sabato 25 ottobre 2014

La chiesa e la famiglia

di J.M. Castillo su LA CHIESA E LA FAMIGLIA

Che cosa vuole risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la famiglia in questo momento?
Come è logico, la prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è che i problemi trattati al Sinodo non sono quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza delle famiglie nel mondo.
L'angoscioso problema della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con cui arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno, questi argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto ci risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle commissioni o sessioni del Sinodo.
Questo dà motivo di pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che quelli che hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che possono dare l'impressione di essere più preoccupati per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per le sofferenze e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche più di quante immaginiamo.
Non è necessario essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi logicamente la domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli argomenti che ho appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli economisti e dai politici.
Anche nell'ipotesi che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente l'economia e la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i politici? Ed allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della gente, i diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo o dobbiamo far nulla?
Questa è la prima grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare soprattutto, e prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi capi. Lo dico per tempo, quando ancora abbiamo un anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando ai problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa? Gente che “si ama”? O gente che “si sottomette”?
Confesso che queste domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io stesso sto vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da quando sono coinvolto in ambienti clericali.
Tanto in Spagna che fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che i problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo. Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono risolti.
Mentre i temi legati all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza, che di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è davanti agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano ad allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze, mentre quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la questione posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in generale, problemi legati al sesso.
Ecco, per fare un esempio, vediamo la differenza di trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci porta – a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni affrontano in maniera tanto diversa i problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle “relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di vista della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa materia, Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto un’unità economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il matrimonio non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era considerato il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad. it., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si concentrava tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea paterna stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo potere.
Più ancora, un figlio non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G. Stein, El Derecho romano en la historia de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente suo questo diritto. In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia, dell’anno 619, definisce il diritto romano come lex mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero sottomettersi tutti i popoli (cf. E. Cortese, Le Grandi Linee della Storia Giuridica Medievale, Il Cigno GG Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in questo contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la Chiesa, man mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato dall'Impero romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo sistema organizzativo quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a quello che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in materia: “La religione è generalmente accettata come un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili” (Walter Burkert, La creación de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la “sottomissione”. E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa sottomissione, i rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono limitati da una religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si può dimostrare che alcuni sono preumani” (op. cit., p. 156).
La sottomissione, a partire dalle società preumane, si esprime creando l'impressione che uno produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra, strisciando, insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato che i rituali religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression, Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad. it., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano 2008]; I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen, Munich, 1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1996]).
Ebbene, la cosa più sorprendente, in tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi base della famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte fanno riferimento tanto alla famiglia quanto alla religione. Sappiamo, infatti, che Gesù, sia per quanto si riferisce alla famiglia sia per quanto riguarda la religione, ha assunto pubblicamente e senza ambiguità un atteggiamento sommamente critico. Mi spiego.
Per quanto riguarda la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti costanti e crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali. A questo si riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi sacerdoti e gli anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e all'esecuzione violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái (Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma i ribelli politici, come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è stato l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la religione di Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione (come il Dio che rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell' “umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e tuttavia non è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello che si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua famiglia furono tese e complicate: i suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo disprezzavano perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra parte, la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno gli dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù fu di dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono in pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per quanto si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire che non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53; 14, 26-27).
Anzi, Gesù arrivò a toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate 'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una proibizione così forte, in quella cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di quel modello di relazioni familiari. I grandi, gli importanti, non sono i “padri” ed i “gerarchi”, ma i “bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire tutto questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano che viene al mondo.
Al contrario, le relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e da sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più bella, più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro e in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione, né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri, con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale comunicazione possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio l'esperienza ci dice che dove c'è affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto conto di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna la domanda iniziale: che cosa vuole la Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente, papa Francesco, convocando e programmando il sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere a problemi urgenti che riguardano migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna supporre che papa Francesco, convocando questo sinodo, esigendo libertà di parola sui problemi e trasparenza nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni sinodali, quello che ha fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di marcia indietro, un processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti che, in questo momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è accaduto è che, non solo si è messo in moto questo processo, ma, oltre a questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa persiste molto vivo un settore importante di clero (a tutti i livelli) e di laici che identificano le credenze cristiane con posizioni immobiliste e intolleranti che, per di più, dal punto di vista della più documentata, sana e ortodossa teologia, sono posizioni indimostrabili.
E, pertanto, posizioni che nascondono pretese inconfessabili di potere e autorità che si orientano di più a mantenere intatta la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare la “libertà” che nasce dall'affetto tra gli esseri umani.
La situazione è delicata. Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella Chiesa.
Però non possiamo stare in modo incondizionato con coloro che identificano il cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di riti sacri, che produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un passato e ad una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in cui viviamo.
Un cristianesimo così, produce persone molto religiose e un clero fedele a gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i privilegi che offre loro il potere politico che con la libertà indispensabile per ottenere una società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo vivere in giustizia e uguaglianza di diritti.
Se il nostro progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e al suo vangelo non abbiamo altro cammino da fare se non l'apertura al futuro che insieme dobbiamo costruire.

