sabato 31 agosto 2013

Riflettendo sui fatti della poitica

Rifletto molto sui fatti della politica.
Invero ritengo prioritari quelli di politica estera, ma quelli della politica italiana sono il microcosmo del macrocosmo mondiale.
Affronto questi ultimi con molto sussiego perché nella realtà italiana, confusa e, direi, apocalittica, c’è da sperare in un ossimoro, cioè nel fare un buco nell’acqua, nel provarci, pur ritenendo che non serve a nulla. [Certamente non voglio convincere nessuno: trovo odioso il termine convincere, che indica una costrizione al proprio parere].
Berlusconi dunque.
Gli appartenenti alla cosiddetta destra vogliono far trionfare il principio della convenienza; gli appartenenti alla cosiddetta sinistra assumono come orientativo, anzi assolutamente orientativo, il PRINCIPIO (o quello che significa).
Dietro destra e sinistra c’è una piccola folla di piccoli e, in quanto tali pieni di sicumera: e guai a porsi alla pari.
Le frasi che riassumono in maniera approssimativa gli atteggiamenti di questi due schieramenti si basano su due principi.
a) PER LA DESTRA: non si può ignorare il popolo che la vota; la democrazia è governo del popolo.
PER LA SINISTRA: un popolo non può fondare il principio su cui si regge la stessa democrazia.
Come si può notare, il termine DEMOCRAZIA è usato in entrambe le parti. E, se io dovessi cedere alla tentazione di schierarmi, darei ragione ad una delle due, ma mi freno dal dichiarare quale.
Dunque democrazia! Quale? Ecco un quadretto che potrete consultare in google:      
Marsilio da Padova
Platone e Aristotele convergono
Per entrambi i filosofi si può chiamare legge soltanto ciò che è strutturalmente giusto e pertanto morale; ma se la legge della polis vacilla nella parzialità, non si può  contare su di essa; il principio su cui si regge è falsamente etico; bisogna fare appello all’agire secondo convenienza, poiché nulla è strutturalmente giusto e pertanto morale.
Torniamo indietro, ad Eraclito
Eraclito scriveva in uno dei suoi frammenti: tutte le leggi umane, invero, vengono nutrite da una sola legge, quella divina: essa prevale, difatti, quanto vuole e basta a tutto. Cioè la legge divina è come il fondamento e la radice (nutre) delle leggi umane; queste saranno leggi autentiche – secondo verità – se sono conformi alle leggi divine, e tale conformità le rende giuste e morali.
e a Tommaso d’Aquino
il quale citare Cicerone, De re publica, III, 22, 33:
Vi è una legge vera, ragione retta conforme alla natura, presente in tutti, invariabile, eterna, tale da richiamare con i suoi comandi al dovere, e da distogliere con i suoi divieti dall'agire male... A questa legge non è possibile si tolga valore né è lecito che in qualcosa si deroghi, né essa può essere abrogata; da questa legge non possiamo essere sciolti ad opera del senato o del popolo... Essa non è diversa a Roma o ad Atene, non è diversa ora o in futuro: tutti i popoli invece in ogni tempo saranno retti da quest'unica legge eterna e immutabile; ed unico comune maestro, per così dire e sovrano di tutti sarà Dio; di questa legge egli solo è l'autore, l'interprete, il legislatore; e chi non gli obbedirà rinnegherà sé stesso, e rifiutando la sua natura di uomo, per ciò medesimo incorrerà nelle massime pene, anche se potrà essere...
Tommaso aggiunge di suo:
Accade a volte che qualche precetto, che è per il bene della moltitudine nella maggior parte dei casi, non sia conveniente ad una persona, o ad una situazione determinata, perché impedirebbe qualcosa di migliore, oppure comporterebbe qualche male
…..
colui che ha il potere di governare la moltitudine, ha il potere di dispensare dalla legge umana in quelle cose che dipendono dalla sua autorità: al fine di concedere il permesso di non osservare il precetto della legge, alle persone e nei casi in cui la legge viene meno al suo obiettivo.

Da parte mia ho solo timore che non siamo, né voi né io, in grado di rivedere le nostre posizioni, perché diamo ad esse un carattere di assolutezza, mentre la nostra natura di creature ci ha collocato nel tempo transeunte.
Cerchiamo l’ancoraggio al DIAlOGO se abbiamo umiltà intellettuale.

giovedì 29 agosto 2013

In morte di Don Chiavacci

In morte di Don Chiavacci, uomo, prete, pastore e teologo: fedele e libero insieme

