sabato 28 gennaio 2012

Suggerimenti di lettura per parlarne e...pensare


Recensione/ E ora dove andiamo?
Il Medio Oriente salvato dalle donne
Buone notizie dal Medio Oriente. Nel Libano eternamente dilaniato tra mille fazioni è nata una regista che maneggia i generi più esplosivi e le trovate meno ortodosse con leggerezza da coreografa e mira da lanciatore di coltelli. Si chiama Nadine Labaki e qualcuno si ricorderà di lei per Caramel, la commedia ambientata in un salone di bellezza che rivelò il suo talento (e la sua grazia, Labaki è anche attrice, qui fa la padrona del bar). Stavolta però la 37enne scoperta a Cannes compone un’irresistibile requisitoria per la pace mescolando gli ingredienti più disparati con sfacciataggine, inventiva, felicità non comuni.
E ora dove andiamo? si apre infatti con una memorabile scena da tragedia greca - un gruppo di donne nerovestite avanza battendosi il petto e quasi danzando in un paesaggio desolato - ma presto si trasforma in qualcosa di completamente diverso. Un’indiavolata commedia rusticana, parlata e qua e là cantata in arabo. Un western mediorientale in cui le donne hanno il ruolo dei buoni e gli uomini quello dei cattivi. Una favola con momenti musical ambientata in un paesino dove cristiani e musulmani convivono in naturale e precaria armonia. Ma solo perché mogli, madri, figlie, amiche, sorelle, si dannano anima e corpo per nascondere o smussare ogni possibile motivo
Perché c’è sempre qualcuno, da qualche parte, che attacca una chiesa o una moschea, e il contagio viaggia alla velocità della luce, ovvero della tv, visto che anche lassù è arrivata un’antenna parabolica più ecumenica di campanili e minareti. Il paese infatti è circondato di campi minati, difficoltà e pericoli sono pane quotidiano, l’orrore è sempre in agguato, senza distinzioni di religione. E perché nei maschi non si riaccenda la violenza le donne sono pronte a tutto. A mentire, a truccare la statua della Madonna, a tollerare gli scherzi più scemi e i flipper più gaglioffi, perfino a assoldare compiacenti spogliarelliste russe infiltrandole come agenti segreti nella comunità maschile.
Anche se l’idea più bella (e molto mediorientale) di questa strategia di pace non si può raccontare senza sciupare un film che vive di inventiva, di libertà, di salti di tono. E del piacere contagioso con cui Labaki dirige un cast folto quanto colorito mescolando attori e non (ognuno troverà i suoi beniamini, noi abbiamo un debole per la madre del ragazzo sfortunato e per la coppia formata dal sindaco e da sua moglie, una signora trovata in loco che ha la grinta e il fascino di una regina delle scene). Generosità non significa perfezione, qualcosa magari si poteva limare. Ma tanta energia è una benedizione. Se c’è un film che merita di diventare il simbolo delle primavere arabe (dei loro sogni), è questo.
(Da Il Messaggero.it
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Afghanistan: Libertà duratura
Il numero 165 della Rivista GUERRE&PACE è interamente dedicato all’Afghanistan, nel decennale dell’occupazione USA-NATO. Gli articoli sono stati scritti da molte di noi del CISDA (Patrizia Fiocchetti, Simona Cataldi, Cristiana Cella, Graziella Longoni), ma sono stati pubblicati anche contributi delle Associazioni afghane. Ne è venuto fuori un ottimo lavoro, che abbraccia i diversi aspetti della tragica realtà afghana, in una prospettiva nuova. Dall’Afghanistan, e sempre più spesso in occidente, ci viene chiesto di percorrere una terza strada, di uscire dagli schemi imposti dall’occupazione, di sostenere chi viene messo a tacere continuamente perché non funzionale alle logiche di governo e di occupazione: "le organizzazioni democratiche, in particolare delle donne, che si oppongono da sempre al fondamentalismo talebano e dei signori della guerra e alla presenza delle truppe Nato e alla loro guerra, cercando di costruire un Afghanistan diverso"
[Nota personale: altre notizie sull'argomento sono scoraggianti, Ausilia]
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Commercio equo per tutti.
Facile a dirsi; un tempo e parzialmente ha funzionato.
C’è un grande pericolo: le grandi imprese  per loro natura e struttura dei mercati non potranno fare altro che imporre le proprie politiche commerciali, che saranno tanto più sostenibili quanto più convenienti economicamente. Ed accettare politiche di liberalizzazione dei mercati, INVECE DI UNA LORO PROGRESSIVA RI-REGOLAMENTAZIONE, che, necessariamente andranno a sostenere i più forti sacrificando le comunità più piccole e la stabilità del pianeta. Ecco perché in Messico chiedono un forte ripensamento non solo al movimento statunitense, ma anche a quello mondiale.
Forse sarebbe opportuno ricominciare a parlarne, senza illusioni e senza demordere dal tentare il nuovo.

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