giovedì 5 settembre 2013

La possibile guerra in Siria

Tempi (rivista di comunione e Liberazione)
Settembre 5, 2013
Emmanuele Michela intervista Carlo Jean esperto di geopolitica mediorentale
SIA CHE VINCA ASSAD SIA CHE VINCANO I RIBELLI, OBAMA PERDE
Dopo il primo ok della Commissione Esteri del Senato americano all’intervento armato in Siria, ora Obama attende. Le modifiche sostanziali al suo World power resolution act prevedono il limite di 60 giorni entro cui agire (con eventuali altri 30 di rafforzamento) e la limitazione ad azioni non terrestri. I tanti dubbi che in questi giorni sono sorti in merito al raid chimico sferrato da Assad non sembrano scalfire la politica interventista della Casa Bianca: la linea rossa è stata superata. Ma con questi discorsi Obama si è messo con le spalle al muro da solo, spiega a tempi.it il generale Carlo Jean, esperto di geopolitica e medagla d’oro Gandhi dell’Unesco per il suo lavoro di prevenzione dei conflitti nell’area mediorientale.
Perché? 

Obama ha il grosso inconveniente di essere un ottimo oratore e di innamorarsi dei suoi discorsi. Il discorso che fece al Cairo nel 2009, che tanti applaudirono per le sue parole di incoraggiamento verso la democrazia araba, è stato una follia, perché ha versato benzina sul fuoco. Si è arrivati da lì al rovesciamento di tanti regimi, duri sicuramente, ma che facevano gli interessi dell’Occidente.

È possibile che un attacco Usa si limiti solo agli obbiettivi strategici?

Quando parlo di Obama che si innamora dei propri discorsi penso anche alla scelta di fissare questa fatidica “linea rossa”. Nessun politico lo avrebbe mai fatto, ma avrebbe lasciato il suo avversario in dubbio sulle proprie intenzioni. Stabilire la linea rossa e poi non partire in quarta quando questa è superata risulterebbe contraddittorio. Qui non è tanto la credibilità di Obama ad essere in gioco, quanto quella degli Usa in politica estera: le alleanze degli Stati Uniti con Giappone, Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Polonia, Stati baltici, Arabia Saudita tengono o no? O gli Usa al momento della verità si tirano indietro? In questo senso potrebbero essersi incastrati da soli e quindi ora devono intervenire con un’azione molto più massiccia di quanto immaginassero. Ad esempio guastando piste di volo, distruggendo posti comando, gli aerei nei depositi, facendo attacchi cibernetici che paralizzino il sistema informatico dei posti di controllo della Siria. Anche se a dir la verità, in questo campo la Siria troverebbe poi l’appoggio della Russia, che ha capacità di cyber-war molto rilevanti.

I ribelli siriani verrebbero favoriti da un intervento americano. Che impressione si è fatto su di loro?
A mio avviso il cosiddetto esercito della Siria libera è tutto frazionato, non solo dal punto di vista militare ma anche dal punto di vista politico. Ci sono diverse componenti che lasciano perplessi gli americani, in particolare quelle più efficienti, collegate ad Al-Qaeda o ai radicali islamici wahabiti e salafiti. Di conseguenza non si vede bene l’interesse che gli Usa avrebbero a far vincere queste forze, abbattendo Assad. Ci sono due possibilità: se vince Assad, Russia e Iran si rafforzano.
E se vincono i ribelli?
Quello che succederebbe in Siria non si sa. Potrebbero avvenire massacri enormi, specie delle minoranze cristiane. E questo spiega l’appello del papa per la pace. Israele poi non vedrebbe di buon occhio la nascita di un regime islamico al suo confine settentrionale. Comunque, in entrambi i casi, gli Usa perderebbero. Quindi, sebbene nessuno lo dica, io credo che tutti abbiano interesse a far continuare la guerra. Dal punto di vista del realismo politico non ci sono altre spiegazioni.
Le prove che attribuiscono ad Assad l’utilizzo di armi chimiche, come la fatidica intercettazione telefonica, la convincono?
Non è tanto la telefonata, sono le fotografie dei satelliti. Ormai riescono a riprendere anche le targhe delle macchine. Se gli attacchi sono stati fatti con missili Scud può essere stato solo Assad. Perché lo abbia fatto, poi, è difficile da capire: bisogna entrare nella mentalità mediorientale, che è ben diversa dalla nostra. Io credo che uno degli scopi di Assad fosse quello di provocare una risposta occidentale di piccola potenza che non avrebbe cambiato le sorti del conflitto, ma avrebbe attenuato l’opposizione del mondo arabo nei confronti del regime siriano.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso Assad al Le Figaro sarebbe da stupidi usare armi chimiche proprio nel momento in cui si sta vincendo la guerra. Il governo sta davvero prevalendo sui ribelli?
Anche in campo strategico, le conclusioni sulla convenienza di un’azione simile lasciano sempre tanti dubbi e incertezze. Di sicuro nessuno ha interesse a far terminare la guerra: paradossalmente anche il Papa, quando chiede una risoluzione politica del conflitto, di fatto arriva a preferire una continuazione della guerra, perché tutto sommato è il male minore. Da buon gesuita, Bergoglio è stato educato a scegliere il male minore di fronte a quello peggiore, che in questo caso significherebbe enorme incertezza: se vince il fronte islamico radicale i cristiani fanno la fine dei caldei in Iraq o dei copti in Egitto.
Intanto Israele ha lanciato due missili. Cosa ci si può aspettare dal coinvolgimento di Israele?
Israele non si farà mai coinvolgere: se dovesse essere attaccato farebbe un’azione puntuale di rappresaglia, mettendo in funzione i suoi sistemi anti-missilistici, che sono i migliori al mondo. Ma non si potrà mai impegnare a fondo contro la Siria perché spaccherebbe il fronte arabo contro Assad. Per quanto riguarda i missili di due giorni fa, credo fossero solo un lancio per provare l’efficienza del sistema anti-missilistico. La spiegazione data pare credibile.

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