sabato 10 settembre 2011

Il congresso eucaristico 4-11 settembre ad Ancona

Ho poco da aggiungere a quanto è diffuso come notizia e presentazione, anche attraverso i media, sul congresso eucaristico. Ma, avendo letto anche sul punto di vista delle comunità di base, sento il bisogno di sottolineare le mie impressioni circa le divaricazioni esistenti tra chiesa istituzionale e la cosiddetta chiesa del dissenso, dato che l’argomento è uno, se non il primo, dei capisaldi fondanti della fede: la comunione cristiana attraverso l’eucarestia.
C’è in larga parte dell’intellettualità critica dei cristiani del dissenso pessimismo esasperato nei riguardi dell’istituzione ecclesiale. Questa sarebbe condizionata dal potere e  collusa con i poteri mondani; giudizio solo in parte accettabile se si considerano le compromissioni con essi da parte di certa alta gerarchia.
Ragioniamoci. Si tratta di capire la necessità che il gigantesco apparato istituzionale ha di mantenere la stabilità attraverso l’ordine, garantito dalla fermezza di alcuni principi teorici e pratici. Ma riteniamo che davvero siano maturi i tempi perché possa reggersi una chiesa tutta spirituale, conviviale, messianicamente evangelica, senza una rigorosa disciplina? Il dramma verte sul fatto che la chiesa non può essere un’istituzione come lo sono tutte le forme di potere; la sua sostanza resta la forza dello Spirito, il quale agisce nei singoli e nella loro condivisione fraterna del cibo spirituale che trascende la realtà terrena e la vivifica dall’interno dei cuori umani.
Una chiesa tutta spirituale è possibile nei piccoli focolai dei vari raggruppamenti, sia dentro la chiesa sia ai margini di essa. In essi c’è però il pericolo di trincerarsi nell’utopia di un dover essere che crea altro tipo di vincoli non sempre liberanti. Leonardo Boff, come riportato nel sito delle cdb, propugna “un cristianesimo come cammino spirituale” e come comunità profetica la quale, come afferma Peyretti, deve rovesciare ogni gerarchia e dilatarsi nel servizio fraterno il cui fulcro è l’eucarestia, ridotta a semplice simbolo di concreta condivisione.
Se c’è un appunto da fare a questa proposta di utopia del Regno è il giudizio tranchant, dal sapore intellettualistico e superbamente raffinato contro ciò che si opera nella chiesa di massa (chiamiamola pure così). Allora si parla di chiesa in disfacimento e quant’altro.
Più semplicemente ci si può augurare che ci siano, sì, spiriti critici e cultori della profezia, ma a condizione di non disprezzare tutto ciò che è e fa la chiesa-dei-più.
In quest’ultima ci sono tanti spazi e soprattutto tante opportunità: la sua diffusione capillare permette visibilità, possibilità di farsi raggiungere fisicamente in luoghi niente affatto, o comunque non sempre, alienanti; il fervore comunitario non sarà, a volte, di “alta qualità”, ma spesso non è limitatamente consolatorio e devozionalistico. Nella chiesa della gente, come mi piace chiamarla, io ho incontrato fede sincera, tanta umiltà, semplicità, bontà, aiuto vicendevole (costante); in essa si dà all’eucarestia la centralità e il senso del Risorto presente e operante nei cuori, e si vive il contatto con la trascendenza nella professione condivisa di una fede vissuta.
Mi auguro che i veri profeti si trasferiscano… dentro questa chiesa, non chiudendo gli occhi di fronte al bene che c’è e che può perfezionarsi solo se si sa coniugare una visione attenta e vigile nei riguardi della degenerazione della mondanità ecclesiastica, con la consumazione dello stesso Pane di Vita.

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