Don Enrico Chiavacci, prete, parroco, teologo, in tutto e sempre “pastore” del popolo: il suo immediato di San Silvestro a Ruffignano, presso Firenze, dove è stato parroco per più di 50 anni e poi, come teologo ed esperto di scienze umane, quello detto giustamente “Popolo di Dio”, cioè la comunità dei credenti cattolici, e certamente non solo. E’ infatti nota la stima e il seguito che Lui e i suoi lavori teologici hanno sempre avuto anche oltre i confini ufficiali della Chiesa cattolica…
Ne ha scritto qui, già, il collega Giacomo Galeazzi, e riprendo l’argomento per aggiungere qualcosa di personale, biografico e non noto, e anche un accenno all’importanza del lavoro di ricerca e sintesi dottrinale e insieme appunto pastorale, che ha segnato tutta la sua vita intellettuale e cristiana.
Il suo Corso fondamentale di Morale, una decina di volumi densissimi, pubblicato nel corso degli anni dalla Cittadella di Assisi, è stato un capolavoro di sintesi sapiente e prudente tra la tradizione e i segni dei tempi, a partire dalla morale sociale – fondamentali alcune sue ricerche sulla cosiddetta “dottrina sociale” della Chiesa nei secoli – e dall’etica famigliare e sessuale applicata nel vivo del mutare dei tempi e della stessa realtà della Chiesa.
Fedele alla dottrina, ma capace di distinguere sempre ciò che è di fondo, e risale alle fonti della fede cristiana e anche cattolica, e ciò che è frutto della semplice evoluzione storica degli scritti di teologi, ma anche di vescovi e di Papi, da rispettare sempre, mai tuttavia da considerare, a sproposito e senza distinzioni, verità di fede e quindi immutabili…
Ora, e in particolare nel campo della morale della famiglia e della sessualità l’evoluzione della dottrina cattolica e al suo servizio della teologia, anche per la spinta delle mutazioni della società e del costume, è stata di grandissima portata, e lo è ancora.
Galeazzi ha ricordato il passaggio del suo pensiero dalla considerazione della sessualità solo come “necessario strumento per la procreazione”, ma caricata di significati soprattutto negativi e da controllare alla visione del corpo umano, della donna come tale, dell’amore coniugale e della complessità di ciò che esso implica nella natura e nella persona umana. Da una visione negativa, codificata p. es. da certi testi di S. Agostino che hanno seminato diffidenza e anche disprezzo per secoli, a quella della teologia del corpo nelle catechesi di Giovanni Paolo II negli anni ‘80 c’è un cammino in avanti gigantesco, di cui forse l’etica ufficiale cattolica ancora oggi non ha percepito pienamente la portata: la cosa ha un peso molto forte anche nella credibilità della stessa Chiesa. Alla base di tutto la “rivoluzione” del Concilio, con il rifiuto di codificare ancora una volta come assoluta la gerarchia dei cosiddetti “fini del Matrimonio”, che metteva al vertice la procreazione e subordinava tutto ad essa…
Dal Concilio in poi, passando per il travaglio delle Commissioni teologiche volute da Giovanni XXIII e Paolo VI, che portarono a due visioni diverse, e in alcuni aspetti anche opposte, alla luce nuova dell’ammissione dei cosiddetti “metodi naturali” per la regolazione delle nascite (Pio XII, ottobre 1951), e poi per la vicenda tumultuosa dell’Humanae Vitae” che oltre le dispute teologiche e le resistenze pastorali incendiò per anni le discussioni interne agli stessi episcopati, il cammino è stato lungo e complesso. La prudenza di Paolo VI, pur in quella che apparve una chiusura al “nuovo”, spesso equivocato e confuso con l’approvazione dell’egoismo e della libertà senza criteri chiari, non presentò il dettato dell’Enciclica come “definitivo” e assolutamente veritativo, ma lasciò volutamente aperto lo spazio alla ricerca ulteriore. E in questo ambito anche gli studi di Don Enrico, con altri come il grande Padre Bernard Haering, fino ad un certo limite Ambrogio Valsecchi, ed anche colleghi come Dalmazio Mongillo e Giannino Piana, in Italia soprattutto tra le scuole dei Redentoristi, furono preziosi e autorevolmente visti dai colleghi e da molti Pastori che hanno preso sul serio il Concilio e il richiamo ai segni dei tempi. Fondamentale, tra l’altro, per l’esperienza di tanti uomini di Chiesa italiani, un commento molto ampio della Gaudium et Spes, magistrale, che Don Enrico offrì e pubblicò con la Studium: una vera miniera di sapienza e di cultura teologica e storica…
La sua capacità di mettere insieme opportunità pastorale, fedeltà alle verità di fede, ricerca e percezione dei “segni dei tempi” è stata sempre grande e apprezzata. Fedele, e libero insieme, obbediente e capace di novità magari impensate e anche scomode, tranquillo anche quando qualcuno, magari anche autorevolmente e ufficialmente, lo indicava come “dissenziente”… Egli lo fu sempre in cose nelle quali il dissenso era non solo legittimo, ma capace di far camminare in avanti la teologia e quindi anche la Chiesa nelle sue dimensioni intellettuali… Grande esempio di pacifica capacità di accogliere critiche e rimproveri, anche ufficiali, e insieme di resistenza senza resa nella coscienza che l’oggetto delle critiche era aperto alla libera discussione, rispettosa della fede, ma mai obbligata a dare corpo di dottrina di fede a ciò che era soltanto un’affermazione di scuola teologica, magari nostalgica di tempi passati, materialità di Concili antichi ed egemonie di parti in causa solo personali e accidentali…
Figlio e insieme padre della visione conciliare, don Enrico, stimatissimo dai colleghi, almeno da quelli che non hanno mai visto il rinnovamento conciliare come pericolosa deviazione dalla fede cattolica, nonostante la sua un po’ selvatica ostinazione a non cercare le luci della ribalta, fu per tanti una guida anche intellettuale…Di grande significato, tra altro, i suoi studi sulla morale applicata ai sistemi economici e alla realtà del cosiddetto Terzo Mondo in via di sviluppo…
Non solo fiori, ovviamente, sulla sua strada. Ricordo, per concludere questo piccolo omaggio, un episodio vissuto direttamente. Verso la fine degli anni ’70 in un Congresso dell’Associazione dei Teologi Moralisti Italiani (Atism) egli era vicepresidente in scadenza di carica e al momento delle nuove candidature, in prossimità del voto, nell’assemblea si alzò un membro della Presidenza, nome illustre e origini campane, il quale con aria tra contrito e convinto di un servizio necessario avanzò, a nome esplicitamente della Presidenza della Cei la proposta di “non rinnovare” a Don Chiavacci “la carica della Vicepresidenza”. Lui non tentò neppure di ribattere, e tacque. Risultato: i membri dell’Atism furono insieme “obbedienti” e “liberi”: don Enrico Chiavacci fu eletto “Presidente”! Tempi passati, e non rimpianti. Ora Don Enrico è tornato alla Casa del Padre. Tanti, anche tra i colleghi un po’ più giovani, o meno anziani di lui, lo ricordano con simpatia e ringraziano lo Spirito Santo che gli ha consentito di essere esempio insieme di libertà vera e fedeltà autentica, le due condizioni necessarie per l’annuncio della fede e per la salute della Chiesa. Uomo, studioso, scienziato, teologo, pastore, maestro, Don Enrico. Con ammirazione e gratitudine.

