giovedì 22 novembre 2012


TREGUE POSSIBILI, TREGUE IMPOSSIBILI
Tutti parlano di cessate il fuoco ma esso si può avere quando ambedue le parti vogliono realmente la pace. Diversamente esso è una tregua di cui una delle due parti vuole avvantaggiarsi (per esempio per ricevere nuovi rifornimenti, per produrre nuove armi, per acquistare nuovi alleati) perché al momento sul terreno le sorti del conflitto non volgono a suo favore. Questo punto va ribadito: l’interesse a cessare le ostilità deve essere assolutamente vero e concreto, in ambedue i contraenti: perché se una delle due parti non vuole la pace, con la tregua l’altra parte le concede soltanto il vantaggio di riprendere fiato.
Ecco perché in Palestina non si giunge ad un cessate il fuoco. Con l’operazione “Cast Lead” (dicembre 2008/gennaio 2009) Israele inflisse una severa punizione a Gaza e per mesi e mesi ottenne più o meno di essere lasciata in pace. Ora sarebbe lieta di sapere che Hamas e i palestinesi di Gaza non abbiano dimenticato quella lezione e non la costringano a ripetergliela. Purtroppo Hamas e la Jihad Islamica Palestinese in questo campo soffrono di due invalicabili handicap, se così vogliamo chiamarli.
Il primo è che nella loro logica i morti palestinesi, pur provocati dall’aver posto le rampe di lancio dove ci sono dei civili, pur provocati dall’avere costretto Israele a reagire e perfino ad invadere Gaza, non sono “costi”, sono “ricavi”. Ogni morto in più, ogni bambino ferito da esibire, sono altrettanti assegni esigibili su tutti i media del mondo. Nessuno ha dimenticato che Golda Meir, tanti anni fa, ha detto che la pace si sarebbe ottenuta “Quando le madri palestinesi avrebbero amato i loro figli quanto le madri israeliane amavano i loro”. 
L’interesse alla tregua è autentico in Israele, perché qui il governo non vuole che i suoi cittadini corrano neppure il rischio di essere uccisi. Viceversa Hamas accetta non solo il rischio, ma anche la certezza che i suoi cittadini moriranno in gran numero. La politica di morte prevale perfino sull’interesse umano per i propri connazionali, considerati spendibili. Animali da macello. Che tali sono anche per gli antisemiti europei.
Il secondo handicap è che i capi di Gaza, per decenni, hanno predicato che bisogna giungere all’eliminazione fisica di Israele. Dunque la morte di qualunque ebreo - anche vecchio, anche donna, anche bambino - è solo un acconto sui sei milioni che si conta di sterminare. Infatti non è questione di lottare contro l’oppressore: Gaza non è invasa. Avendo un simile programma, per loro è impossibile mantenere la promessa di astenersi, in futuro, dal lanciare razzi, compiere attentati, cercare di ammazzare quanti più ebrei è possibile. Semplicemente non possono farlo.
O – per essere più precisi – possono farlo: nella loro mentalità mentire agli infedeli non è peccato. Purtroppo questo principio lo conoscono anche gli israeliani e in generale gli occidentali: sicché la loro parola, in occasione di un negoziato, non vale nulla. Sono nella posizione del bugiardo notorio. E allora l’unico sistema per “farli smettere” è invadere quel fazzoletto di terra, facendo pagare caro alla popolazione il sostegno ad Hamas: così si possono cercare personalmente i razzi e distruggerli. L’alternativa è che un terzo affidabile si impegni ad una risoluta sorveglianza capace di assicurare che dal territorio di Gaza non siano compiuti atti di terrorismo nei confronti di Israele. Ma chi può farlo? Non certo l’Egitto dominato dai Fratelli Musulmani. E neppure gli Stati Uniti, che hanno tanta voglia di tirare i remi in barca. Ecco perché il gran parlare che si fa di cessate il fuoco imminente è stupefacente. A smettere non ci vuol molto. Ma gli israeliani chiedono: e dopo?
La speranza è l’ultima a morire. Sicuro è tuttavia che Israele non può accettare di far da bersaglio per il tiro a segno dei palestinesi.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
21 novembre 2012

1 commento:

Silvana Cabrini ha detto...

stento a credere alle parole di Golda Meir!; Una diversa cultura non può soffocare l'amore per i propri figli, credo piuttosto che anch'esse siano vittime impotenti. Certamente dobbiamo considerare la sofferenza di entrambe le parti stando attenti a non alimentare degli odi razzisti sempre pronti ad emergere. Mi sembrano significativi i due articoli che ti allego: il primo scritto da Pax Christi e il secondo da "Parents Circle" un'associazione formata da israeliani e palestinesi che insieme, cercano la pace
,Un abbraccio, a presto Silvana