Anzi, se amiamo veramente la Chiesa e vogliamo essere fedeli alla “memoria pericolosa” di Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci sta aprendo e tracciando papa Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci porta alla meta a cui aneliamo.

martedì 21 ottobre 2014

Sinodo e i diritti degli omosessuali

SINODO E I DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI
La maratona del Sinodo straordinario sulla famiglia voluto direttamente da Papa Francesco si è conclusa oggi. Le innovazioni non sono ampie come le avrebbe volute Bergoglio, se si considera che sui tre paragrafi più delicati della relazione finale - quelli riguardanti gli omosessuali e la comunione ai divorziati risposati - non si è raggiunta la maggioranza dei due terzi. In un dibattito che comunque non ha precedenti nella storia della Chiesa, i padri sinodali hanno in un certo senso frenato la spinta innovatrice del Papa argentino, che tuttavia ne esce vincitore per aver favorito il primo vero dibattito nella storia dei Sinodi della chiesa cattolica.
Gli unici tre paragrafi della relatio synodi a non aver ottenuto la maggioranza dei due terzi sono anche i più spinosi, quelli che toccano i nodi dei divorziati risposati e dell'omosessualità. Tutti gli altri paragrafi, a quanto si apprende, sono stati approvati ad ampia maggioranza. Sulle questioni maggiormente controverse, Papa Francesco avrebbe verosimilmente preferito delle prese di posizione più forti, ma per ora ha dovuto acconsentire a un testo finale molto più cauto, e che comunque rimanda ogni decisione all'anno prossimo.
ORA LA CHIESA AVRÀ UN ANNO DI TEMPO - FINO AL SINODO ORDINARIO PREVISTO PER OTTOBRE 2015 - PER "MATURARE" LE SUE POSIZIONI.
La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei 'buonisti', dei timorosi e anche dei cosiddetti 'progressisti e liberalisti'. La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati cioè di trasformarlo in 'fardelli insopportabili'. La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo spirito di Dio.
"Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. Diversi padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all'Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un'accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste.
L'eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che 'l'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate" da diversi 'fattori psichici oppure sociali'".
Anche il punto 53 è stato approvato a maggioranza semplice (112 favorevoli e 64 contrari). Eccone il testo:
"Alcuni padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio".
Un risultato ancora migliore ha avuto il punto 55 che riguardava "l'attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale" (approvato da 118 e respinto da 62 padri):
"Alcune famiglie vivono l'esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: "Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia". Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. 'A loro riguardo si evitera' ogni marchio di ingiusta discriminazionè" come raccomanda già la Congregazione per la Dottrina della Fede, nelle "Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali".