Gianni Gennari  

martedì 27 agosto 2013

Schema Violante

La politica oggi è ingarbugliata più che mai.
Siamo anni luce lontani dalle posizioni che giornalisti, esperti, parlamentari, gente comune ritengono di poter esprimere, forti del solo PERSONALE PUNTO DI VISTA!
Ha lasciato il segno lo «schema Violante», l'appello lanciato ieri sul Corriere dal «saggio» del Pd (della commissione sulle Riforme) ad ascoltare i dubbi tecnici sollevati da giuristi e rivendicati dal Pdl contro la decadenza immediata del Cavaliere. Come la legittimità di rivolgersi alla Consulta, o di interpellare la Corte di Lussemburgo. Giacché la legalità, ha ricordato Violante al partito legalitario, «impone di ascoltare le ragioni dell'accusato». Così, all'indomani del richiamo,mentre il Pdl esulta con Francesco Giro («Parole incoraggianti che prefigurano un lodo»), in giunta si avverte una maggiore cautela per evitare strumentalizzazioni.
Intanto Mario Monti, al Foglio , dice che non troverebbe «scandalosa» la grazia a Berlusconi «proprio per il ruolo che ha avuto». «La legge Severino - rimarca Monti - è stata votata a larghissima maggioranza, anche dal Pdl, nove mesi fa e nessuno sollevò obiezioni di costituzionalità; anzi, tutti sembravano desiderosi di mostrarsi rigorosi sui criteri di incandidabilità e decadenza: erano solo ragioni elettoralistiche?». E, pur riconoscendo «l'eccezionalità del caso Berlusconi», l'ex premier dice: «La sua condanna non può certo essere cancellata dal Senato, neppure nei suoi altri effetti di legge». Meglio un provvedimento eccezionale come la grazia. 
Ma intanto cosa fare in giunta? I toni si sono fatti meno battaglieri. «Nessuno ha mai detto che strozzeremo i tempi o le ragioni della difesa», assicura la pd Rosa Filippin. Il regolamento è tassativo e stabilisce una procedura. Al fine di accertamenti eventuali il presidente può nominare un relatore o un comitato incaricato di fare l'istruttoria necessaria. Servirà a effettuare verifiche e acquisizioni. Poi si potrà ascoltare l'interessato o la sua difesa. E al termine si passerà al voto». «Non stiamo parlando - avverte Rosanna Filippin - di mesi, ma nemmeno di chiudere necessariamente tutto il giorno 9 settembre. Rispetteremo sentenza, regolamento e procedure». Nessun contrordine ufficiale, quindi: Berlusconi era e resta al di fuori della legge Severino. La linea del Pd è votare sì alla decadenza. Ma, come ha precisato ieri Guglielmo Epifani, «nessun giustizialismo».

Il nodo resta uno: il rinvio alla Consulta. Entro il 28 Berlusconi potrà presentare la memoria. Un parere giuridico in tal senso potrebbe essere allegato a quell'atto. Oppure richiesto successivamente dalla difesa o dal Pdl. Poi, dopo l'eventuale audizione del Cavaliere, la giunta voterebbe. E, ammesso che la proposta ottenga la maggioranza, potrebbe rivolgersi alla Consulta. Secondo Violante potrebbe farlo direttamente: «La Corte costituzionale ha ritenuto che il procedimento in giunta è di carattere giurisdizionale». Secondo il presidente emerito della Consulta Valerio Onida invece occorrerebbe un passaggio in Aula: «La giunta - spiega - prepara l'istruttoria e fa una proposta che dovrebbe essere in questo caso una vera e propria ordinanza, con l'indicazione delle norme costituzionali che si sospetta siano state violate, con la motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza. Poi giudice è l'assemblea». Ma lui pensa che l'eccezione non sia destinata a essere accolta dalla Corte: «La legge Severino non stabilisce una sanzione, ma un requisito: per avere un Parlamento "pulito" si è ritenuto che non debbano esserci condannati». 

lunedì 26 agosto 2013

L'improbalile....

Ricevendo dall'Huffington Post questi schizzi informativi, li passo ai lettori di questo blog assieme alle mie osservazioni in rosso

Sarà che tra tacchi a spillo, coordinati delle signore, arredi, camerieri, e rombare di macchine blu, il grido sulla fine della democrazia in Italia si è un po' perso. O sarà che le infinite liti sulle stanze della nuova sede di Forza Italia non danno certo l'idea della fine del mondo. Ma quello che per il Cavaliere è sicuramente un momento difficile (dopotutto è lui il condannato) per il resto appare solo una grande "sceneggiata", un improbabile ressa di aspiranti protagonisti ,che nel momento più complicato della vita del loro leader approfittano della luce dei riflettori per conquistare spazio personale.
Fanno sceneggiata anche i testardi del Pd che non sanno distinguere tra idea di giustizia, la quale deve essere sempre presente, in qualsiasi orizzonte ci si ponga, ed opportunità politica: la politica non è né scienza né ideologia, bensì arte del concreto quotidiano; a me DISPIACE che questo partito sia divenuto improbabile esercito di un leader che non c’è, e, se c’è, preferiscono ignorare.  
A questo punto è lecito chiedersi quale sia il disegno, se c'è, del premier Enrico Letta. Perché ormai è evidente - fin troppo - che il ricatto berlusconiano sul governo sancisce, di fatto, il capolinea politico dell'esperienza di queste strambe larghe intese. È per questo che occorrerebbe aprire una fase nuova, chiedendo al popolo di liberare il paese dal ricatto.
Ecco cosa vogliono persone della povera sinistra di oggi!
In un suo recente post Beppe Grillo ha infilato tra le righe una regola nuova di zecca per il Movimento, una regola che avrà di certo il suo peso nello scenario politico italiano prossimo venturo. Per la prima volta Beppe specifica nero su bianco che, in caso di vittoria alle elezioni, il primo ministro indicato dai cinque stelle sarà una "persona interna".
Ecco cosa può conseguire alla testardaggine di tutti
Atteso che Berlusconi sarebbe solo ed esclusivamente uno delle centinaia di migliaia di persone che beneficerebbero dell'amnistia, ce la faranno i nostri eroi parlamentari a ponderare bene alla ripresa dei lavori a settembre il testo e il contesto in cui sono chiamati a prendere una decisione storica?
Sì, forse c’è da porsi soltanto interrogativi
Si va consumando un suggestivo balletto tra esponenti ed intellettuali del Pdl e del Pd attorno al decreto di amnistia o atto di clemenza, varato il 22 giugno 1946 e scritto di suo pugno dal Guardasigilli, Palmiro Togliatti. E siamo ancora qui: ad una rivoluzione da fare e che è tale se ed in quanto è cambiamento di una classe dirigente assai scadente sul piano culturale
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domenica 25 agosto 2013

Teologia femminile?

