Il sacerdote-manager stroncato da un attacco di
cuore a Milano nel giorno dell'asta per il centro ospedaliero fondato 42 anni
fa
MILANO
Un prete al di fuori dagli schemi. Lo si vedeva già dall’abito:
grisaglia da manager, camicia bianca e cravatta. Don Luigi Verzè, 91 anni,
fondatore del prestigioso ospedale e dell’Università Vita e Salute, finito poi
indagato nell’inchiesta per la bancarotta sulla Fondazione San Raffaele del
Monte Tabor, è morto stamani, proprio nel giorno dell’asta per la vendita del
centro ospedaliero fondato nel ’58. Una morte improvvisa che giunge dopo il
tragico suicidio del suo braccio destro, Mario Cal, che il 20 luglio scorso si
sparò in ufficio: era appena scoppiato lo scandalo del debito-monstre da 1,5 mld
di euro accumulato dalla Fondazione. Una morte che alimenta i sospetti degli
amici più cari. Al Bano, per esempio: «Ho sempre visto don Verzè come
benefattore. E ora, dopo che tutti sono andati contro di lui, mi chiedo se è
morto o l’hanno aiutato a morire. Quello che ha fatto è sotto gli occhi di
tutti. Ha realizzato due gioielli per l’umanità unici: sono l’Università,
frequentata da professori del calibro di Cacciari e Ernesto Galli della Loggia,
e l’ospedale che è un fiore all’occhiello per l’Italia».
Don Verzè, nato a Illasi,
nel Veronese, si era laureato in Lettere classiche e filosofia nel 1947 presso
l’Università Cattolica di Milano ed era stato ordinato sacerdote nel 1948. A
Milano, negli anni del dopoguerra, era stato molto attivo come organizzatore di
scuole di avviamento professionale e nel 1950 aveva fondato il San Raffaele. Un
attivismo, il suo, non sempre apprezzato dalle autorità ecclesiastiche, infatti
nel 1964 la Curia milanese gli aveva comminato «la proibizione di esercitare il
Sacro ministero» e nel 1973, la sospensione a divinis. Entrambe le condanne erano
state in seguito revocate.
Al San Raffaele è stato
capace di riunire ricercatori di fama mondiale, creando un polo di eccellenza,
così come all’Università Vita e Salute dove nel dipartimento di filosofia sono
arrivati pensatori come Massimo Cacciari, Emanuele Severino e Roberta de
Monticelli. Quella sulla bancarotta non è la prima inchiesta che ha visto don
Verzè indagato. In passato aveva subito diverse condanne per corruzione, istigazione
alla corruzione e ricettazione anche se dopo tutti i gradi di giudizio, grazie
alle prescrizioni, non ha mai subito una condanna definitiva. Ora la sua morte,
proprio mentre si decidono le sorti della sua creatura portata, tra eccellenze
e scandali, sull’orlo della bancarotta. Il San Raffaele va all’asta nel giorno
della sua scomparsa ma l’aggiudicazione della gara tra i gruppi Humanitas, Polo
San Donato e l’attuale gestore, la cordata Ior-Malacalza, si deciderà nei primi
dieci giorni di gennaio. Il tutto mentre la procura di Milano continua le
indagini sulla bancarotta, dalle quali emergono la creazione di fondi neri
attraverso sovraffatturazioni ma anche spese folli, come l’aereo da 20 milioni
di euro comprato perché don Luigi Verzè non gradiva i check-in cui tutti i
passeggeri sono sottoposti prima dell’imbarco.
In molti lo hanno definito
prete amico del potere. Di certo ha sempre reso pubblica la sua ammirazione per
personaggi come Fidel Castro e Gheddafi. Ma il vero amico è stato Silvio
Berlusconi: «Nel ’94 - ha detto una volta don Verzé - al tempo della sua
discesa in campo, gli dissi che lui era una benedizione per il Paese, un dono
di Dio all’Italia». Berlusconi ha sempre ricambiato l’affetto e in occasione
del novantesimo compleanno del sacerdote, dopo averlo lodato per la ricerca
avviata al San Raffaele per allungare la vita media delle persone fino a 120
anni, aveva raccontato: «Mi confessa e mi dà l’assoluzione senza neppure
sentire i miei peccati perché, conoscendomi, già li conosce. Io a don Luigi
auguro l’eternità perchè se c’è uno che se la merita è proprio lui».
Non ho commenti.... L'umanità ha bisogno di salvezza attraverso persone che rispecchino "l'immagine e somiglianza di Dio".
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