza fine di chi ha perso per mano della violenza i propri cari. Ed ecco l’ergastolo ostativo, la pena di morte viva, che non ha neanche la valenza per rendersi palese con il proprio nome, a far sentire protetto e cullato dalla giustizia il nostro bel paese.

Ed ecco Carmelo Musumeci, un uomo ombra, uno degli oltre 1500 morti-vivi segregati nelle nostre patrie galere, a urlare la propria voglia di vivere in questo libro che eppure è intriso di morte.

Perché a differenza della altre opere dello scrittore, dove si respira la speranza, la sensibilità dell’animo di chi racconta, la fiducia riposta negli occhi e nel cuore di chi legge, nel “L’urlo di un uomo ombra” non c’è spazio per il buonismo, per il patteggiamento, sembra quasi che il tempo non lasci più tempo.
Tutti sappiamo che nelle nostre carceri le morti autoindotte si moltiplicano di anno in anno, e per i compagni di cella o di sezione non è facile ritrovare la propria serenità intramuraria dopo aver chiuso gli occhi al compagno, all’amico che non ce l’ha fatta e si è affidato alla forza di un lenzuolo divenuto corda, immortalato a cappio.
E Carmelo sente l’esigenza di esprimere il dolore di queste vite negate affinché la gente sappia, ascolti, veda, tra le ombre dei passi di chi non è né morto né vivo.
      Questa nuova opera dello scrittore Musumeci sembra non accontentarsi della magia del racconto, le metafore non bastano, così come non è sufficiente il racconto puramente giornalistico, il resoconto dei fatti o il puro assemblarsi delle emozioni nello scorrere di un tempo che si svuota di significato nel suo cristallizzarsi in un presente senza fine, essendo legalmente a loro negato il futuro.
Gli ergastolani sono inchiodati al loro passato, per sempre cattivi e colpevoli.
  
 In questo suo nuovo libro che si legge tutto d’un fiato e che poi sembra richiamare il lettore ad un approfondimento, ad una ulteriore lettura, perché allo scorrere dell’ultima pagina si ha la sensazione di essersi persi qualcosa e la si va a ricercare tornando a sfogliare le  pagine precedenti,  Carmelo ha saputo donare un nuovo significato al silenzio dominante sulle notti fra le sbarre, di cui l’unico suono a infrangere il ghiaccio delle luci spente è il rumore del metallo delle porte blindate.
La speranza di essere ascoltato dà il senso di questo assolo atemporale e con essa la certezza che l’urlo di un uomo compiuto in un tempo infinito possa richiamare una nuova consapevolezza civile, capace di sradicare il dolore dell’ingiustizia.

E Carmelo urla e urla ancora, e conduce per mano chi accoglie la pregnanza del suo sguardo e la bellezza della sua voce espressa in pagine che toccano la maestosità della pura poesia, sa accompagnare il lettore lungo i corridoi del carcere, là dove realtà e fantasia talvolta si confondono, nello svolgersi di quotidianità senza raggi di sole a far brillare gli sguardi.

Pagine di racconti, ora totalmente frutto della sua fervida fantasia attraverso la quale si porge la crudezza della realtà su di un piatto d’argento, si alternano a pagine di diario, dove l’autore registra il suo pensiero momento per momento, le sue considerazioni di uomo ombra, vittima della sua stessa colpa in un passato divenuto eterno, e tuttavia cementato nel suo presente, impedito ad avere un futuro.
Carmelo sa intingere la trama narrativa delle storie nel profondo intento comunicativo e risulta chiaro il suo messaggio subliminale, intriso di una saggezza strappata alla vita con i denti: anche l’uomo peggiore può avere un cuore.
Ed ecco La belva della cella 154, ispirato ad una storia vera, che vede questo cattivo per sempre, crudo e irraggiungibile dai sentimenti umani, inchiodato alla solitudine, che si affeziona ad un gatto, suo unico compagno di vita.
Oppure l’efferato killer Roberto Pappalardo e il suo inestinguibile desiderio di amare e di essere riamato, ad intessere una vera e propria relazione con una donna inesistente, quasi a dimostrare che anche nell’essere peggiore è possibile ritrovare l’istinto al sentimento primario, l’amore, unico richiamo ancestrale al quale neanche il criminale più spietato può sottrarsi.
Anche perché nasciamo da un atto d’amore, non certo di cattiveria e tutte le creature ne sono figlie e possono ritrovarlo nel loro DNA, se lo vogliono.
O se qualcuno crede in loro.
Tuttavia in questo libro, al di là dei personaggi scaturiti dalla fantasia del nostro autore e in diversa misura attinenti alla realtà, c’è un unico vero protagonista che si affaccia instancabile ad ogni pagina di diario o ad ogni svolgersi di racconto.
La morte.
Quasi ad invocarla l’uomo ombra non ha più paura di nulla, perché non ha più niente da perdere, tutto ormai gli è stato negato.
Tutto, tranne la sua capacità di essere libero.
E Carmelo Musumeci lo sa bene perché lui è un uomo profondamente libero, a dispetto dei muri che si ergono armati attorno a lui, e non ha timore di parlare con essa.

La libertà incomincia dove finisce la paura”, poche parole per una profonda saggezza intrisa di verità e dall’immensità di questa sua bellissima frase è nato il mio amore per lui e per tutti coloro che come lui sanno vincere la morte, pur essendo seppelliti vivi.