Rimando chi abbia voglia di approfondire l’argomento papa Francesco e la teologia femminile alla lettura diretta dei testi –clicca quaggiù- da me consultati dietro l’input ricevuto dalle teologhe. Aggiungo le mie considerazioni.
1) Nella conferenza stampa di papa Francesco durante il volo di ritorno da Rio, una prima (in ordine di tempo) osservazione mi salta negli occhi: come sopporta un papa come lui la ridondanza dei titoli applicati a lui? Forse ‘non ci può niente’; ma forse sarebbe consono alla sua personalità tirar fuori il coraggio per negarsi una volta per tutte…
Bella la constatazione che gli fa onore: c’è sempre il pericolo di pensarsi un po’ superiore agli altri, non come gli altri, un po’ principe, sono pericoli e peccati.
Mi spiace che ormai la pensi diversamente dagli anni Ottanta sul movimento carismatico; allora diceva: Questi confondono una celebrazione liturgica con una scuola di samba.
Sintetizzo con le mie parole cosa pensa sul ruolo della donna nella chiesa: lui, di fronte alle severe proibizioni ecclesiastiche alle donne di accedere a ruoli istituzionali, dichiara di doversi comportarsi come figlio della chiesa; nel riconoscere i meriti femminili vuole andare più in là della Mulieris dignitatem e perciò incoraggia una esplicitazione teologica sulla superiorità della donna rispetto al collegio apostolico. Io mi chiedo seriamente che ce ne facciamo, noi donne, delle esplicitazioni teologiche e del riconoscimento di una superiorità rispetto al collegio apostolico, se, di fatto, è questo'ultimo a dettare le leggi.
2) Ivone Gebara, suora del dissenso, non fa che ripetere quanto è stato osservato da tanti circa la sovrabbondanza della presenza femminile nelle parrocchie cattoliche, a cui si accompagna l’esclusione ad un organico inserimento delle donne nei luoghi dove si fa e si insegna teologia in modi rigorosamente maschili.
Sono d’accordo parzialmente sui sospetti della Gebara che questo  papa si possa assestare, suo malgrado, su una linea conservatrice carismatica e più celebrativa nella linea Gospel, anziché dare un impulso ai movimenti di lotta sociale. Io ritengo che la donna, dovrà, è vero, liberarsi dalle pastoie antievangeliche, ma soprattutto ripensare la sua umanità, senza colpevolizzare la cultura maschile e altresì controllare la propria effervescenza di emulatrice –di fatto- della cultura da abbattere.
3) Ad Emma Fattorini chiedo: è davvero convinta che le culture religiose possono essere preziose alleate delle donne e della loro capacità di costruire relazioni buone? Sono pronta ad essere lapidata dalle donne se esprimo il mio dubbio su questo modo di impostare una ricostruzione dell’identità femminile: dobbiamo piuttosto incoraggiare una sana cultura laica.
4) Cosa chiede il teologo Sequeri alle donne?  che debbano essere loro a fare ripartire le storia e la felicità dell’annuncio? Ho stima per le sue buone intenzioni, avvalorate culturalmente, ma io vorrei che alle donne non si chiedesse nulla, come nulla esse debbono chiedere agli uomini. Propongo piuttosto il sederci tutti/e attorno ad un tavolo.
5) Vittoria Prisciandaro lancia on line un appello, firmato da laici e sacerdoti, che richiama la centralità di una Chiesa povera per i poveri, ed evoca il Patto delle catacombe, firmato nelle catacombe di Domitilla il 16 novembre 1965 da una quarantina di padri del Concilio Vaticano II, tra i quali c'era il vescovo Hélder Câmara: Un documento profetico che, se vissuto, potrebbe aiutare la Chiesa a diventare "serva e povera", secondo lo Spirito di Gesù. Un testo che probabilmente anche Papa Bergoglio ha ben presente. Nell'ultima celebrazione eucaristica a Santa Marta prima della pausa estiva, il 6 luglio, ha voluto proprio mandare questo messaggio: Non bisogna avere paura del rinnovamento delle strutture. Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle! Non bisogna temere la novità che lo Spirito Santo opera in noi! Io sto a guardare come quando da bambina assistevo pensosa ai discorsi dei grandi. Rimugino e molte cose non le mando giù: ma chi ci crede che questo papa rinnoverà le strutture della chiesa? Sono d’accordo con una ventottenne ignara di discorsi di chiesa, che proprio ieri osservava: che cosa vogliono da papa Francesco? è un papa!
6) La conferenza delle Superiore Religiose degli Stati Uniti d’America nell’incontro col delegato pontificio è riproposta da papa Fancesco, anche lui, forse, preoccupato per alcune posizioni “di femminismo radicale” e di dissenso inconciliabili con il Magistero della Chiesa. Staremo a vedere. Ma si profila un ridisegno della figura della donna che ha fatto una scelta forte, entro la quale non dovrà soffocare di regole?
7) G. Ravasi presenta una documentazione, densa a tutti i livelli, della presenza, spesso ‘oscurata’, della donne nella storia. Naturalmente è tutto dalla parte delle donne, né fa meraviglia: è caratteristica comune degli uomini intelligenti. Come è caratteristica di quasi  tutte le persone di genere maschile profondersi in esaltazioni, talora deliranti. Io direi, grazie, ora basta! Fatti e non parole.
Consultare per entrare in vivas res:

giovedì 22 agosto 2013

aggiornamenti

22 agosto 2013 – da FOGLIO QUOTIDIANO
di Maco Valerio Lo Prete

Pannella ha in mente un “futuro luminoso” per il Cav. Ecco quale
B. può uscire dall’angolo: diventi leader referendario contro partiti e giornali che intignano nella “guerra civile”,
Una “prospettiva luminosa” per Silvio Berlusconi esisterebbe pure, ma rimane soltanto una manciata di giorni per coglierla. Il leader del Pdl, con una sentenza di condanna per evasione fiscale appena confermata dalla Cassazione e con il voto sulla decadenza da senatore letteralmente all’ordine del giorno (o quasi) in Parlamento, potrebbe trovare buoni motivi per non rabbuiarsi e perfino per puntellare il governo di larghe intese. A patto di prestare ascolto a Marco Pannella. Che non ha certo smesso i panni del leader radicale per improvvisarsi consigliere, tutt’altro. Da cinque giorni ha infatti ripreso lo sciopero della fame – cioè tre cappuccini o tre spremute d’arancia al giorno, questo è consentito dall’aggiornamento radicale della nonviolenza gandhiana – e dalla mezzanotte di ieri ha smesso anche di bere: “Dopo 30 anni di flagranza criminale, lo stato italiano deve uscirne. L’amnistia è lo strumento”, dice Pannella al Foglio. E in questa sua lunga e spesso solitaria battaglia per una “giustizia giusta”, c’è tempo e modo, oltre che “l’opportunità” (avrebbe detto nel diciannovesimo secolo il Léon Gambetta tanto caro allo stesso Pannella), per coinvolgere Berlusconi e fornirgli una “exit strategy” dallo stallo in cui si trova, in compagnia di tutta la politica italiana.
“A Berlusconi, così come al paese, non occorre una via di fuga. Occorre una prospettiva”, dice il leader radicale. “Quella prospettiva c’è ed è costituita dai nostri dodici referendum, sei sulla giustizia e sei sui diritti civili. In molti ci hanno preannunciato il loro sostegno su alcuni quesiti, dal Pdl ai socialisti, inclusa la Cgil, ma la raccolta delle firme procede con moltissime difficoltà e dobbiamo arrivare entro settembre a oltre 500 mila. Ecco, per ridare slancio alla raccolta e non limitarsi a un sostegno burocratico, occorrerebbe che Berlusconi ne firmasse alcuni pubblicamente, recandosi a uno dei nostri tavoli, e poi ripetesse il gesto per gli altri quesiti, questa volta in un ufficio comunale”. Separazione delle carriere per i magistrati, introduzione della responsabilità civile per gli stessi e rientro nelle loro funzioni per quelli fuori ruolo, fine degli abusi della custodia cautelare in carcere e abolizione dell’ergastolo, ecco i quesiti sulla giustizia. “Sono riforme che a parole Berlusconi e il centrodestra hanno sostenuto per anni, al punto di far fallire nostri precedenti referendum perché tanto si sarebbero incaricati loro di occuparsene in Parlamento. Se Berlusconi non muove un dito, sarà nuovamente lui ad affossare questo cambiamento”. In caso di impegno, invece, l’acqua non arriverebbe soltanto al mulino radicale o alla causa della giustizia giusta: “Se si spendesse per la raccolta di firme, Berlusconi potrebbe dire: ‘Io ho dieci milioni di voti, ma nella struttura di regime attuale – dove ‘regime’ è inteso in senso scientifico, a indicare l’attuale assetto di partiti e magistratura – mi trovo nella condizione in cui mi trovo’”. Cioè nell’angolo, agli arresti domiciliari o ai servizi sociali che sia, e a rischio di espulsione dalla normale vita politica. “E potrebbe aggiungere: ‘Ora quindi mi impegno perché agli italiani sia garantito il diritto di pronunciarsi su tutti e dodici i referendum radicali, non soltanto su quelli della giustizia’. All’improvviso, a patto di infondere speranza invece che paura anche nella cerchia più stretta dei suoi collaboratori, si troverebbe nuovamente al centro di una battaglia contro tutta la partitocrazia. La sua mossa coinvolgerebbe l’opinione pubblica in un dibattito fortissimo, sulla tv e sulla rete, un dibattito incentrato però sulle possibilità future. E’ o no una prospettiva luminosa?”. Per ora, nei media, è più forte la voce di quanti vorrebbero chiudere definitivamente una “guerra civile” ventennale tra berlusconiani e antiberlusconiani, sbarazzandosi del leader politico e riducendo tutto a un episodio di giustizia penale: “Questo esito si fa sempre più probabile se la discussione rimane confinata a ‘in galera sì’ o ‘in galera no’. Mentre auspicare questo finale, in un dibattito che nel frattempo si fosse elevato su tutti altri temi, farebbe apparire molto piccoli quei rinfocolatori”. Da mettere in conto, poi, un effetto spiazzamento sugli altri partiti: “Cosa dirà il Pd sui referendum? Cosa dirà la sinistra anche sulla proposta di amnistia? Con un confronto simile, il quorum sarebbe possibile, e quindi anche la scelta degli italiani che su tanti temi, giustizia inclusa, sono tutt’altro che in linea con lo status quo”. 
Ricadute immediate, a seguire il ragionamento pannelliano, ci sarebbero anche per il governo di larghe intese sostenuto da Pd, Pdl e Scelta civica: “Se l’obiettivo pubblico diventa quello di acquisire questo appuntamento referendario nel 2014, allora vorrei vedere chi avrà il coraggio di far sciogliere le Camere per rinviare e impedire la consultazione. Poi il governo sarebbe sgravato dalla discussione di tanti temi oggi considerati spinosi, sui quali si pronunceranno direttamente i cittadini, e non avrebbe per esempio più scuse per non concentrarsi sui temi economici. A quel punto anche il dibattito sull’Imu diventerebbe una piccola cosa”. Né è da escludere, dice il leader radicale, che nel governo si possa formare un fronte “pro amnistia”: “Il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ha detto che quella è l’unica riforma strutturale per avviare un cambiamento nel nostro sistema giudiziario e nella sua appendice carceraria. Ha usato termini netti, gli stessi che utilizziamo noi Radicali da anni”. E’ stata pure investita dalle critiche, accusata di voler puntare in fondo a salvare Berlusconi: “Vorrei far notare che ancora ieri (due giorni fa, ndr) il ministro è intervenuto al programma ‘Radio Carcere’ su Radio Radicale per sostenere le sue ragioni. Sa bene a cosa va incontro. D’altronde nel governo non è sola, per questo non escludo che un fronte in tal senso si possa formare nell’esecutivo Letta”. Sostiene Pannella che “non appena ci fosse anche soltanto l’annuncio di una amnistia, o dell’intenzione di muoversi verso le riforme che portiamo avanti per via referendaria, dopo al massimo cinque giorni la Corte europea dei diritti dell’uomo ritirerebbe i suoi ultimatum all’Italia, con annesse costosissime multe. Idem per i richiami dell’Unione europea. E in tempi di antieuropeismo montante, pure questo passo istituzionale sarebbe importantissimo per l’Italia”.    

Per ora però, stando ai retroscena, Berlusconi ragiona a lungo sulle ricadute che la decadenza da senatore potrebbe avere sulla sua libertà personale in caso di ulteriori iniziative della magistratura. Possibile che sia disposto, in questa situazione, a intestarsi dei referendum per cui si voterebbe nel 2014? Pannella risponde con un’analogia, “anche se le situazioni bisognerebbe ricostruirle sempre nei dettagli. Silvio infatti si è sicuramente ricordato di quanto io, nel 1993, dicevo a Bettino Craxi: ‘Speriamo che la Camera voti contro di te, che questi partiti concedano l’autorizzazione a procedere a stragrande maggioranza, così a settembre tu ritorni dopo le vacanze, ti presenti a Rebibbia, dopodiché lì ti faranno i massaggi, sarai aiutato a non fumare, e alle elezioni di aprile avrai il 20-25 per cento dei voti’. Insomma, il punto è che quanto deve accadere accadrà comunque, consiglieri di guerra e avvocati di Berlusconi ci potranno fare poco. Ma se lo scenario peggiore per Berlusconi si realizzasse nel caldo di una mobilitazione dell’opinione pubblica, invece che nel solito dibattito ‘Berlusconi vs. Boccassini’, allora sarebbe tutta un’altra cosa”. Per Berlusconi e non solo per lui, è la certezza di Pannella.

