TREGUE POSSIBILI, TREGUE IMPOSSIBILI
Tutti
parlano di cessate il fuoco ma esso si può avere quando ambedue le parti
vogliono realmente la pace. Diversamente esso è una tregua di cui una delle due
parti vuole avvantaggiarsi (per esempio per ricevere nuovi rifornimenti, per
produrre nuove armi, per acquistare nuovi alleati) perché al momento sul
terreno le sorti del conflitto non volgono a suo favore. Questo punto va
ribadito: l’interesse a cessare le ostilità deve essere assolutamente vero e
concreto, in ambedue i contraenti: perché se una delle due parti non vuole la
pace, con la tregua l’altra parte le concede soltanto il vantaggio di
riprendere fiato.
Ecco perché in
Palestina non si giunge ad un cessate il fuoco. Con l’operazione “Cast Lead”
(dicembre 2008/gennaio 2009) Israele inflisse una severa punizione a Gaza e per
mesi e mesi ottenne più o meno di essere lasciata in pace. Ora sarebbe lieta di
sapere che Hamas e i palestinesi di Gaza non abbiano dimenticato quella lezione
e non la costringano a ripetergliela. Purtroppo Hamas e la Jihad Islamica
Palestinese in questo campo soffrono di due invalicabili handicap, se così
vogliamo chiamarli.
Il primo è che
nella loro logica i morti palestinesi, pur provocati dall’aver posto le rampe
di lancio dove ci sono dei civili, pur provocati dall’avere costretto Israele a
reagire e perfino ad invadere Gaza, non sono “costi”, sono “ricavi”. Ogni morto
in più, ogni bambino ferito da esibire, sono altrettanti assegni esigibili su
tutti i media del mondo. Nessuno ha dimenticato che Golda Meir, tanti anni fa,
ha detto che la pace si sarebbe ottenuta “Quando le madri palestinesi avrebbero
amato i loro figli quanto le madri israeliane amavano i loro”.
L’interesse
alla tregua è autentico in Israele, perché qui il governo non vuole che i suoi
cittadini corrano neppure il rischio di essere uccisi. Viceversa Hamas accetta
non solo il rischio, ma anche la certezza che i suoi cittadini moriranno in
gran numero. La politica di morte prevale perfino sull’interesse umano per i
propri connazionali, considerati spendibili. Animali da macello. Che tali sono
anche per gli antisemiti europei.
Il secondo
handicap è che i capi di Gaza, per decenni, hanno predicato che bisogna
giungere all’eliminazione fisica di Israele. Dunque la morte di qualunque ebreo
- anche vecchio, anche donna, anche bambino - è solo un acconto sui sei milioni
che si conta di sterminare. Infatti non è questione di lottare contro
l’oppressore: Gaza non è invasa. Avendo un simile programma, per loro è
impossibile mantenere la promessa di astenersi, in futuro, dal lanciare razzi,
compiere attentati, cercare di ammazzare quanti più ebrei è possibile.
Semplicemente non possono farlo.
O – per essere
più precisi – possono farlo: nella loro mentalità mentire agli infedeli non è
peccato. Purtroppo questo principio lo conoscono anche gli israeliani e in
generale gli occidentali: sicché la loro parola, in occasione di un negoziato,
non vale nulla. Sono nella posizione del bugiardo notorio. E allora l’unico
sistema per “farli smettere” è invadere quel fazzoletto di terra, facendo
pagare caro alla popolazione il sostegno ad Hamas: così si possono cercare
personalmente i razzi e distruggerli. L’alternativa è che un terzo affidabile si
impegni ad una risoluta sorveglianza capace di assicurare che dal territorio di
Gaza non siano compiuti atti di terrorismo nei confronti di Israele. Ma chi può
farlo? Non certo l’Egitto dominato dai Fratelli Musulmani. E neppure gli Stati
Uniti, che hanno tanta voglia di tirare i remi in barca. Ecco perché il gran
parlare che si fa di cessate il fuoco imminente è stupefacente. A smettere non
ci vuol molto. Ma gli israeliani chiedono: e dopo?
La speranza è
l’ultima a morire. Sicuro è tuttavia che Israele non può accettare di far da
bersaglio per il tiro a segno dei palestinesi.
Gianni Pardo,
pardonuovo.myblog.it
21 novembre
2012
1 commento:
stento a credere alle parole di Golda Meir!; Una diversa cultura non può soffocare l'amore per i propri figli, credo piuttosto che anch'esse siano vittime impotenti. Certamente dobbiamo considerare la sofferenza di entrambe le parti stando attenti a non alimentare degli odi razzisti sempre pronti ad emergere. Mi sembrano significativi i due articoli che ti allego: il primo scritto da Pax Christi e il secondo da "Parents Circle" un'associazione formata da israeliani e palestinesi che insieme, cercano la pace
,Un abbraccio, a presto Silvana
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