domenica 4 marzo 2012

La morte di Lucio Dalla: i cori di voci esaltanti assieme alle eccezioni

Un articolo tranchant di Aldo Busi su Lucio Dalla
Conta di più la vita o l’opera? L’opera, se la vita ne è la superflua coerenza. Se la vita non è coerente con l’opera che produce, il dibattito resta aperto, ma non per me: non conta né l’una né l’altra, entrambe contano solo per l’occasione sprecata di farne tutt’uno. Quindi, via, giù nell’imbuto dell’oblio delle cose che ne nascondono troppe altre per non appartenere più alla fogna dell’arrivare con meno problemi al ventisette del proprio mese che al ruscello di acqua davvero sorgiva e ristoratrice in tutte le sue preziose molecole per l’umanità assetata.
Anch’io, come Joseph Hansen, penso che “un Dostoevskij che non accenna alla sua epilessia o alla sua dipendenza dal gioco” non sarebbe arrivato lontano e che è superflua ogni opera di chi, invece di raccontare innanzitutto di quanto gli è più prossimo e sa perché accade in lui, fa un balzello in avanti per rimuovere l’indicibile e fastidioso ostacolo della sua umanità per quel che è e si cimenta con i grandi orizzonti esistenziali tanto più gratificanti, che poi risultano essere striminziti tra i piccoli paraocchi di un lirismo demagogico o di una sociologia d’accatto, grazie ai quali arriverà alla santificazione del popolo bue, così attento a glorificarsi attraverso i suoi campioni del sentimentalismo universale.
È uno scarto psichico inevitabile, una sensazione di imbarazzo, un sapore di fregatura sistematica: un omosessuale non pubblicamente dichiarato che quindi se ne strafotta della morale sessuale cattolica, che mai nulla ha espresso contro l’omofobia di matrice clericale che impesta il suo Paese, che mai una volta ha preso posizione aperta per i diritti calpestati dei cittadini suoi simili di sventura politica e civile e razziale, un tipo così che, per esempio, scrive e canta il suo amore per una donna viene prima (per mediocrità di carattere, ipocrisia deliberata, amore del quieto vivere a discapito di chi lotta per i suoi stessi diritti da lui per primo negati) della bellezza o bruttezza della sua dedica impropriamente musicata.
Non vedi l’omaggio alla donna, vedi la ridicola falsità e la necessità estetica per conto terzi che vi soggiace. Ho sempre pensato che Lucio Dalla fosse un checchesco buontempone, un chierichetto furbastro - le sue interviste sono un vero florilegio di banalità in ossequio alla morale comune e all’autorità costituita, alla maniera di Celentano, che a me non piace nemmeno quando canta - e non basta la morte per cancellare la magagna del gay represso cattolico (represso alla luce del sole, il che non ne inibisce certamente il godimento tra le tenebre della vita privata, anzi, le implementa, come ben si sa) che si permette tutte le scorciatoie di comodo (l’arte, il fine superiore e balle varie) pur di non prendere la strada maestra più sensata della basilare affermazione di sé, anche se più accidentata.
Ho sempre pensato, senza mai lasciargli il tempo di aprire bocca per cantare, che un artista che si fa un problema di un tale nonnulla sessuale e che così sessisticamente ruminando offende tutti coloro che, con grande sprezzo del rischio e grossi patimenti personali, hanno ribaltato lo pseudoproblema addosso a chi gli imponeva di farsene uno, sia un povero cristo scansafatiche indegno di altra attenzione.
I ben documentati rapporti di Dalla con Craxi e l’Opus Dei, nonché con l’angelo custode che dichiarò di avere visto al suo fianco, me lo rendono poi addirittura indigesto, per amore della pila sapeva individuare bene dove andare a fare il baciapile, non erano certo le protezioni in alto loco a mancargli, era trasgressivo dove esserlo è di moda e alla portata di qualunque reazionario di mondo, anche se gli sono debitore di molte risate allorché fece un programma televisivo con Sabrina Ferilli in cui si sforzava di dare a vedere che la desiderava - invano, per sua fortuna, e non certo perché fosse di una struggente laidezza fisica.
Non so se le canzoni di Dalla sono belle o brutte, come ne sento l’attacco alla radio, spengo. In questo senso, è in buona compagnia, tutti di autorinnegati di successo. Ve la lascio tutta, o prefiche e sorcini degli scomparsi ad arte già in vita. Io, da parte mia, continuerò a pensare che i veri eroi di Bologna sono i famigliari delle vittime della Uno Bianca e della strage della stazione ferroviaria rimasta impunita, eroi silenziosi sempre più dimenticati, quasi rimossi, attorno a loro io non smetterò un istante di stringermi in un cordoglio senza fine, e purtroppo senza pace.

Personale
PREMESSA: Il coming out (termine usato per dire una verità in forma velata) dell’omosessualità di Lucio Dalla? Chi non ha una verità velata si faccia avanti. Ma guai a confondersi con gli schieramenti pro e contro… Ecco le mie riflessioni personali ed alcuni esempi:
ARTE E VITA NON SONO CONCILIABILI:
a) per la natura dell’arte, che è trasposizione creativa dei dati fenomenici nel loro aspetto simbolico, dal carattere… infinito;
b) per la ‘natura’ della vita vissuta, il cui significato si comincia ad afferrare parzialmente quando si arriva alla soglia dell’aldilà.
UN ESEMPIO: LA MIA STESSA VITA
Credevo di essere questo o quello, ed ora sento che sono altra, molto altra. Ma non mi sbagliavo prima e non mi sbaglio ora: nella corrente della vita nel letto del fiume, come dice Eraclito, non scorre mai la stessa acqua. Ora, nel mio hic et nunc, mi pare di capire di più me stessa ed il resto che ne consegue; e, se mi affido a ciò che vivo nella mia interiorità, non è perché ormai creda di più in me stessa, ma perché, giunta alla soglia dell’aldilà, nel restringersi degli spazi esteriori, si dilatano quelli interiori, dove la FEDE, vetta e culmine della vita, trasferisce il tutto di me nel DIVINO…..
Non è conquistare se stessi mostrarsi per quel che si è, perché anche se si è in-un-certo-modo, ogni modo di essere non è mai, né frutto della libertà, né frutto della necessita, ma della possibilità (da intendere nel suo aspetto provvisorio).
Quando impareremo a non accodarci alle lodi o ai biasimi?
Ogni volta che io mi sono espressa al di fuori degli schieramenti, sono stata CENSURATA. Come mi è capitato – per dire l’ultima – nel caso della Zarri. Io vedo nel suo modo creativo di realizzare le proprie scelte una fortuna, un frutto della sua genialità, altro. Teologa,  magnanima, amorevole, quasi-santa, e tanti altri aspetti hanno i loro contrari, come sarebbe logico capire se fossimo parchi nell’esprimere giudizi. Mi verrebbe da dire che ‘ce la fa’ soltanto chi apprezza un tocco originale nella persona e la reputa ‘fortunata’ a poterlo dispiegare.
Cosa sia la fortuna non lo so, ma ne so qualcosa un po’ per via del suo contrario, la sfortuna. E perciò mi taccio. Ausilia

 

 



 

 


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