mercoledì 21 agosto 2013

Perplessità

Editoriale di Sergio Romano sul Corriere
DOPO LA SENTENZA in cassazione 
Piaccia o no, la sentenza della Cassazione ha creato una situazione che nessuno può ignorare. Occorre aspettare che la Corte d'appello di Milano definisca nuovamente la durata delle pene accessorie e del periodo nel corso del quale Silvio Berlusconi non sarà eleggibile. Ma è ormai certo, salvo circostanze oggi imprevedibili, che il leader del Pdl trascorrerà un periodo agli arresti domiciliari o in affidamento ai servizi sociali e non farà parte del Parlamento. Non so se la sua carriera possa considerarsi definitivamente conclusa. Ma un uomo duttile e realista, come Berlusconi ha dimostrato di essere in parecchi casi, non può ignorare che la sentenza, nella parabola della sua vita politica, è un imprescindibile spartiacque.
È ancora aperta, invece, un'altra questione più gravida di immediate conseguenze politiche: se Berlusconi abbia il diritto di restare in Parlamento in base alla legge Severino sulla corruzione. Quando l'applicazione della legge a un deputato o a un senatore esige un passaggio parlamentare (prima nella giunta delle elezioni, poi nell'Assemblea di appartenenza), il problema smette di essere esclusivamente giuridico. Nessuno può dimenticare che la cacciata di Berlusconi dal Senato avrebbe effetti politici. È possibile delegittimare il leader di un partito senza che quest'ultimo resista alla tentazione di considerarsi punito, offeso, vittima di una strategia ostile? È possibile, se il partito è membro di una coalizione governativa, che la sua decapitazione, per mano di quelli con cui deve governare, non si ripercuota sulla qualità e sulla durata della convivenza? È utile per il Paese andare con gli occhi bendati verso una crisi (possibile se non addirittura probabile) nel momento il cui il maggiore interesse nazionale è la stabilità?
È difficile immaginare che i membri della giunta non siano consapevoli dell'esistenza di questi e altri interrogativi. Si potrebbe osservare che vi sono questioni di pubblica moralità in cui un parlamentare ha il diritto e il dovere di votare secondo coscienza. È vero. Ma la coscienza dei membri della giunta sarebbe ancora più tranquilla se si dimostrassero consapevoli di questi rischi e dessero spazio, prima di pronunciarsi, all'esame di certi dubbi sulla applicabilità delle legge Severino che sono stati sollevati anche da giuristi non conosciuti per le loro simpatie berlusconiane. Se accettassero questa riflessione dimostrerebbero, oltre a tutto, che anche la politica ha diritto alla sua autonomia e che non vi è equilibrio fra i poteri dello Stato là dove uno trasferisce automaticamente le decisioni dell'altro nell'area di propria competenza.

Questo delicato passaggio diverrebbe meno difficile se Berlusconi, dal canto suo, si rendesse conto delle proprie responsabilità. Ha fondato un partito che continua ad avere i consensi di una parte del Paese e ha creato così le condizioni per una democrazia dell'alternanza. Spetta a lui evitare, con un passo indietro, che questo partito dipenda interamente dalla sua leadership. Spetta a lui assicurare la transizione e lasciare dietro di sé un personale politico capace di raccogliere quella parte della sua eredità che è ancora utile al Paese. È questo il lavoro «socialmente utile» che potrebbe dare un senso al crepuscolo della sua avventura politica.

martedì 20 agosto 2013

(non)Politica di oggi!

20 agosto 2013-08-20 - Corriere - di Antonio Polito
IL PRECEDENTE DEL '93
IL CAVALIERE, CRAXI E QUEL DISCORSO DA EVITARE
LA TENTAZIONE DI RIPETERE L'ATTACCO AI GIUDICI CHE PORTÒ ALLE MONETINE DEL RAPHAEL

Se davvero Silvio Berlusconi pronuncerà il suo gran discorso contro i giudici al Senato, prima del voto che potrebbe espellerlo dal Parlamento, allora l'impressionante analogia tra la fine della Prima Repubblica e la crisi della Seconda sarà completa. E non sarà una buona notizia per l'Italia, perché la Storia non dovrebbe mai ripetersi. Una democrazia che vive per due volte in vent'anni il trauma di un collasso politico per via giudiziaria è infatti certamente malata.
Fu proprio un discorso alla Camera di Bettino Craxi a mettere una pietra tombale sull'assetto politico del Dopoguerra. E non mi riferisco a quello più celebre del 3 luglio del 1992, molto evocato in questi giorni, in cui il leader del Psi, ancora solo sfiorato dalle inchieste su Tangentopoli, usò il dibattito sulla fiducia al primo governo Amato per una formidabile chiamata di correo a tutti partiti sul finanziamento illegale: «Se gran parte di questa materia deve essere considerata puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'Aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo». Nessuno si alzò. Ma nessuno ebbe neanche il coraggio di riconoscere che si trattava di un problema politico, da risolvere politicamente. Tutti sperarono che la campana suonasse solo per Craxi. E le cose andarono diversamente.
Dieci mesi dopo, il 29 aprile del 1993, il leader socialista fu infatti costretto a ripetere quelle frasi in un contesto ben diverso: non più per salvare il sistema ma per salvare se stesso, per chiedere all'aula di Montecitorio di respingere le richieste di autorizzazione a procedere della Procura di Milano contro di lui. Ed è a quell'intervento, l'ultimo mai pronunciato da Craxi in un'aula parlamentare, che il discorso cui starebbe lavorando Berlusconi pericolosamente si avvicina.
Fu infatti un attacco ad alzo zero contro i pm di Milano. Una requisitoria contro gli «arresti illeciti, facili, collettivi, spettacolari e perfino capricciosi... le detenzioni illegali che fanno impallidire la civiltà dell'habeas corpus... le violazioni sistematiche del segreto istruttorio... la giustizia che funziona ad orologeria politica... il teorema... le inchieste su di me, sulle mie proprietà, sui miei figli, sui miei amici...». È difficile che, per quanto possa essere originale, Berlusconi riuscirà a fare di meglio: frasi e giudizi di quel discorso sono da allora diventati il canovaccio di ogni polemica sull'«uso politico della giustizia», per usare il titolo del libro di un altro socialista, Fabrizio Cicchitto, cui si dice che Berlusconi si stia ispirando in queste ore. Ma è anche impressionante che l'uomo che conquistò l'Italia sull'onda di Tangentopoli e della crisi del debito pubblico del '92, chiamandola alla rivolta contro i vecchi partiti incapaci e corrotti, rischi ora di uscire di scena sconfitto sugli stessi fronti, i processi e i mercati, come se in questo ventennio di dominio elettorale non fosse riuscito a cambiare neanche una virgola dell'equazione politica nostrana.
Quell'ultimo discorso di Craxi ebbe un effetto straordinario. Positivo per lui nell'Aula, dove la sera, a sorpresa, e forse con l'aiuto segreto dei leghisti che puntavano a far saltare tutto, la maggioranza dei deputati respinse la richiesta dei pm sotto gli occhi di Giorgio Napolitano, allora seduto sullo scranno più alto di Montecitorio. Ma ebbe un effetto catastrofico, per Craxi e per tutta la Prima Repubblica, fuori dall'Aula. La sera dopo, davanti all'Hotel Raphael a Roma, ci fu la orribile gogna delle monetine, che cambiò per sempre la cultura politica del nostro Paese; il governo Ciampi e l'intera legislatura ne uscirono irrimediabilmente azzoppati; Craxi fu costretto a dimettersi da segretario, perse nel '94 l'immunità parlamentare e prima che potesse essere arrestato fuggì ad Hammamet, da esule secondo i suoi sostenitori, da latitante secondo i suoi persecutori.
Un discorso analogo, non foss'altro che per scaramanzia, sembrerebbe dunque sconsigliabile oggi a Silvio Berlusconi, anche se bisogna ammettere che le differenze, tra tante analogie, non mancano. Craxi infatti, al momento in cui prese la parola in Aula, era già stato condannato dal tribunale dell'opinione pubblica, che aveva individuato in lui l'agnello sacrificale perfetto per liberarsi di una Repubblica da tempo sprofondata nella corruzione e nell'inefficienza, rivelate all'improvviso come all'alzarsi di un sipario dalla caduta del Muro di Berlino. Berlusconi ha invece ancora oggi una consistente parte dell'Italia dalla sua parte, e su quella evidentemente conta nell'ipotesi di un'ultima, forse disperata battaglia elettorale, nella speranza che l'Italia di oggi sia disposta a mettere per molti mesi da parte lo sforzo di ripresa economica per dedicarsi al duello finale tra giustizia e politica.