Carmelo non ha più paura, niente lo può fermare od ostacolare, perché la battaglia contro i suoi demoni l’ha combattuta e vinta tante volte, e ancora talvolta è lì a combatterla, ma ora con le armi fiammeggianti dello schiavo liberato, che le impugna con la forza di chi tutto osa per sublimare la vita, in onore dei propri sogni e della propria immensa capacità di amare.

mercoledì 9 luglio 2014

L'inchino della Madonna al boss!!

Da: Gennaro Ciliberto via Change.org [mail@change.org]
A Oppido Mamertina (Reggio Calabria) per mezzo minuto il carro votivo ha stazionato sotto l'abitazione di Peppe Mazzagatti, boss della 'ndrangheta condannato all'ergastolo. (Giusto 15 giorni fa il Papa aveva scomunicato tutti i mafiosi.)
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Ciao Ausilia,
Grazie per aver firmato la mia petizione, "Allontanare Don Benedetto Rustico dalla chiesa di Oppido Mamertina."
Puoi aiutare a vincere questa campagna chiedendo ai tuoi amici di firmare anche loro? È facile condividere con i tuoi amici su Facebook - clicca qui per condividere la petizione su Facebook.

Ecco un esempio di e.mail che puoi inoltrare ai tuoi amici.
Grazie ancora -- insieme stiamo creando il cambiamento,
Gennaro Ciliberto

Messaggio da inoltrare ai tuoi amici:

Ciao!
Ho appena firmato la petizione "Allontanare Don Benedetto Rustico dalla chiesa di Oppido Mamertina" su Change.org.
È importante. Puoi firmarla anche tu? Qui c'è il link:
http://www.change.org/it/petizioni/allontanare-don-benedetto-rustico-dalla-chiesa-di-oppido-mamertina?recruiter=76254295&utm_campaign=signature_receipt&utm_medium=email&utm_source=share_petition
Grazie! Ausilia

sabato 5 luglio 2014

Una notizia l femminile

Attraverso il CTI una notizia al femminile:

La suora francescana Mary Melone è stata la prima donna professore stabile presso la facoltà di Teologia della Pontificia università Antonianum, l’ateneo romano dei francescani, la prima donna ad assumere l’incarico di decano, equivalente al titolo di preside, e ora, nell’era di Jorge Mario Bergoglio, è la prima donna che diventa rettore di una università pontificia della città eterna. La francescana Mary Melone, grande esperta di sant’Antonio da Padova, è stata nominata ai vertici dell’ateneo dalla congregazione per l’Educazione cattolica guidata dal cardinale Zenon Grocholewski per il triennio 2014-2017.

Non sono per questo tipo di etichette, teologia al femminile, affermava suor Melone in un’intervista all’Osservatore Romano pubblicata in occasione della sua elezione a decano di Teologia. E soprattutto non sono per le contrapposizioni, pur non ignorando che forse in passato c’è stato motivo per la contrapposizione. Forse anche nel presente, non lo so. Sicuramente lo spazio alle donne deve essere maggiormente garantito. Parlare di teologia al femminile non risponde proprio alla mia visione: c’è solo la teologia. La teologia come ricerca, come sguardo rivolto al mistero, come riflessione su questo mistero. Ma proprio perché tale va fatta con sensibilità diverse, questo sì. Il modo di accostarsi al mistero, il modo con cui una donna riflette su questo mistero che si dà, che si rivela, è sicuramente diverso da quello di un uomo. Ma non per contrapposizione. Io credo nella teologia, e credo che la teologia fatta da una donna sia propria di una donna. Diversa, ma senza la rivendicazione. Altrimenti mi sembra quasi di strumentalizzare la teologia, che invece è un campo che richiede l’onestà di chi si mette di fronte al mistero

Nata a La Spezia nel 1964, Mary (Maria Domenica al secolo) Melone, dopo aver preso la maturità classica, è entrata a far parte della congregazione delle suore francescane angeline, dove emette la professione temporanea nel 1986 e quella perpetua nel 1991. Nel 1992 si laurea in pedagogia, indirizzo filosofico, alla Libera università Maria santissima assunta, con una tesi su “Corporeità ed intersoggettività in Gabriel Marcel”. Si dedica poi allo studio della teologia all’Antonianum, dove aveva già studiato dal 1983 al 1987, e consegue prima la laurea, nel 1996, e poi il dottorato, con tesi su “Lo Spirito santo nel De Trinitate di Riccardo di San Vittore” pubblicata nel 2001. Professore straordinario nella facoltà di Teologia per la cattedra di teologia trinitaria e pneumatologia, dal 2002 al 2008 è stata preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Redemptor Hominis”, nel 2011 è stata eletta (da un collegio maschile) decano di Teologia. E’ presidente della Società italiana per la ricerca teologica (Sirt). Oltre ad articoli e saggi comparsi su miscellanee e riviste – Antonianum, Doctor Seraphicus, Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, Italia francescana, Quaderni di spiritualità francescana, Ricerche teologiche, Studi francescani, Theotokos – ha curato per le Edizioni Paoline i volumi di Riccardo si San Vittore (La preparazione dell’anima alla contemplazione: Beniamino minore) e sant’Antonio di Padova (Camminare nella luce: sermoni scelti per l’anno liturgico).