Ho
trovato in questa intervista riportata da poco ne ‘Il Fatto’, quasi la sintesi
di quanto da tempo cerco di capire sul ‘mistero-dalla Chiesa’. Oggi si
celebrano Borsellino e Falcone, su dalla Ciesa silenzio. Come mai?
L’ultima intervista del Generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa di Giorgio Bocca, da La Repubblica del 10 agosto 1982:
"Come combatto contro la mafia”. - PALERMO –
La Mafia non fa vacanza, macina ogni giorno i suoi
delitti; tre morti ammazzati giovedì 5 fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla
Milicia, altri trevenerdì, un morto e un sequestrato sabato, ancora un omicidio
domenica notte, sempre lì, alle porte di Palermo, mondo arcaico e feroce che
ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo internazionale, del "wind
surf" nel mare azzurrodi Mondello. Ma è soprattutto il modo che offende,
il "segno" che esso dà al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e allo
Stato: i killer girano su potenti motociclette, sparano nel centro degli
abitati, uccidono come gli pare, a distanza di dieci minuti da un delitto all’altro.
Dalla Chiesa è nero:
"Da oggi la zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di
catturare gli assassini ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve
essere visibile, l’arroganza mafiosa deve cessare".
Che arroganza generale?
"A un giornalista devo dirlo? uccidono in pieno giorno, trasportano i
cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle
tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".
Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu
prefettizio vive con un certo disagio la sua trasformazione: dai bunker
catafratti di Via Moscova, in Milano, guardati da carabinieri in armi, a questa
villa Wittaker, un po lasciata andare, un poleziosa, fra alberi profumati,
poliziotti assonnati, un vecchio segretario che arriva con le tazzine del caffè
e sorride come a dire: ne ho visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la
Mafia.
Generale, vorrei farle una domanda pesante.
Lei è qui per amore o per forza? Questa quasi impossibile scommessa contro la
Mafia è sua o di qualcuno altro che vorrebbe bruciarla? Lei cosa è veramente,
un proconsole o un prefetto nei guai?
"Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei
carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come
prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta
contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell’interesse
dello Stato".
Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo
bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve
"coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale" la lotta
alla Mafia.
"Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati".
Vediamo un po’, generale, lei forse vuol dirmi che
stando alla legge il potere di un prefetto è identico a quello di un altro
prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è implicito che lei
sia il sovrintendente, il coordinatore.
"Preferirei l’esplicito".
Se non ottiene l’investitura formale che farà?
Rinuncerà alla missione?
"Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla
Mafia, non per discutere di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire
di più".
No, parliamone, queste faccende all’italiana vanno
chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di dittatura antimafia? I poteri speciali
del prefetto Mori?
"Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di
Mori comandava i carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad
Agrigento e di altri a Trapani a Enna o anche Messina, dove occorresse.
Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel "pascolo" palermitano e
non nel resto d’Italia non farebbe che perdere tempo".
Lei cosa chiede? L’autonomia e l’ubiquità di cui ha
potuto disporre nella lotta al terrorismo?
"Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico.
Le dico: so lo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella
sede competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno
attendere sviluppi positivi".
Ritorna con la Mafia il modulo antiterrorista? Nuclei
fidati, coordinati intutte le città calde?
Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista,
disciplina giovinetto: questo singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro
di diplomazie italiane ma con squarci di candori risorgimentali. Difficile da
capire.
Generale, noi ci siamo conosciuti qui negli anni di
Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il 66 e il 73 in funzione antimafia,
il giovane ufficiale nordista de "Il giorno della civetta". Che cosa
ha capito allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?
"Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l’istituto del soggiorno
obbligatorio era un boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica,
dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i
Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle
porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me
denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949. Chiedevo notizie sul loro conto
e mi veniva risposto: "Brave persone". Non disturbano. Firmano
regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a
Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a
Parigi".
E oggi?
"Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e
questa è davvero una svolta storica. E finita la Mafia geograficamente definita
della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da
Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia
palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a
Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa
del potere mafioso?".
Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso,
ucciso nell’agguato sull’autostrada, quando si ammazzarono anche i carabinieri
di scorta, non era il cugino dell’assessore ai lavori pubblici di Catania?
"Sì".
E come andiamo, generale, con i piani regolatori delle
grandi città? E’ vero che sono sempre nel cassetto dell’assessore al territorio
e all’ambiente?
"Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare l’abusivismo".
II L CASO MATTARELLA. Senta generale, lei ed io abbiamo
la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le stesse vicende
italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il figlio
di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato
riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?"
E’ accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata
nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività politica e l’impegno
del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi
riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha
trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto nuovo: la
Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del
"palazzo".Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide
il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo
pericoloso ma si può uccidere perché è isolato".
Mi spieghi meglio.
"Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse
aveva intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità dell’amministrazione.
Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l’esempio più chiaro è quello del
procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme del caso Coco".
Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia
brigatista esistono affinità elettive?
"Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la
maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola.
Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così
è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica e anche voi garantisti
eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII ottobre. Coco disse
no. E fu ammazzato".
Generale, mi sbaglio o lei ha una idea piuttosto estesa
dei mandanti morali e dei complici indiretti? No, non si arrabbi, mi dica
piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.
"Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di
legge, di mettere accanto alla "associazione a delinquere" la
associazione mafiosa". Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una
associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere?
E materia da definire. Magistrati,
sociologi, poliziotti, giuristi sanno benissimo che cosa è l’associazione mafiosa.
La definiscono per il codice e sottraggono i giudizi alle opinioni personali”.
Come si vede lei generale Dalla Chiesa, di fronte al
padrino del "Giorno della civetta"?
"Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta,
lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne
accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco".
Mi faccia un esempio.
"Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di
ufficio, ti dice, come per combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè
dai tali. Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l’eroina corre a
fiumi ci vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che
potrei avallare con la sola presenza quanto accade".
Che mondo complicato. Forse era meglio l’antiterrorismo.
"In un certo senso sì, allora avevo dietro di me l’opinione pubblica,
l’attenzione dell’Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti
negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la Mafia è
diverso, salvo rare eccezioni: la Mafia uccide i malavitosi, l’Italia per bene
può disinteressarsene. E sbaglia".
Perché sbaglia, generale?
"La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi
investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere
questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di
riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici
di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la
page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che, grazie a
quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani
insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie
di riciclaggio, controlla il potere".
E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario,
no, generale?
"Il segreto bancario. La questione vera non è lì. Se ne parla da due
anni e ormai i mafiosi hanno preso le loro precauzioni. E poi che segreto di
Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da anni chi sono i loro clienti
mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle banche o a Bagheria o volta per
volta, ma in modo globale".
Generale Dalla Chiesa, da dove nascono le sue
grandissime ambizioni? - Mi guarda
incuriosito - . Voglio dire, generale:
questa lotta alla Mafia l’hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i
Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi
e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l’ala socialista dellEvis
indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la
Commissione parlamentare d’inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla
Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto
definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto
partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido
della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro
psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa,
molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei
privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro
elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia,
facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora Dalla
Chiesa, oggetto misterioso della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella. Mah!
In apparenza non ci sono guardie, precauzioni. Il generale assicura che non c’erano
neppure negli anni dell’antiterrorismo. Dice che è stata la fortuna a salvarlo
le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un mondo migliore.
"Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno dei Lyons. Ma
ci andai in borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo arrestai, aveva in
tasca l’elenco completo di quelli che avevano firmato il necrologio per la mia prima
moglie. Di tutti sapevano indirizzo, abitudini, orari. Nel caso mi fossi rifugiato
da uno di loro, per precauzione. Ma io precauzioni non ne prendo. Nonle ho
prese neppure nei giorni in cui su "Rosso" appariva la mia faccia al
centro del bersaglio da tirassegno, con il punteggio dieci, il massimo. Se non
è istigazione ad uccidere questa?".
Generale, sinceramente, ma a lei i garantisti
piacciono?
Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno
accenna uninchino e mormora: "Eccellenza".
1 commento:
Gli Uomini che hanno combattuto la mafia, sono stati uccisi e non esclusivamente da quest'ultima. Molto chiare a questo proposito, le parole del Giudice Borsellino: “Quando sarò ucciso, sarà stata la mafia ad uccidermi, ma non sarà stata la mafia ad aver voluto la mia morte” e il Giudice Falcone disse:Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere" io correggo con "non si è voluto proteggere" Oggi, sappiamo ciò che forse portò all'assassinio di queste persone che la lottarono, il compromesso stato/mafia, illuminanti le parole di Borsellino:“La mafia e lo stato esistono sullo stesso territorio –disse- o si mettono d'accordo o si fanno la guerra”. Visto il silenzio sulle loro morti, la risposta è molto chiara! Il 27 luglio 1993 , esplodono tre auto bomba: una a Milano con 6 vittime, due a Roma dove danneggiano gravemente la chiesa di San Giorgio al Velabro e la basilica di San Giovanni in Laterano. Nel maggio, un attentato mafioso in via dei Georgofili a Firenze con 5 vittime. Nel 1992 erano stati uccisi Falcone e Borsellino. Questi ed altri attentati e omicidi si fanno rientrare nella cosiddetta stagione della “trattativa Stato-Mafia”, oggi di attualità per le nuove indagini. Massimo Ciancimino parlò di un “papiello” (dallo spagnolo papel), un documento contenente le richieste mafiose allo Stato. Oggi si ostacolano i Magistrati che indagano su questo compromesso. Ancora dubbi sull'integrità dello stato?
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