Soprattutto, la strategia di Berlusconi non può contemplare l'espatrio come extrema ratio. Non glielo consente la vastità degli interessi che sarebbe costretto a lasciarsi indietro, abbandonati a una sorte incerta: le aziende, i figli, le case, un partito. Senza contare che, a differenza di Craxi quando varcò il confine, Berlusconi non ha più il passaporto. 

lunedì 19 agosto 2013

Letta a Rimini

ANCHE LETTA ORMAI MI DELUDE: ecco perché:
a) NON E’ UOMO DALLE IDEE FORTI
b) CERCA L’APPOGGIO DEI CIELLINI
c) SI CONTRADDICE QUANDO PARLA DI DIALOGO MA SI CONTRAPPONE A CHI GLI PUO’ FARE OMBRA
- Se volete, leggete l’articolo di Stefano Feltri del 18 agosto 2013
Io ho solo da aggiungere che con queste premesse tutto può succedere alla povera Italia!!!!

Alla kermesse di Rimini il presidente del Consiglio "seduce" i ciellini puntando sull'abbraccio col centrodestra e sulla "forza fecondatrice dell'incontro". E lancia la sfida per la segreteria del partito, in contrapposizione al sindaco "rottamatore".
Al meeting di Rimini Enrico Letta non ha tenuto un discorso di circostanza, ma ha iniziato la sua campagna elettorale. Per il congresso del Pd, come minimo: con Giorgio Napolitano come divinità protettrice, la base di Comunione e liberazione come elettorato in cerca di riferimenti e Matteo Renzi come diretto avversario. Nessun riferimento a Silvio Berlusconi, se non contingente, obliquo, “gli italiani puniranno chi anteporrà interessi di parte e personali all’interesse comune che è l’uscita dalla crisi”. Parole che valgono sia per il Cavaliere che per i renziani, sempre incerti tra fedeltà alle larghe intese e desiderio di contarsi nelle urne.
Letta ha fatto un vero discorso programmatico che si può riassumere così: basta con l’idea che la politica sia contrapposizione tra due fronti opposti, le larghe intese sono un metodo che può durare, secondo l’antica tradizione italica di trasformare il provvisorio in definitivo.
Giorgio Vittadini, il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà (una delle istituzioni di Cl), nella conferenza stampa di fine giornata, commenta così l’intervento di Letta: “E’ una scelta di campo, non per l’inciucio, ma per una collaborazione in chiave europea. Siamo in una emergenza come nel 1946”. C’è un livello di lettura del discorso di Letta che è quello ciellino: il premier sa come compiacere il suo pubblico, cita don Giussani (i ciellini non dimenticano che era presente al funerale, assieme aPier Luigi Bersani, nel 2005), il salmo ottavo, il trionfo della democrazia liberale sul comunismo (anche se sbaglia le date e più volte parla di quando c’era l’Urss “13 anni fa”), ripete più volte la parola-totem dei ciellini, cioè sussidiarietà, rilegge l’intervento di Napolitano per l’accettazione del secondo mandato come una citazione e conseguenza delle parole del capo dello Stato durante la sua visita al meeting nel 2011.
Ma Letta è più interessante leggerlo in una chiave tutta interna al centrosinistra. Di fronte all’inarrestabile avanzata di Matteo Renzi, che proclama cambiamento, rottamazione e, soprattutto, vittoria, Letta offre altro. Non è uomo di idee forti, il premier, ma propone un metodo che ai ciellini piace moltissimo: “La forza fecondatrice dell’incontro vince sempre sul conflitto” e, prevenendo le obiezioni, “l’incontro non è annullamento della propria identità, l’incontro fa paura solo a chi è incerto dei propri valori”. Renzi propone il rischio dello scontro frontale, Letta la scommessa del dialogo, come direbbero i ciellini. Se volete un Pd che può vincere, ma può anche perdere, scegliete Renzi, se preferite un partito dialogante, mediatore, che governa senza vincere e abbraccia il centrodestra invece che respingerlo, allora scegliete Letta. I ciellini sono il pubblico ideale per questo messaggio.
La presidente della Fondazione Meeting Emilia Guarnieri apprezza soprattutto “il passaggio sulla paura che sia l’altro a vincere” e “la decisione di non voler interrompere questo percorso di speranza”. Giorgio Vittadini spiega che Cl non si schiera apertamente, che “le scelte competono al singolo”. Ma sottolinea che “l’amicizia con Letta nasce da molto lontano, era uno dei capi dell’intergruppo sulla sussidiarietà”.
Con Renzi l’approccio è molto più cauto, per il momento al meeting c’è soltanto, come ambasciatore del sindaco di Firenze, il deputato Dario Nardella. E’ chiaro che per Cl sarebbe molto meglio sostenere un Letta moderato e dialogante (purché vincente) piuttosto che legarsi ai reduci berlusconiani nella nuova Forza Italia ad alto rischio flop. Letta è consapevole che non si vince di sola tattica. Che i ciellini li ha già conquistati. E ora bisogna neutralizzare Renzi su altri piani. E ci prova, pur con la differenza di carisma evidente tra i due: il premier ruba al sindaco la trinità “terra, bellezza, tempo”, evoca muretti sardi come metafora dell’Italia, parla dell’Italia come di un Paese da riscoprire: “’Da mio nonno agronomo ho tratto l’insegnamento che gli italiani fanno le cose belle che durano”. E’ il registro che Renzi sta usando da mesi, traducendo in politica le intuizioni di marketing del suo amico e consigliere Oscar Farinetti, l’imprenditore di Eataly.
Il premier parla molto di Europa, di ripresa, si prende i meriti di uno spread a 230 (che sui mercati tutti attribuiscono alle politiche delle banche centrali, più che al governo), inizia già a far pesare la sua competenza, trasforma quattro mesi da premier in una fonte di prestigio e autorevolezza  internazionale con cui il sindaco di Firenze non potrebbe competere.
Quello che conta è conquistare l’elettorato di centrodestra deluso da Berlusconi che alle ultime elezioni si è sparpagliato tra Beppe Grillo e astensionismo. Renzi aveva iniziato a sedurli con un approccio berlusconiano, quello della marcia verso la vittoria, dell’uomo solo al comando che forza le burocrazie dei partiti e conquista il potere piegando il sistema. Letta risponde con mosse avvolgenti, perfettamente democristiane, di inclusione invece che di contrapposizione. In fondo Renzi deve ancora dimostrare tutto.

