giovedì 29 agosto 2013

In morte di Don Chiavacci

In morte di Don Chiavacci, uomo, prete, pastore e teologo: fedele e libero insieme

Don Enrico Chiavacci, prete, parroco, teologo, in tutto e sempre “pastore” del popolo: il suo immediato di San Silvestro a Ruffignano, presso Firenze, dove è stato parroco per più di 50 anni e poi, come teologo ed esperto di scienze umane, quello detto giustamente “Popolo di Dio”, cioè la comunità dei credenti cattolici, e certamente non solo. E’ infatti nota la stima e il seguito che Lui e i suoi lavori teologici hanno sempre avuto anche oltre i confini ufficiali della Chiesa cattolica…
Ne ha scritto qui, già, il collega Giacomo Galeazzi, e riprendo l’argomento per aggiungere qualcosa di personale, biografico e non noto, e anche un accenno all’importanza del lavoro di ricerca e sintesi dottrinale e insieme appunto pastorale, che ha segnato tutta la sua vita intellettuale e cristiana.
Il suo Corso fondamentale di Morale, una decina di volumi densissimi, pubblicato nel corso degli anni dalla Cittadella di Assisi, è stato un capolavoro di sintesi sapiente e prudente tra la tradizione e i segni dei tempi, a partire dalla morale sociale – fondamentali alcune sue ricerche sulla cosiddetta “dottrina sociale” della Chiesa nei secoli – e dall’etica famigliare e sessuale applicata nel vivo del mutare dei tempi e della stessa realtà della Chiesa.
Fedele alla dottrina, ma capace di distinguere sempre ciò che è di fondo, e risale alle fonti della fede cristiana e anche cattolica, e ciò che è frutto della semplice evoluzione storica degli scritti di teologi, ma anche di vescovi e di Papi, da rispettare sempre, mai tuttavia da considerare, a sproposito e senza distinzioni, verità di fede e quindi immutabili…
Ora, e in particolare nel campo della morale della famiglia e della sessualità l’evoluzione della dottrina cattolica e al suo servizio della teologia, anche per la spinta delle mutazioni della società e del costume, è stata di grandissima portata, e lo è ancora.
Galeazzi ha ricordato il passaggio del suo pensiero dalla considerazione della sessualità solo come “necessario strumento per la procreazione”, ma caricata di significati soprattutto negativi e da controllare alla visione del corpo umano, della donna come tale, dell’amore coniugale e della complessità di ciò che esso implica nella natura e nella persona umana. Da una visione negativa, codificata p. es. da certi testi di S. Agostino che hanno seminato diffidenza e anche disprezzo per secoli, a quella della teologia del corpo nelle catechesi di Giovanni Paolo II negli anni ‘80 c’è un cammino in avanti gigantesco, di cui forse l’etica ufficiale cattolica ancora oggi non ha percepito pienamente la portata: la cosa ha un peso molto forte anche nella credibilità della stessa Chiesa. Alla base di tutto la “rivoluzione” del Concilio, con il rifiuto di codificare ancora una volta come assoluta la gerarchia dei cosiddetti “fini del Matrimonio”, che metteva al vertice la procreazione e subordinava tutto ad essa…
Dal Concilio in poi, passando per il travaglio delle Commissioni teologiche volute da Giovanni XXIII e Paolo VI, che portarono a due visioni diverse, e in alcuni aspetti anche opposte, alla luce nuova dell’ammissione dei cosiddetti “metodi naturali” per la regolazione delle nascite (Pio XII, ottobre 1951), e poi per la vicenda tumultuosa dell’Humanae Vitae” che oltre le dispute teologiche e le resistenze pastorali incendiò per anni le discussioni interne agli stessi episcopati, il cammino è stato lungo e complesso. La prudenza di Paolo VI, pur in quella che apparve una chiusura al “nuovo”, spesso equivocato e confuso con l’approvazione dell’egoismo e della libertà senza criteri chiari, non presentò il dettato dell’Enciclica come “definitivo” e assolutamente veritativo, ma lasciò volutamente aperto lo spazio alla ricerca ulteriore. E in questo ambito anche gli studi di Don Enrico, con altri come il grande Padre Bernard Haering, fino ad un certo limite Ambrogio Valsecchi, ed anche colleghi come Dalmazio Mongillo e Giannino Piana, in Italia soprattutto tra le scuole dei Redentoristi, furono preziosi e autorevolmente visti dai colleghi e da molti Pastori che hanno preso sul serio il Concilio e il richiamo ai segni dei tempi. Fondamentale, tra l’altro, per l’esperienza di tanti uomini di Chiesa italiani, un commento molto ampio della Gaudium et Spes, magistrale, che Don Enrico offrì e pubblicò con la Studium: una vera miniera di sapienza e di cultura teologica e storica…
La sua capacità di mettere insieme opportunità pastorale, fedeltà alle verità di fede, ricerca e percezione dei “segni dei tempi” è stata sempre grande e apprezzata. Fedele, e libero insieme, obbediente e capace di novità magari impensate e anche scomode, tranquillo anche quando qualcuno, magari anche autorevolmente e ufficialmente, lo indicava come “dissenziente”… Egli lo fu sempre in cose nelle quali il dissenso era non solo legittimo, ma capace di far camminare in avanti la teologia e quindi anche la Chiesa nelle sue dimensioni intellettuali… Grande esempio di pacifica capacità di accogliere critiche e rimproveri, anche ufficiali, e insieme di resistenza senza resa nella coscienza che l’oggetto delle critiche era aperto alla libera discussione, rispettosa della fede, ma mai obbligata a dare corpo di dottrina di fede a ciò che era soltanto un’affermazione di scuola teologica, magari nostalgica di tempi passati, materialità di Concili antichi ed egemonie di parti in causa solo personali e accidentali…
Figlio e insieme padre della visione conciliare, don Enrico, stimatissimo dai colleghi, almeno da quelli che non hanno mai visto il rinnovamento conciliare come pericolosa deviazione dalla fede cattolica, nonostante la sua un po’ selvatica ostinazione a non cercare le luci della ribalta, fu per tanti una guida anche intellettuale…Di grande significato, tra altro, i suoi studi sulla morale applicata ai sistemi economici e alla realtà del cosiddetto Terzo Mondo in via di sviluppo…
Non solo fiori, ovviamente, sulla sua strada. Ricordo, per concludere questo piccolo omaggio, un episodio vissuto direttamente. Verso la fine degli anni ’70 in un Congresso dell’Associazione dei Teologi Moralisti Italiani (Atism) egli era vicepresidente in scadenza di carica e al momento delle nuove candidature, in prossimità del voto, nell’assemblea si alzò un membro della Presidenza, nome illustre e origini campane, il quale con aria tra contrito e convinto di un servizio necessario avanzò, a nome esplicitamente della Presidenza della Cei la proposta di “non rinnovare” a Don Chiavacci “la carica della Vicepresidenza”. Lui non tentò neppure di ribattere, e tacque. Risultato: i membri dell’Atism furono insieme “obbedienti” e “liberi”: don Enrico Chiavacci fu eletto “Presidente”! Tempi passati, e non rimpianti. Ora Don Enrico è tornato alla Casa del Padre. Tanti, anche tra i colleghi un po’ più giovani, o meno anziani di lui, lo ricordano con simpatia e ringraziano lo Spirito Santo che gli ha consentito di essere esempio insieme di libertà vera e fedeltà autentica, le due condizioni necessarie per l’annuncio della fede e per la salute della Chiesa. Uomo, studioso, scienziato, teologo, pastore, maestro, Don Enrico. Con ammirazione e gratitudine.

Gianni Gennari  

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