Articolo di GIANNI GENNARI
Cose della vita…Voci dal Sinodo come musica attesa da una vita.
Molti mi chiedono perché in questi giorni non scrivo su “Avvenire” e sembra che non parli…E’ vero! Due ragioni e una eccezione. La prima ragione, contingente, è necessitata da circostanze concrete e private. La seconda, la più importante finora, è che nel momento in cui la Chiesa, la Chiesa che è anche mia – senza alcuna esclusività – si trova in un momento in cui finalmente parlano sia il Papa – questo Papa in particolare – e duecento vescovi, allora mi pare che valga la pena di ascoltare, piuttosto che di parlare…
Faccio però una eccezione sommando diverse letture. La prima è che i giornali parlano di scontro, mentre si tratta di diversità di visione teologica ed anche ecclesiologica. Una delle parti in contrasto, però, rivendica unicamente alla sua opinione, per quanto illustre e magari impostasi da molto tempo come “la” lettura “cattolica”, la coerenza con la fede cristiana e cattolica. Quando il cardinale Burke scrive sul “Foglio” che siamo di fronte ad un tradimento della fede, addirittura appoggiata da un confratello come Kasper, e quindi traditore in primis, e sotto sotto – anche sopra sopra – si fa intendere che il realtà chi ha già tradito e tradisce, o si prepara a tradire ancora più pesantemente è il Papa, allora per costoro la diversità diventa automaticamente “eresia”. Kasper è stato insultato per questo a sufficienza, anche da colleghi con un libro intero che non si accontenta di esporre le idee proprie degli illustri Autori, confratelli di Kasper, ma pretende di essere portavoce della “vera” fede contro i traditori, tutti, vestiti come siano, anche di bianco…Potrei portare tanti esempi, ed è evidente che questa “contromusica” non è iniziata per il Sinodo, ma va avanti da più di un anno e mezzo. Se qualcuno rivendica solo a sé, e ai suoi, la lampada accesa della fede definita e della Tradizione (T maiuscola, come ricordava Giovanni Paolo I), in questo modo è lui stesso che “strappa” (airéo, da cui eresia in greco dice proprio strappo) l’unità della fede e della vita comunitaria.
E infatti ecco che dopo Kasper l’accusa, oggi, si sposta su un altro bersaglio: è uscita la relatio post disceptationem e nel mirino emerge Bruno Forte. In realtà da molti anni il teologo Forte, poi vescovo e ora scelto dal Papa (già: proprio quello che “non piae”!) è da certe fonti di scuola teologica nota dai tempi del Concilio e anche prima, esplicitamente accusato di eresia. Come unico esempio – che è lì da anni, in rete si trova sempre una lunghissima arringa di mons. Brunero Gherardini, teologo di “scuola romana” da sempre anticonciliare – quella per cui Paolo VI stesso era “eretico” (parola esplicita di mons. Antonio Piolanti davanti ad un aula colma di studenti, nel 1965) – che avanza l’accusa di negazione della divinità di Cristo – una bazzecola, vero? Ndr) per il semplice fatto di usare la formula “il Dio di Gesù Cristo”! Non basterebbe, a parte le spiegazioni fornite da Forte con pazienza e più volte nei suoi stessi scritti, capire che si tratta di un genitivo epesegetico, per cui quel “di” sta anche per “che è…”? Non basta, e in rete, sempre stesse fonti, ancora rimbalzano le accuse al Concilio, a Papa Giovanni, a Paolo VI – anche con innominabili calunnie propalate da 50 anni!
E dopo Forte – vedremo! – il bersaglio si alzerà ancora, in vista della continuazione in tutta la Chiesa delle spinte della prima parte di questo Sinodo…Dunque – posto che occorra – solidarietà a Forte e attesa, speranza e preghiera…
Ora l’eccezione. Leggo – sempre stesse pagine che si sono impegnate nella “crociata” anti-Francesco e ora anti-sinodo – che piace in quei paraggi, a proposito del problema dei divorziati e risposati, una soluzione che riceve persino la benedizione del prof. De Mattei, vero uomo ombra, da sempre, del rifiuto del Vaticano II e delle nostalgie sul Papa distante, sacrale, da venerare come immagine fissa nei secoli, del tutto diverso – e se ne sono accorti anche Papi Santi a modo loro, come Giovanni XXIII e lo stesso Paolo VI – e congeniale ad altri e ben più terreni interessi, non solo ecclesiastici…
La soluzione sarebbe quella di consentire la Comunione a quei soggetti che si dichiarano pentiti della rottura del precedente matrimonio, che tuttavia non è più possibile mantenere in vita, e si impegnano a vivere insieme, volersi bene, dialogare, pregare, occuparsi del prossimo in difficoltà come esige il mandato di Cristo per tutti, ma…Ma per “certe cose” niente! La formula perfettamente “ecclesiastichese” è “come fratello e sorella”!
Che dire? Che personalmente mi pare la soluzione forse inconsciamente ipocrita e certo anche contraddittoria che si possa pensare, alla luce della stessa morale cattolica per molte ragioni: alcune provo a farle presenti qui.
I comandamenti sono cosa seria. C’è p. es. il “non uccidere”, ma per prassi un assassino, purché pentito e dopo eventuale periodo di discerimento, può confessarsi sinceramente addolorato e ottenere l’assoluzione. Ma il male fatto,  è in realtà del tutto irreparabile. La vita terrena di una persona è realtà donata da Dio, e questa realtà non esiste più…Ebbene: con congrua penitenza, guidata dalla coscienza personale e dalla saggezza pastorale e dottrinale del confessore si ha assoluzione e quindi possibilità di fare la Comunione eucaristica…E se si tratta di un matrimonio, “assassinato” per varie ragioni e non più revocabile in vita concreta? Niente! Se il sabato è per l’uomo, lo sono anche i sacramenti, oppure no? A parte il fatto, e qui la teologia morale tradizionale cattolica, coltivata anche e soprattutto da certe scuole molto “romane” e “curiali”, che ho conosciuto benissimo in anni passati, può ricordare il dovere di “fuggire le occasioni prossime del peccato”? Due persone riceverebbero il permesso e il perdono, ma trovandosi continuamente, stessa casa, stesso affetto, stessa cura di eventuali figli portati con sé dal primo matrimonio, in continua (e prossimissima!) occasione di peccato…
Ci pensino bene, i cultori della “verità cattolica” identificata con le loro idee che hanno molti risvolti, anche in economia e in visione del mondo e della dottrina sociale, e forse si renderanno conto che il fatto che questa “soluzione” piace a De Mattei e soci non è altro che una sottile vendetta della diffidenza circa la sessualità, e spesso del fatto che essendo celibi per legge non si esita – parole di Vangelo ricordate di recente anche da Papa Francesco – a mettere sulle spalle degli altri dei pesi che qualcuno non tocca neppure con un dito!


domenica 5 ottobre 2014

L'Assassino dei sogni

Dopo il grande successo della prima stampa, 
"L'Assassino dei Sogni. Lettere fra un filosofo e un ergastolano" è in ristampa e anche gratuitamente scaricabile su:


Per praticità è anche allegato in pdf a questa email.
Rimane ovviamente acquistabile, a 1 euro, la copia cartacea. 
  