Letta, al pubblico di Cl, offre già dati concreti: due dei leader del movimento, Mario Mauro e Maurizio Lupi, sono già al governo. Sullo sfondo c’è però l’innominabile. Silvio Berlusconi. Che forse sarà davvero politicamente morto, ma nessuno osa neppure citarlo. Non si sa mai cosa può ancora combinare.

sabato 17 agosto 2013

Papa Francesco e le donne

BREVE PREMESSA
Papa Francesco sorride dalla copertina di Vanity Fair (che lo ha eletto da poco uomo dell’anno) e da una folla di altre riviste.
Quali i motivi del fascino universale che emana dalla sua persona? Il cristianesimo ha prestato alla storia il termine  chárisma, cioè dono, per indicare l’alone di suggestione di cui sono circondati i personaggi di ieri e di oggi. Applicato a papa Fancesco dai mass media il termine è meno convincente: il systeminternazionale mediatico si impadronisce delle figure di spicco e le manipola con strumenti più raffinati e comunicativi mai così pervasivi e deformanti. C’è il pericolo che lui ne esca, di fronte all’opinione pubblica,  rivestito di panni non suoi a detrimento di quel carattere spirituale che dovrebbe caratterizzare gli uomini di Dio.
IL PAPA E LA TEOLOGIA FEMMINILE
Attingo ad una laica -non so se atea- come Ritanna Armeni, poiché teologhe, assieme ad esperte di femminismo, inseguono le elaborazioni di tale movimento di idee con poche sostanziali novità rispetto agli approfondimenti del passato sulla differenza femminile e sull’uguaglianza dei generi.
Ma anche la Armeni così conclude il suo intervento sulla questione ne il FOGLIO QUOTIDIANO: Ci dica [questo papa], una volta escluso – e decisamente – il sacerdozio femminile, una volta rifiutata la strada secolare alla eguaglianza, una volta esaltata, e fino in fondo, la diversità, come questa possa vivere in una chiesa che oggi anche le donne più rispettose e comprensive, che a essa hanno dedicato la loro vita, non possono non definire misogina.
Le rispondo sinteticamente: ma che? non è misogino il mondo della politica? non è misogina una società nella quale gli uomini restano impigliati da complessi di inferiorità e ricorrono all’uso rudimentale della superiorità della forza fisica, così come restano impigliate le donne nella rivendicazione dei propri diritti di persone? e ci lamentiamo di una chiesa misogina? o pretendiamo che debba essere questo papa o la chiesa a determinare la rottura con la società patriarcale?

E… se le donne non seguissero ciecamente l’onda delle mode ideologiche nel loro aspetto più aberrante?
Non voglio caricare su di loro alcun obbligo superiore a quello che hanno gli uomini: ma, prima di criticare a destra e a manca, cominciamo a guardare a noi stesse.
Per fare una esemplificazione, sarebbe ora che le consacrate non ignoranti, alla pari delle esperte femministe di religione cristiana o di altre appartenenze religiose, e di donne lontane da ogni religione, ponessero una questione che riguarda tutti.
L'indirizzo fondamentale dovrebbe essere la maturazione sociale non impostato sul bisogno di occupare spazi esclusivi da parte di nessuno.
Il papa e tutta la gerarchia maschile celibe gerarchica cattolica sarà piegata al cambiamento da fenomeni di trasformazione sociale, alla quale TUTTI/E dobbiamo concorrere.     

mercoledì 14 agosto 2013

Femminicidio oggi

IL FEMMINCIDIO INASPRISCE! - Pensieri alla spicciolata
Viene da sbottare: “non se ne può più”. Poi, riflettendo sui possibili rimedi, ci persuadiamo che il primo ineliminabile passo da compiere sia il mutamento dell’atteggiamento culturale, oggi contrassegnato da maschilismo violento.
I nostri  passaggi mentali scivolano facilmente verso altre considerazioni, come quella sul femminismo insufficiente a porre una barriera contro il maschilismo: un femminismo capace, forse, di degenerare in maschicidio.
I fatti del giorno però sono quello che sono. Resteremo inerti a guardarli o ad inseguire le nostre analisi?
Sarò una fissata, cioè una inchiodata attorno a quell’unico cardine su cui si regge quel che resta della mia sanità mentale, ma ripeto testardamente: la soluzione di ogni problema che accerchia e comprime l’umano è fuori del nostro io; è nella fede e nella preghiera, così come è nel fare tutto il possibile qui ed ora. Ad ogni ragionamento dovremmo dirci che il semplice ragionare – sia dentro di noi sia con gli altri – è la cosa più inutile. Un gesto concreto vale più di mille discorsi.
Ma cosa è possibile fare???
Aiutare le donne: le ragazze che sono senza pudori e non sanno in quali pericoli incorrono; le donne che hanno imparato a rispettare la propria libera determinazione e l’hanno scambiato con l’arbitrio; le donne che amano essere succubi per bisogno di protezione…
La sfilata dei motivi per aiutarle è lunga...
Se volete, continuate voi. O vi bastano le chiacchiere da comari?