Carmelo Musumeci - Giuseppe Ferraro  
L’Assassino dei sogni

Lettere fra un filosofo e un ergastolano

a cura di Francesca de Carolis
 Ed StampaAlternativa


L’Assassino dei Sogni appena uscito già esaurito
Io scrivo perché scrivendo il duol si disacerba, perché ho bisogno di scrivere, e s’io non scrivo non vivo. (Luigi Settembrini)
Il libretto “L’Assassino dei Sogni” sottotitolo “Lettere fra un filosofo e un ergastolano” di Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro, a cura della giornalista Francesca De Carolis, ED. Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri pag. 64-anno 2014, prezzo: 1,00, ISBN: 978-88-6222-417-8 appena uscito è già esaurito (È già in stampa una seconda edizione). E mi venuto il dubbio se lo stanno comprando perché è interessante o perché costa solo un euro sic!
Una cosa è certa, sta andando a ruba fra gli uomini e donne di fede. Le suore di clausura di Lagrimone mi hanno scritto:
Suor Daniela (…)Il libretto con il carteggio fra te e il filosofo Giuseppe Ferraro è molto bello ed è ricco di spunti e provocazioni. Il tuo nipotino aveva 3 anni quando ti ha portato la foglia? Stupendo quell’episodio.
Ne abbiamo presi 55 e li abbiamo già distribuiti in giro di pochi giorni. Ottima l’idea di venderlo ad un euro (…)
Suor Marta (…) Appena abbiamo ricevuto il libretto “L’Assassino dei Sogni” (Lettere fra un filosofo ed un ergastolano) l’ho letto in giornata. Sono già capitate alcune persone a cui abbiamo dato il libretto e abbiamo in mente di darlo ad altre e ad alcuni preti che lavorano con adolescenti e giovani. Io l’ho trovato uno strumento didattico eccellente con motivi di riflessioni e confronti interessanti.
Suor Lilia (non è una suora di clausura come le altre due):
“Che dire del filosofo Giuseppe Ferraro? Sei davvero fortunato d’averlo conosciuto: ora, con gioia, posso affermare che anch’io, grazie a te, ho conosciuto un uomo saggio, che va per la sua strada e non teme di rivelare il suo pensiero senza modificarlo minimamente. Per me questo professore è un uomo che ama la vita; l’ho capito, soprattutto nella lettera in cui spiega il delicato argomento del suicidio”.
In questi giorni ho scritto all’editore che ha avuto il coraggio di pubblicare “L’Assassino dei Sogni”:
Marcello, continua a pubblicare i nostri pensieri, solo così puoi continuare a farci esistere. E a farci sentire ancora umani. Lo sappiamo, sono pochi gli editori che si sporcano le mani pubblicando i pensieri degli avanzi di galera come noi. E ti confido che a volte penso che molti ci vedono cattivi perché loro lo sono più di noi, perché come si fa a murare vivo una persona per tutta l’esistenza, senza l’umanità di ammazzarla prima? Marcello, credo che a volte i cattivi provino rimorsi o compassione molto più dei buoni. Aiutami a farlo sapere alle persone perbene con la fedina penale pulita, ma con forse la coscienza più sporca dei galeotti. E dammi una mano anche a fare sapere che il carcere non cambia le persone in meglio. Piuttosto le distrugge. Marcello, scrivere di e in carcere è pericoloso. Non ti puoi immaginare quanto. So però che anche fuori ci  vuole tanto coraggio a dare voce ai prigionieri. Grazie di avere questo coraggio che non hanno la  stragrande maggioranza delle case editrici, che preferiscono pubblicare le ricette di cucina per guadagnare tanti soldi ed evitare critiche e guai. Marcello continua a pubblicare le nostre parole per fare sapere che molti di noi sono nati già colpevoli, anche se poi hanno fatto di tutto per diventarlo.
Carmelo Musumeci 


Per chi interessato a organizzare presentazioni o comunque diffondere il libro, scrivere a :
ergastolani@gmail.com oppure contattare Nadia Bizzottocell. 349 7191476
 


 “L’Assassino dei sogni”, lettere fra un filosofo e un ergastolano,  Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro, curato da Francesca de Carolis per la collana Millelire di Stampa AlternativaPag.64   prezzo 1,00   ISBN 9788862224178.